Gianni Riotta: Destra e sinistra celebrano Reagan. Il mito entra in campagna elettorale

09 Giugno 2004
Quando Ronald Reagan venne eletto governatore della California, nel 1966, il mondo occidentale aveva chiari i clichés, i luoghi comuni, del Conservatore e del Progressista. Se Hollywood preparava il cast di un film, il Conservatore era un corrucciato brontolone, pessimista, persuaso che tutto fosse sbagliato e da rifare, un cupo dispeptico che leggeva Hobbes, De Maistre e le fosche previsioni del pensiero reazionario, amareggiato che l'umanità avesse ormai visto i giorni migliori e che nulla restasse da fare se non governare il declino della nostra cultura. Di converso, il Progressista aveva il sorriso dei Kennedy, nutriva le speranze illuministe di Locke e Voltaire, aveva fiducia nel progresso che, con i vaccini di Sabin, la scienza di Einstein, il codice genetico di Watson&Crick, ci avrebbe donato pace e prosperità, mentre in politica le riforme keynesiane e la tecnologia avrebbero governato il mondo in pace. Colonna sonora del Conservatore le Valchirie di Wagner, per il Progressista l'Inno alla Gioia di Beethoven. Con due mandati in California e due da presidente degli Stati Uniti, fino al 1988, Ronald Reagan ha mutato per sempre questa immagine e rimesso i suoi connazionali, da conservatore, sulla strada del futuro cara ai progressisti. La sinistra, che era stata la coalizione della fiducia, del progresso, della mobilità, è via via diventata - nell'immaginario collettivo - la compagine dello status quo, dell'inerzia, della difesa dei privilegi passati, avversa a correre dei rischi, mentre la destra s'è assunta il ruolo di innovazione, cambiamento, scommessa sul futuro. Lady Margaret Thatcher, compagna di Reagan alla fine del XX secolo, non è mai riuscita però a alleggerire la sua condotta con analoga grazia, ha parlato di distruggere il socialismo inglese, la sua sfida con il leader del sindacato dei minatori, Arthur Scargill, pur vinta, è ancora oggi ricordata nei film inglesi come una manovra senza cuore e spietata. Eppure senza Thatcher il Labour di Tony Blair non esisterebbe. Reagan ha invece cambiato i cardini della politica, ricordando al Paese che ottimismo, fiducia nel futuro, speranza nel progresso, aspirazione allo sviluppo e a un domani migliori, non sono appannaggio di un partito, ma l'essenza del sogno americano. Per questo il Paese è commosso. John Kerry, sfidante democratico del presidente repubblicano George W. Bush, sospende la campagna per cinque giorni, in parte perchè sa che i suoi comizi non andrebbero in prima pagina, in parte perché consapevole che i ‟Reagan Democrats”, gli elettori democratici innamorati di Reagan, sono a lutto e non hanno voglia delle solite polemiche, almeno per 24 ore. Le magagne degli anni di Reagan son state tante, splendido nel contrastare i dinosauri del Pcus, nell'intendersi con Mikhail Gorbaciov sul disarmo (e se non li avessero fermati i grigi burocrati Usa-Urss, quei due leader scavezzacollo avrebbero anticipato di dieci anni gli accordi di pace, al summit in Islanda), negativo nei pasticci con l'Iran e le squadre della morte in Centro America, con il sostegno alla giunta argentina. La sua politica fiscale, tagli alle tasse e spendere per il riarmo, ha creato lavoro, ma ha aperto un deficit che poi saldare è costato caro. Il suo ricordo è però così affettuoso perché destra e sinistra gli riconoscono mancanza di livore militante, assenza di retorica del risentimento, quell'odio di tutti contro tutti che, dal boicottaggio della destra al presidente Bill Clinton, all'astio della sinistra contro Bush, è diventato il marchio di un'America polarizzata agli estremi. Lo celebrano, nel rimpianto, amici e rivali, dentro e fuori il GOP, il Grand Old Party repubblicano di Abraham Lincoln e Ronald Reagan. Per Bush padre, in un necrologio che suona rimbrotto all'unilateralismo spocchioso del figlio George W. "Io e Reagan siamo stati avversari politici e poi amici fraterni... Reagan sapeva prendere una posizione... senza creare ostilità o inimicarsi tutti gli altri". Kerry conferma "Per Reagan si era democratici contro repubblicani nelle ore d'ufficio, poi tutti americani". E Gorbaciov, il nemico diventato partner, osserva "Reagan era un uomo di destra. Ma, pur stringendosi alle proprie idee... non era dogmatico, cercava negoziato e cooperazione... Così mutammo le relazioni tra i nostri Paesi e così anche noi e le nostre idee mutarono...". Reagan, in altre parole, non era un ideologo, "preferisco ottenere l'80% di quel che chiedo piuttosto che buttarmi alla carica nell'abisso, avvolto nella mia bandiera" amava dire. Fino alla fine si sforzò di chiedere al partito quel pragmatismo che aveva offerto, denunciando l'aborto e non muovendo un dito per regolarlo, pressando l'Urss ma senza passi irresponsabili, nominando la prima donna alla Corte Suprema, Sandra Day O' Connor, centrista, e il giudice moderato Kennedy, e accontentando la destra solo col conservatore Scalia: due moderati e un uomo di destra, ecco l'astuta bilancia di Reagan. Mercoledì mattina la salma di Ronald Reagan attraverserà da Ovest a Est il Paese che ha amato, per i funerali di Stato a Washington, e poi tornerà in California per l'eterno riposo, con accanto la moglie Nancy Reagan, deprecata come megera ossessionata dall'astrologia, che negli anni della malattia, con il marito incapace di riconoscerla per l'Alzheimer, ha rifiutato di lasciarlo solo, anche per un weekend. Il Paese che sorvolerà ne rimpiange l'entusiasmo e la bonomia, ingaggiato in una battaglia politica permanente. I repubblicani hanno perso la sua armonica dialettica nello stridor di denti neoconservatore, i democratici si stanno ipnotizzando nell'odio per Bush. Ronald Reagan ha rimesso al centro ottimismo e fiducia nel futuro, virtù ieri l'altro di sinistra, ieri di destra e ora perduta da tutti, finché non tornerà un leader capace di ricordarci che "È ancora giorno in America e nel mondo". Un leader capace di maturare con la realtà e abbandonare le proprie opinioni se necessario. Virtù pragmatica, senza la quale è dura essere eletti e ancor più dura essere rieletti, in America, come in Europa e in Italia.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …