Riccardo Staglianò: Noi, nelle gabbie di Abu Ghraib i primi a denunciare gli abusi

18 Giugno 2004
Adesso non li chiamano più i ragazzi che gridarono "al lupo". Ma è una magra soddisfazione, che non cancella quello che hanno passato nel carcere di Abu Ghraib. E che nessuno, sino a pochi mesi fa, avrebbe osato credere. Salah Hassan e Suhaib Badr al Baz sono il cameraman e il cronista di Al Jazeera che per primi hanno denunciato in tv gli orrori della prigione di Bagdad. Non come frutto di un'inchiesta giornalistica, però, ma di un'agghiacciante esperienza diretta. Hassan, trentacinquenne padre di due bambini, fu preso per primo. Era il 3 novembre quando fu mandato sul luogo di un attentato contro un convoglio americano a Dialah, vicino a Baquba. Stava intervistando dei testimoni quando i soldati statunitensi lo arrestarono accusandolo di aver saputo in anticipo dell'assalto: "Sei arrivato troppo presto, stavi da queste parti aspettando l'esplosione" gli ripetevano. Da lì lo portarono alla base militare nei pressi dell'aeroporto della capitale e, dopo due giorni segregato in un bagno, lo trasferirono a Tikrit e quindi ad Abu Ghraib. "Happy birthday!" fu l'ironico coretto che agenti della polizia militare gli urlarono nelle orecchie, dal cappuccio di plastica che poi sarebbe diventato un triste marchio di fabbrica del luogo. "Mi spogliarono - racconta al telefono da Bagdad, grazie alla traduzione dall'arabo di Jihad Ballout, il portavoce del canale satellitare - e si rivolgevano a me chiamandomi "Al Jazeera" o "puttana". Mi costrinsero a stare in quelle condizioni, legato, per undici ore di seguito, sino a quando caddi esausto. Per rimettermi in piedi, i soldati mi presero a calci". L'indomani gli fecero indossare una tuta rossa, impregnata dell'odore di un vomito recente, e cominciarono a interrogarlo, insistendo sulla convinzione che fosse in combutta con i terroristi. Fu messo in isolamento, e tutti i giorni la trafila veniva ripetuta: "Confessa!" gli intimavano, e lui niente. Tra i ricordi più strazianti che continuano ad affollare i suoi incubi c'è una vecchia che piangeva in continuazione e una ragazzina che urlava da mattina a sera, sin quando le guardie la facevano uscire dalla cella per sfogarsi un po' . Grazie all'avvocato di Al Jazeera fu processato e scagionato per mancanza di prove. Il 18 dicembre, un mese e mezzo dopo la sua cattura, fu scaricato in una strada alla periferia di Bagdad. Aveva ancora addosso la stessa tuta rossa. Il collega Badr al Baz fu fermato dopo. Il 18 novembre a Samarra, dove si trovava per lavoro. "Gli americani non volevano credere che fossi lì per servizio", spiega oggi: "MI dicevano "sei complice dei terroristi: raccontaci quello che sai", e giù botte perché il messaggio fosse più chiaro". Per lui il tragitto nell'ex galera di Saddam Hussein fu diretto. Analoga accoglienza: niente abiti, niente sonno, posture innaturali per fiaccare ogni resistenza, calci e cazzotti in quantità. Dal quartiere generale della tv a Doha denunciavano i fatti, facevano pressioni diplomatiche: "Abbiamo dato la notizia più volte - assicura il direttore Ahmed Sheikh - ma non avevamo le immagini". Che sarebbero arrivate dopo, facendo scoppiare lo scandalo. "Senza immagini non avrebbero mai creduto a un'accusa del genere - constata il direttore - tantomeno avrebbero creduto a noi, indicati come quelli che vogliono mettere in cattiva luce l'America, quando non fiancheggiatori di Al Qaeda". La guerra con il Pentagono, d'altronde, non era solo di parole. Dalla "fine" delle operazioni militari ben 21 reporter del canale qatariota sono stati fermati e rilasciati. Le sue sedi di Bagdad e Kabul sono state colpite da missili statunitensi, costando la vita a un dipendente: "Per errore" hanno assicurato i militari. Ma il ministro della Difesa Donald Rumsfeld è stato assolutamente intenzionale ogni volta che ha detto che "quello di Al Jazeera non è giornalismo ma incitamento alla violenza". Un'accusa pesante, ancora da provare. A differenza di quella, pur tardivamente acclarata, delle torture di Abu Ghraib.

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …