Gianni Riotta: La rinascita del quartiere nero

25 Giugno 2004
Dalle finestre della mia prima casa a New York si vedeva Harlem. Il marciapiede di Claremont Avenue, affollato da squattrinati studenti della Columbia University, portava dritto al grande quartiere nero dove il futuro giudice della Corte suprema Thurgood Marshall aveva penato sui libri, Malcolm X era stato ucciso fuori da una sala da ballo, Ralph Ellison aveva meditato il suo romanzo L'uomo invisibile, Joe Louis tirato di boxe e all'Apollo Theatre della 125esima strada i maestri del jazz avevano debuttato tra i fischi, nei "pomeriggi del dilettante". Non c'era più gloria ad Harlem, le famiglie nere scappavano, il crack, la droga più violenta ed economica, gettava sui marciapiedi prostitute da 10 dollari e Aids e gang di adolescenti con il coltello come carta di credito. Alla domenica all'Abyssinian Baptist Church il pastore parlava alla sua congregazione ed elencava gli arrestati, gli ammalati, i feriti nelle risse, i poveri. D'estate il solo svago dei bambini era aprire un idrante e sguazzare nella miserrima piscina urbana.
Harlem, "capitale dello spirito afroamericano" secondo la classica definizione della Wpa, la guida agli Usa redatta da scrittori disoccupati durante la Depressione, agonizzava. Finita la musica, scoppiati i cervelli, riposte le speranze. I licei avevano il metal detector in cerca di armi e gli studenti diplomati erano analfabeti di ritorno. Il mercato li sanzionò come unemployables , individui che mancano di ogni capacità sociale. A casa, con il padre latitante e la madre tossicodipendente, nessuno ha mai usato una sveglia o controllato i compiti. Non avendo il senso del tempo e dell'ordine, impossibile vivere in ufficio o in fabbrica.
Bill Clinton decise che era troppo e stanziò 300 milioni di dollari per la rinascita del quartiere, guadagnandosi la definizione di "primo presidente nero d’America" da parte della scrittrice premio Nobel Toni Morrison. Il sindaco Giuliani stroncò la criminalità, i turisti si riaffacciarono a sentire i gospels, la classe media, nera, ispanica e poi, timidamente, bianca investì nelle meravigliose brownstones, le case in stile XVII e XVIII secolo. I supermercati che stavano alla larga temendo rapine fanno a gara a inaugurare nuove sedi. La grande e ostica vicina di casa, la Columbia, che nel 1968 aveva scatenato la guerriglia urbana con il progetto di una palestra nel Morningside Park, affida il programma di rinnovo della zona all’architetto italiano Renzo Piano. E Piano, anziché scontrarsi con i residenti, li informa della sua ristrutturazione, usa come scout l’antropologo Franco La Cecla che si trasferisce in una locanda topaia e sonda gli umori nascosti. Quando la nuova Columbia sarà finita, Harlem avrà una città sotterranea, un giardino urbano, nuovi locali. Il parcheggio dove i taxisti lavano le macchine gialle, con alle spalle il fiume Hudson color blu metallo, è percorso ora di notte solo dai santeri, i sacerdoti del Voodoo, Daifa la più celebre. Domani quei riti potrebbero attrarre folle di visitatori e curiosi. Clinton ha mantenuto la promessa e ha aperto il suo quartier generale di presidente in pensione lungo il Martin Luther King Boulevard, al 55 West.
La paura di chi è nato e vissuto oltre il confine di Harlem, il ponte metallico che trascina i treni rombanti verso il cuore di Manhattan, colorati all’alba di luce rosa, è che questi benefici non trasformino davvero la zona. Come le borse di studio di Harvard riservate agli studenti neri che premiano gli immigrati dall’Africa invece dei discendenti degli schiavi: meno neri maschi ricevono oggi dottorati di ricerca in materie scientifiche di quanti non si laureassero negli anni ’50! Ad Harlem la disoccupazione resta del 18%, la tubercolosi è epidemica, un bambino su quattro soffre di asma. Salario medio 27.000 dollari l’anno (32.400 euro), un terzo meno della media nazionale. Il 30,5% degli abitanti è povero. E i 654.361 residenti censiti nel 2000 sanno che avere sul curriculum il nome di una scuola di Harlem significa che tanti storceranno il naso. Spesso i presidi insegnano ai maturandi a stringere la mano e dire buongiorno, perché a casa nessuno ha mai dato l’esempio.
Entra in campo Geoffrey Canada, Geoff per gli amici. Alto, atletico, afroamericano, cintura nera ed esperto di arti marziali, Canada ha avuto un solo regalo dal padre, un nullafacente ubriacone, "il peggior papà possibile". Una bicicletta così malridotta che si sfascia subito per strada, lasciando il ragazzino a piedi. A scuola va col coltello a serramanico in tasca, fuma droga, ma alla fine arriva alla laurea in pedagogia ad Harvard. Con un piano chiaro in testa: per salvare l’America occorre salvare tutte le sue comunità, per salvare la comunità afroamericana occorre salvare Harlem, ma per salvare Harlem occorre salvare i bambini. Fonda il ‟Rheedlen Center for Children and Families” e contribuisce al Rinascimento di Harlem. Discutendo con Canada, i genitori capiscono che senza di loro la scuola non può competere con il fascino degli spacciatori, promossi nei video della rap music e capaci di offrire, in cambio di servizi, collane d’oro e ragazze.
Canada ha studiato il dibattito sul welfare, lo Stato assistenziale americano, nei dettagli. Dal 1964 il presidente democratico Lyndon Johnson lancia il programma di Grande società e guerra alla povertà. Si spendono miliardi di dollari per redimere i ghetti, promuovere le scuole, dare qualificazione ai lavoratori, costruire case popolari. Da subito un intellettuale democratico e futuro senatore, Daniel Patrick Moynihan, avverte: attenti, la lacerazione della famiglia nera, con 9 ragazze madri su 10, rende impossibile ai fondi dello stato di essere efficaci. Perché i ragazzi non imparano nulla, non hanno nessuno che dia loro valori e le risorse si sprecano.
Per Geoffrey Canada, e tanti operatori sociali come lui, il dibattito da economico e sociale diventa etico. Negli anni di Ronald Reagan e George Bush padre, la destra, con il ministro della Pubblica istruzione Bill Bennett, predica: è l’assenza di virtù a lasciare i poveri nella miseria. La sinistra liberal continua a invocare nuovi fondi per i quartieri ghetto. Pian piano Canada e compagni di battaglia comprendono che entrambi gli argomenti hanno sostanza. La sinistra ha ragione, senza la leva dei fondi pubblici nessuna iniziativa di riforma può partire. Anche i repubblicani, però, hanno un punto, perché senza la rete della famiglia a cogliere al volo i ragazzi al primo errore, la strada e il riformatorio sono l’esito inevitabile.
Nasce così la ‟Harlem Children’s Zone”, un programma di assistenza che, se vincente, rivoluzionerà il welfare state negli Usa, rivitalizzando la discussione sugli aiuti ai poveri e dando speranza a milioni di bambini oggi a rischio. Canada ha ricevuto domenica scorsa la consacrazione ufficiale del suo esperimento, la copertina del magazine del ‟New York Times” , oltre un milione di copie, messaggi in bottiglia da Harlem all’America. È un programma globale, non si limita più a reclutare i bambini promettenti, o a dare una borsa di studio alle famiglie che si sforzano di tirarsi fuori dal ghetto. Canada vuol dare un diploma e una laurea a tutti i bambini della sua zona, un’area di 60 isolati ad Harlem centrale, giusto a nord dell’angolo dove Renzo Piano ha lo studio e Clinton l’ufficio. Sono 6.500 bambini, di cui 4.000 poveri. Tre su quattro non riescono a leggere e sono sicuri di essere bocciati agli esami pubblici. Nell’economia di oggi, definita "clessidra" dagli economisti, con sopra chi controlla le tecniche del sapere informatico e sotto tutti gli altri a competere per i lavori e meno pagati, non avere una buona educazione scolastica è ergastolo sociale.
Tutto è nuovo nel tentativo di Geoffrey Canada. La Harlem Zone è gestita come una corporation, con un capitale di partenza di 15,8 milioni di dollari, una gestione con efficienza dei costi e un presidente del consiglio d’amministrazione, il manager Stanley Druckenmiller, che dice di Canada: "È un tipo che potrebbe fare fortuna ovunque, a Wall Street", come miglior complimento. Dal sindaco Bloomberg Canada ottiene una concessione speciale, i fondi pubblici verranno gestiti dalla Harlem Zone in modo indipendente per cinque anni, poi i risultati saranno valutati. "Se mi chiedono di salvare un bambino in due settimane dico, non son capace" spiega Canada con i modi spicci da judoka. I privati contribuiscono in una serie di sottoscrizioni, compresa una fantastica serata al ristorante italiano Harry Cipriani sulla Quarantaduesima strada, ogni dollaro viene reinvestito nella scuola e nei suoi programmi.
I genitori sanno che entrare nella scuola sperimentale "charter school" vuol dire vincere un biglietto per la lotteria della vita, e con una vera lotteria sono assegnati i pochi posti ancora liberi, vincenti che piangono e pregano di felicità, perdenti che imprecano davanti a un Canada desolato fino alle lacrime. Una volta ammessi i bambini non si limitano a frequentare nelle ore scolastiche. L’intera famiglia è adottata, i fratelli maggiori invitati a tornare a scuola, i genitori a non divorziare, non usare droghe o alcol, guardare i compiti. Il sociologo William Julius Wilson lo chiama "battere la cultura della povertà", l’attore comico della tv, e filantropo Bill Cosby "smettere di delegare agli altri i nostri problemi, se un poliziotto spara al ladro è un criminale, ma perché noi afroamericani non smettiamo di rubare, di spendere soldi per le scarpe di lusso anziché regalare ai bambini il manuale Hooked on Phonics? ". L’inglese non si scrive come si pronuncia, al contrario dell’italiano, e questo rende il suo apprendimento più ostico, specie per chi parla jive, il dialetto dei ghetti. Hooked on Phonics usa una tecnica sperimentale, che richiede però pazienza e un ambiente confortevole dove lo scolaro possa applicarsi.
Al sindaco Bloomberg Canada strappa anche libertà di assumere i maestri che ritiene all’altezza e licenziare quelli che non stanno al passo, senza nessuna restrizione contrattuale. Il potente sindacato della scuola s’è ribellato ed è diventato il principale critico di Geoffrey Canada. I genitori lo adorano e chiedono solo che le sue "charter schools" si diffondano ovunque. Harlem ha inventato molte cose, melodie jazz, ricette di pollo fritto, tecniche di romanzo, cocktail di droghe, coreografie e architetture. Adesso sta sperimentando un ibrido di destra e sinistra, pubblico e privato, scuola e famiglia, volontariato e welfare per salvare i bambini. Difficile non tifare per la cintura nera Canada, difficile non vedere in tante periferie d’Europa luoghi che avrebbero grande bisogno di gente come lui.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …