Gianni Riotta: Ma l'America non subirà il "voto" di Osama

15 Luglio 2004
"Finirà per rompermi la testa con il fracasso di tutti i suoi elmi": così nella sua commedia Le rane, Aristofane irride, nel 405 a.C. la tragedia marziale di Eschilo I sette a Tebe. Al teatro Beaumont di New York, Nathan Lane e Susan Stroman adattano Le rane all'America del presidente George W. Bush. È adesso lui a "rompere la testa con il fracasso degli elmi" e la satira raccoglie al Lincoln Center di Manhattan gli scontenti della guerra e dell'amministrazione repubblicana, convinti ad applaudire Aristofane, maestro dell'ironia politica venticinque secoli prima di Michael Moore. "Ho composto un dramma pieno di Marte... a vederlo ogni uomo era preso di furore guerresco" recita Lane e la gente vede sul palcoscenico invece George W., il ministro della Difesa Rumsfeld e il ministro della Giustizia Ashcroft. I quali invece non si sentono affatto protagonisti di una farsa, ma al centro di una tragedia, proprio come l'assedio dei sette a Tebe di Eschilo, bersaglio umoristico di Aristofane che scriveva "Il campo nemico ha giurato... nel nome del sanguinario Terrore". Farsa e tragedia, Aristofane contro Eschilo: l'estate 2004 vede in America sarcasmo e orrore contrapporsi. Davvero un attacco di Osama Bin Laden alla vigilia delle elezioni presidenziali del novembre 2004 porterebbe a un rinvio del voto, come ha scritto il settimanale ‟Newsweek”? Davvero il Paese abituato a votare sotto le armi, dalla guerra civile che oppose Nord a Sud, alla seconda guerra mondiale e al Vietnam, potrebbe arrivare al passo più grave per una democrazia, la sospensione dei comizi elettorali? Gli avversari del presidente Bush sono persuasi che l'inquilino della Casa Bianca sia un usurpatore, che scippò nell'autunno del 2000 le elezioni, grazie alla manovre del fratello Jeb, governatore della Florida, e della Corte Suprema con i giudici nominati nei dodici anni del padre George W.H. Bush a Washington, come vice di Reagan e presidente. Per il 47 per cento dei cittadini, elettori che mai voteranno per Bush, un rinvio del voto sarebbe la conferma dei timori finora appannaggio degli estremisti, gli intellettuali che denunciano i repubblicani come "una giunta militare". È vero che, nel fatale 11 settembre 2001 le elezioni primarie per il sindaco di New York vennero rinviate. Ma la città era colpita al cuore, la sicurezza era in forse e il voto era amministrativo. Può adesso il Congresso repubblicano concedere al presidente repubblicano il diritto di cancellare le elezioni, per un attacco? E chi deciderà se l'attentato ha le dimensioni sufficienti per una tale storica eventualità? Bush stesso? Cosa si dirà se fosse in svantaggio contro la coppia dei senatori democratici John Kerry e John Edwards? Il Congresso? E se non potesse riunirsi subito, in emergenza? I nove giudici togati della Corte Suprema? La costituzione non fa cenno in tal senso, e se il ministro dell'antiterrorismo, Tom Ridge, ricevesse un tale enorme potere, le proteste sarebbero violentissime. "È uno scenario da Apocalisse", commenta un parlamentare, "ma occorre prepararsi". E come tutti i giorni del Giudizio, anche quello elettorale è talmente pesante da contemplare per l'opinione pubblica che i toni da Eschilo del presidente Bush "restiamo una nazione a rischio... siamo in guerra per la nostra sicurezza... i terroristi si stanno preparando a colpirci di nuovo, sono spietati e ricchissimi... è impossibile garantire in modo assoluto la sicurezza" sono contrastati dalla foga radicale della satira "paroloni grossi come buoi, certi mostruosi spaventapasseri che il pubblico non conosce neppure". Se hanno ragione Bush, il suo vice Cheney, Rumsfeld e Ashcroft il dio Terrore, che assediò Tebe, è pronto a colpire New York nei giorni tra agosto e settembre della Convenzione repubblicana, e si può almeno considerare il blocco elettorale. Se hanno ragione i loro critici, gli appelli alla sicurezza prima della democrazia sono "parole da buttarsi giù da cavallo" come irride Lane in teatro. Nel 1864, anno decisivo della Guerra Civile, il conflitto che ha visto cadere in campo più americani di tutti gli altri fatti d'armi Usa, si tennero libere elezioni presidenziali. Il repubblicano Abraham Lincoln era sfidato dal democratico George McClellan, generale vanitoso e pusillanime, licenziato qualche tempo prima. Furono proprio i voti dei soldati dal fronte a dare il contributo decisivo alla vittoria di Lincoln, pur sapendo che il loro voto significava continuare la guerra, e per molti, morte o mutilazione. Durante la Seconda guerra mondiale, malgrado le fantasie da Caduta degli Dei di Adolf Hitler, gli americani andarono alle urne nel 1944 e il presidente democratico F. D. Roosevelt battè il repubblicano Dewey. Nel 1964, malgrado il Vietnam facesse strage di reclute, si votò e vinse Johnson, e nel 1968 e 1972, con la guerra a dividere le coscienze e insanguinare anche Laos e Cambogia, Nixon vinse le sue campagne presidenziali. Il dibattito tra sicurezza e libertà è cominciato all'Accademia Militare di West Point tre giorni dopo l'attacco di Al Qaeda contro Washington e New York. Dopo che il pendolo aveva premiato la sicurezza, con le leggi speciali del ‟Patriot Act” e il supercarcere di Guantanamo, le decisioni della Corte Suprema di concedere ad ogni detenuto, anche per terrorismo, un giorno in tribunale, sembrano aver superato il momento che lo storico Richard Hofstadter avrebbe definito "di paranoia". Basterà un nuovo blitz di Al Qaeda a legittimare davanti ai cittadini la rinuncia al voto? Che democrazia difendono i soldati, a costo della vita, se il suffragio universale va a gogo? Quella tragica per cui Eschilo si era battuto a Maratona, persuaso che "troppi sono i dolori di una città sottomessa", o quella comica di Aristofane "Fragore di elmi... e spaventapasseri"? Se, e non vogliamo crederlo, le elezioni fossero rinviate, Osama riuscirebbe dove fallirono le Corone inglese e spagnola, i ribelli Confederati, il Klu Klux Klan, Hitler, Hirohito e Stalin: far cambiare natura agli Stati Uniti d'America.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …