Gianni Riotta: Quando Abramo Lincoln usò i falsi inviti. Le convention che hanno cambiato gli Usa

26 Luglio 2004
Che cosa sapete di una Convenzione politica americana? Ok, i palloncini bianchi, rossi e blu che cadono sulla testa dei delegati quando il candidato prescelto ottiene finalmente la nomination. Le canzoni popolari, il cuore del Texas... (in Italia rubata da una pubblicità del brandy "che dà la felicità, Cavallino Rosso..."), l'inno nazionale, la bandiera a stelle e strisce, bombe e trincee nella notte. Le convenzioni, domani si apre a Boston quella democratica che nominerà i senatori John Kerry e John Edwards candidati presidente e vicepresidente, sono molto di più. Oggi si limitano a presentare il candidato al Paese, per il partito che è all'opposizione, o esaltare il bilancio del presidente per il partito al governo. Ieri erano tumultuose battaglie, che duravano fino a che i delegati, spesso inebriati di whisky, non si mettevano d'accordo su un nome. Nel 1924 i democratici si batterono per 17 giorni, contro i soli quattro di Boston 2004. Contavano allora i boss, a New York celebri quelli di Tammany Hall, che dividevano spoglie e prebende ed erano capaci, se scontenti, di cambiare casacca come nel 1884 quando i padrini che sostenevano il governatore Cleveland andavano imperterriti al podio ad elogiare i suoi avversari. Ogni trucco era lecito: nel 1940 Franklin Delano Roosevelt intuì che i delegati non avevano molta voglia di dargli la terza nomination per la Casa Bianca. Roosevelt incaricò il fedele capogruppo al Senato, Alben Barkley, di annunciare il bluff: "Il presidente mi incarica di dirvi che non ha mai avuto, né ha oggi, il desiderio di essere rinominato da questa Convenzione... vi lascia dunque liberi di votare per qualunque candidato". Il silenzio cadde spettrale sulla sala di Chicago: davvero il presidente si ritirava? A quel punto, con precisa regia, il sindaco della città, Ed Kelly, collegò al microfono un altoparlante, nascosto in cantina. La voce tonante di Thomas Garry, assessore alle fognature, lanciò il canto "Vogliamo Roosevelt!", i delegati lo seguirono incantati e Roosevelt fu rinominato per la terza volta, toccando poi il record di quattro nel 1944. Da allora "voce della fogna" è definito ogni tentativo di indirizzare la convenzione a sorpresa, grazie alla regia. Ci provarono i delegati di Jesse Jackson, primo candidato nero a vincere primarie, sventolando bandiere palestinesi ad Atlanta nel 1988, sotto gli occhi basiti di milioni di americani. Noi crediamo che gli americani siano apatici davanti alla politica, ma la loro tradizione è diversa, al punto che nel Giro del mondo in 80 giorni, Jules Verne fa ritardare il flemmatico viaggiatore inglese Phileas Fogg quando un comizio negli Usa esplode in scazzottate e mischie. Le elezioni primarie, il voto Stato per Stato per nominare i candidati, si sono affermate dal 1972 per diffondere democrazia diretta nei partiti. Prima di allora, le convenzioni venivano brokered, gestite, i candidati arrivavano con pattuglie di delegati e i boss se li scambiavano, come in certi vecchi congressi delle correnti democristiane. Per reagire allo strapotere dei boss, prima che il vento del 1968 imponesse le primarie aperte, i candidati ricorsero al trucco di "affollare la curva", packing the galleries, mettere cioè una claque fragorosa di militanti a zittire gli avversari. La Convenzione repubblicana di Philadelphia del 1940 si aprì sotto cattivi auspici, Lizzie, l'elefantessa dello zoo locale, era morta a 42 anni, e l'elefante è simbolo antico del partito. Wendell Willkie, politico ignoto ai più, decise di strappare la nomination al candidato ufficiale, Taft, e fece stampare di nascosto dozzine di biglietti di ingresso falsi, distribuendoli ai sostenitori. Non appena il suo nome venne messo in votazione scoppiò un boato da stadio, che durò oltre venti minuti e trascinò Willkie alla vittoria, battendo il compassato Taft. Il trucco aveva nobili tradizioni: nel 1860, a Chicago, il padre della patria Abraham Lincoln aveva fatto stampare i biglietti di invito al suo amico tipografo Ward Lamon. Di giorno Lamon preparava gli ingressi ufficiali, la notte li duplicava, regalando quelli falsi a Lincoln. I suoi fan si presentarono al botteghino del Wigwam di Chicago di buonora e quando arrivarono i militanti del rivale Seward non c'erano più posti in tribuna. Niente di tutto questo è prevedibile a Boston, o a New York, dove i repubblicani si incontrano alla fine di agosto per confermare il ticket George W. Bush e Dick Cheney. Le primarie scelgono i candidati e le convention li presentano. Sarà un documentarista allievo di Spielberg a filmare il ritratto di John Kerry che, in 30 minuti, racconterà il senatore al paese. È possibile che quel film, con i due dibattiti faccia a faccia tra Bush e Kerry, si riveli il momento decisivo della campagna elettorale 2004. La spontaneità è ormai sceneggiata, al punto che le grandi reti tv non mandano in onda le convenzioni gavel to gavel, dal colpo di martello di apertura a quello di chiusura, ma si limitano a due o tre ore di diretta, e anche meno, rimandano i patiti della politica ai canali via cavo specializzati, da ‟Cnn” a ‟C-Span”. Nel 2000 gli indici di gradimento tv erano stati pessimi. Vedrete quindi momenti di commozione, ma dietro ognuno ci sarà uno spin doctor, un analista politico. Già nel 1964 la regia televisiva assegnava ai candidati il loro posto preciso in palcoscenico: "Goldwater e Scranton avranno dimostrazioni "spontanee" per 22 minuti, Rockefeller per 11, tutti gli altri per meno. Solo 200 dimostranti a testa con permesso di agitare cartelli o bandiere. A nessun costo piazzarsi davanti le telecamere tv. Solo il partito può far cadere i palloncini dal soffitto". In realtà, Goldwater fece stampare, alla Lincoln, ingressi falsi, e rubò la scena al povero Scranton. Fu Bill Safire, oggi commentatore principe del ‟New York Times”, a coordinare le false dimostrazioni spontanee "l'importante è che sembrino belle in tv". Una manifestazione senza regia fu quella che prese d'assedio la Convenzione democratica di Chicago, nel 1968. Migliaia di ragazzi circondarono la sede dei lavori chiedendo pace in Vietnam e la polizia locale del sindaco democratico Richard Daley (suo figlio è oggi sindaco a Chicago) bastonò contestatori, giornalisti, fotografi, delegati, lasciandosi dietro centinaia di feriti, devastazioni e un processo durato a lungo. L'inchiesta ufficiale parlò di "brutalità poliziesca", e la scena folle di un partito diviso in una guerra civile sanguinosa contribuì ad eleggere il repubblicano Richard Nixon. A Boston Kerry gioca in casa, sono invece gli uomini di Bush che si preparano ai cortei di New York, dove ogni causa, dal salvare le foche alla guerra in Iraq ha già chiesto di registrarsi per protestare. Scene di scontri e incidenti sarebbero una pessima presentazione per il voto di novembre, e in città le fermate degli autobus son decorate dunque con il motto "Anche i repubblicani amano New York". Controlli, perquisizioni, credenziali, stavolta, sono mirati alla sicurezza contro il terrorismo. E ai veterani delle Convenzioni come noi, che alla fine si commuovono sempre alla pioggia di palloncini, stringe il cuore di nostalgia, pensando ai bei tempi dei biglietti truccati per battersi in politica.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …

La cattura

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