Gianni Riotta: La grande sfida di Jfk: battere l'altro se stesso

28 Luglio 2004
Quattro anni fa Al Gore nascose il presidente Bill Clinton alla folla dei democratici e riuscì a perdere le elezioni contro il repubblicano George W. Bush. In un quartiere di Boston svuotato dalla polizia, giubbetti antiproiettile, cani che sniffano le borse in cerca di bombe, i pochi dimostranti pacifisti chiusi dal filo spinato e dai cavalli di Frisia ("Sono ebreo e qui mi sembra un lager" mastica un addetto alla sorveglianza), i delegati sorridono risoluti, "primo: battere Bush". Per riuscirci il senatore John Kerry non esita a liberare i vecchi leoni del partito, da Clinton (così amato che dozzine di studenti pernottano in sacco a pelo sul marciapiede pur di farsi firmare le copie della sua pizzosa autobiografia) a Ted Kennedy, che ha perso 20 chili di peso per essere in forma smagliante e parlare, come 25 anni fa nel discorso più celebre, "del sogno che non morirà mai". Perché Al Gore non riuscì ad andare d'accordo con i padri del partito e Kerry lo fa con grazia, lanciando anche l'astro nascente, Barack Obama, papà nero, mamma bianca, possibile unico senatore afroamericano a novembre, invitandolo a pronunciare il discorso programmatico della Convenzione? Perché il partito e la politica sono per John Kerry quello che non ha mai avuto nella vita, il quartiere, la comunità, un senso di radicamento e identità che il perenne peregrinare del padre Richard Kerry, professione diplomatico, gli negò. Poco lontano dall'hangar del Fleet Center, cemento grigio che ospita i lavori della Convenzione, sorge il popolare quartiere di South Boston, scuole parrocchiali, sacerdoti cattolici, birrerie, campi da gioco, dove si cresce insieme e si vive insieme. Una volta, durante un comizio, Kerry sentì ricordare al deputato locale Joe Moakley le facce dell'infanzia, e avvertì "un acuto senso di nostalgia. Io non conosco il calore della comunità. Mio padre viaggiava, ci trasferivamo sempre". La madre, Rosemary Forbes, veniva dal ramo povero della dinastia potente che ha fondato il Massachusetts, i Forbes miliardari e il primo governatore John Winthrop. La politica, provare a cambiare la realtà poco alla volta, è la patria di Kerry, il partito il suo rione. Ted Kennedy e Bill Clinton, padri e fratelli maggiori, vengono invitati alla tribuna, ascoltati, spesso Kerry li chiama alla vigilia di importanti decisioni. Per molti americani il candidato democratico alla Casa Bianca è ancora un mistero, due su tre non sanno che è stato battezzato con il rito cattolico, tanti lo credono di origine irlandese perché non hanno letto che i nonni di Kerry, Fritz Kohn e Ida Lowe, erano ebrei boemi, arrivati a Boston, convertiti al cristianesimo, con il nome Kerry, una contea irlandese, acquisito all'anagrafe. Fritz Kohn accumulò tre patrimoni con gli affari, li perdette tutti, e si uccise con un colpo di rivoltella al Copley Plaza Hotel, qui a Boston, come ricordano le ingiallite prime pagine dei ruggenti Anni Venti. Orfano a 6 anni, Richard Kerry torna con la mamma in Europa, vivendo tra Francia e Germania. Rientra negli Stati Uniti solo per l'università di Yale, poi Harvard e l'aviazione durante la seconda guerra mondiale. Quindi, come diplomatico, riparte. Anche per papà Kerry patria è più "il sistema dei valori americani" che non un luogo di affetti, ricordi, residenza. Una storia unica tra i leader Usa. Che per Kerry bambino significa due anni di liceo in Svizzera, dove impara parolacce in italiano, "ti spacco la faccia, porco!", e il francese senza accento, maturando l'idea paterna che l'identità non è un passaporto, o un certificato di residenza, ma sguardo sul mondo. Richard Kerry ebbe una carriera contrastata e, prima di morire, scrisse un bel libro, The Star-Spangled Mirror: America's Image of itself and the world (Lo specchio a stelle e strisce, l'America e l'immagine del mondo e di se stessa). La psicoanalisi politica è pericolosa, ma ricordando i fax che ogni giorno l'ex ambasciatore Richard Kerry mandava al figlio, senatore John Kerry, possiamo chiarire un po' il mistero dell'uomo silenzioso che si accinge a sfidare il presidente di guerra, George W. Bush. In un suo saggio sulla politica estera di Kerry, Philip Gourevitch osserva che gli orientamenti della diplomazia Usa sono sempre stati due, America come faro di democrazia che illumina il mondo e spera di essere imitata senza intervenire, e America che si fa crociata di libertà, con successi, Hitler, e disastri, Vietnam. Kerry padre ripeteva via fax al figlio di non sentirsi persuaso dai due approcci classici. Era turbato dal rapporto paternalistico con gli alleati, "è come se noi pretendessimo di capire gli interessi degli europei meglio di loro. Spesso ci siamo dimenticati di consultarli prima di intraprendere azioni unilaterali, quasi indispettiti dal dialogo". Kerry padre detestava l'arroganza "etnocentrica" Usa, la convinzione "che tutti debbano amarci per forza". Con una seconda moglie cresciuta in Africa e che conosce il portoghese, Teresa Heinz, vedova miliardaria di un senatore repubblicano padrone della fabbrica di salsa ketchup che ora i repubblicani boicottano, Kerry è cosmopolita. Bush ricorda nei comizi "i valori del Texas rurale dove ho imparato il sillabario". Kerry si commuove per le casette dipinte di bianco di South Boston perché da bambino non ha vissuto mai due primavere nella stessa casa. La sua identità è doppia, l'eroe del Vietnam che salva la vita a un compagno caduto nelle insidiose acque del Delta del Mekong, carica arma in spalla un nido di artiglieria vietcong, tre volte ferito e decorato, che, tornato a casa, organizza i veterani contro la guerra. E in tv è così efficace con lo slogan "come si fa a chiedere a un uomo di essere l'ultimo a morire per un errore?", che il suo nome risuona per la prima volta nello Studio Ovale della Casa Bianca, occupata allora da Richard Nixon. Con voce cavernosa il presidente repubblicano, astuto come un diavolo, chiosa a Kissinger: ‟ ‘Sto ragazzo Kerry è pericoloso, va distrutto in fretta, speriamo sia un pataccaro”. Lo scandalo Watergate impedì la distruzione di Kerry, che oggi sfida da Boston il rampollo di quel George Bush che proprio il tenebroso Nixon lanciò sulla scena politica nazionale. Le due identità, eroe e pacifista, americano e cosmopolita, cattolico e nipote di ebrei, democratico ma sposato con una miliardaria, sono la chiave di John Forbes Kerry. I nemici politici hanno colto il problema e l'hanno soprannominato "flip flop", pronto a cambiare posizione ogni momento, "ho votato per il pacchetto degli 87 miliardi di spese per l'Iraq, prima di votar contro" è gaffe celebre di Kerry, che gli spot di Bush ripetono a iosa. "Flip flop" sono in America le ciabattine infradito da spiaggia e a Boston le case dei repubblicani espongono "flip flop" multicolore con le mollette da bucato, in oltraggio alla Convenzione democratica. La sfida di questi giorni, fino al discorso di nomina di Kerry, giovedì, è tutta qui. Se la ricchezza della vita, la solitudine, l'ambizione, i ricordi atroci "in trincea, sparavano, io pensavo ai pescecani che profittavano sulla guerra, vecchi, grassi, ad addebitare la marchetta delle puttane da cento dollari in conto spese" mentre in Vietnam "noi vivi sparavamo proteggendoci dietro i compagni morti, per restar vivi", diventeranno sostanza, Kerry non sarà più l'algido senatore che avanza solo perché "non è Bush". Diventerà una persona, capace di convincere gli incerti e uscire da Boston con lo slancio di quei 9-10 punti percentuali di consenso che gli daranno la vittoria. Se invece cederà alla freddezza innata, alla maschera che l'ha portato dal severo collegio in Svizzera al torrido Vietnam, allora il pragmatismo che applica in onore del padre passerà per opportunismo da ciabattina "flip flop", e perderà le elezioni. Una notte in Vietnam, bordeggiando con la motovedetta una flottiglia di giunche di pescatori, Kerry è colpito dall'odore, "legno bruciato in faville, odore di povertà e cibo frugale, giacigli buttati sulla terra nuda a notte, un odore che mi faceva sentire pulito e straniero". "Pulito e straniero", così per 60 anni John Kerry si è sentito. Torna adesso a casa, nella Boston dei nonni, chiedendo al partito democratico e alla nazione di essere accettato, di vedere la propria doppia identità allo specchio, finalmente, ricondotta a una sola immagine, John Forbes Kerry, presidente.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …