Gianni Riotta: Una New York indifferente e sospettosa attende la sfida dell'America anti-Bush

25 Agosto 2004
L'Urlo è riapparso, nell' ascensore di casa mia. L' angosciata sagoma del pittore Munch, icona della disperazione trafugata domenica a Oslo, decorava lunedì mattina il distintivo sul bavero di un tranquillo pensionato, con lo slogan "Ancora Bush? Aiuto!".
Lunedì venturo 50.000 repubblicani, tra delegati alla Convenzione che nominerà George W. Bush a un secondo mandato alla Casa Bianca, militanti e invitati, entreranno in partibus infidelium, a Manhattan, in una New York che non vota per il Gop, il Grand Old Party del presidente, dal 1924, quando elesse Calvin Coolidge. Le proteste contro Bush richiamano in città 300.000 persone, la polizia del sindaco Michael Bloomberg, già democratico, ora repubblicano, schiera 40.000 agenti, con sirene speciali per assordare i facinorosi. La campagna di Bush è lesta a mormorare "Se andrà come a Chicago 1968 quando la Convenzione democratica vide la guerriglia per strada, sarà colpa di Kerry". Gli uomini dello sfidante democratico, John Kerry, temono il sangue come a Seattle 1999, sperando invece che cortei pacifici sommergano in tv il comizio finale di Bush. Come andrà? New York essendo New York, cioè la capitale del mondo, si sente a suo agio sotto i riflettori.
Il mio vicino scende in campo con Munch anti-Bush e in tasca "La guida popolare alla Convenzione repubblicana" reperibile su www.rncguide.com, agenda ironica che chiamava già domenica sera a protestare sotto casa del sindaco Bloomberg, colpevole di non avere concesso i verdi prati del Central Park per la megamanifestazione del 29 agosto.
Sono arrivati per primi i decani dell' Yippie Party, veterani del ' 68 che hanno offerto ciambelle ai poliziotti, "No thanks", all' angolo tra la 79esima Strada e Park Avenue. Tutti svegli nel distretto bene ma, poiché New York è New York, gli Yippie sono arrivati secondi. A far fracasso al 10021, il codice postale più opulento del mondo, s' erano già presentati poliziotti e pompieri, che cercano invano di firmare il nuovo contratto, con aumento di stipendio. Bloomberg, un miliardario tosto, dice di no ai poliziotti, e dice di no ai militanti di United for Peace and Justice, persuaso che il manto erboso del parco si rovinerebbe sotto i loro sandali equi e solidali. Vuol quindi spedirli a manifestare, sfiorando appena il Madison Square Garden della Convenzione, su un remoto nastro di asfalto della West Side Highway, lungo le sponde del fiume Hudson, la Siberia di New York. United for Peace and Justice ha detto di sì, ma nel corso di una riunione bollente parte del movimento, "gli anarchici" secondo quando urla il tabloid New York Post facendo tintinnare di paura i ghiaccioli nel tè freddo delle signore ancora in spiaggia agli Hamptons, avrebbe intimato "O il parco o niente".
Che succederà? Bloomberg offre agli anti-Bush spillette che dichiarano "Sono un dimostrante pacifico", promettendo sconti in alberghi e ristoranti. Loro nicchiano: "150 dollari al giorno - impreca Maria Rodriguez - io ne ho meno per l' intera settimana". Maria si è sistemata a Tompkins Square, tra gli ultimi appartamenti che la speculazione edilizia ha lasciato alla bohème, e su un prato striminzito assiste al Campionato del mondo anarchico di calcio (risultati a seguire). Chi verrà in città a dire di no a Bush potrà recitare i nomi dei "caduti per mano americana dall' 11 settembre 2001", www.thawaction.org, suonare campanellini per la libertà, travestirsi da miliardario e farsi convocare via telefonino Flashmob tra i "Ricconi per Bush". Sabato si è discusso a lungo della "Vita dopo il capitalismo" alla City University, ieri toccava ai senzatetto, oggi ai pacifisti, domani all' inaugurazione del foglio "Ammutiniamoci!". Giovedì i duri di "Not in our name" raccolgono fondi a un concerto, al 261 di Driggs Drive, a Brooklyn, venerdì 27 vanno in piazza gli immigrati, sabato donne ed ecologisti, con film festival sulla IV guerra mondiale. Zoe Strauss, ignara delle vicende politiche italiane, ha raccolto 10.000 bandane rosse da distribuire in segno di rivolta ai delegati, mentre Wendy Tremaine, "artista della performance", ha creato un Vomitorium, riedizione della Roma imperiale di Petronio Arbitro, per deprecare l' indole decadente dei repubblicani.
Come mai Bush e i suoi, rinchiusi in queste ore nel torrido ranch del Texas a preparare la piattaforma, con un piano economico sulla riforma delle pensioni e fiscale, si sono venuti a infilare in questa città, che diede 4 voti al candidato democratico Al Gore per ognuno concesso al presidente? Fu l' aureola della città martire dell' 11 settembre a richiamarli, in un clima di unità nazionale, con il sindaco Bloomberg a spendere 75 milioni di dollari (circa 62 milioni di euro) in sicurezza, sperando di attrarre business nella città ancora in ripresa dopo la mattanza di Osama bin Laden. E Wall Street ha da tre generazioni un rapporto con il clan dei Bush, l' edificio in America che raccoglie più fondi per il presidente ha sede al numero 85 di Broad Street, nel distretto finanziario di New York, la sede di Goldman Sachs, donatore numero 8 nel bilancio della campagna.
La guerra in Iraq, il paese che in fretta tornò a dividersi in due trincee del 47%, con il 6% di incerti, hanno fatto dell' appuntamento del Madison Square Garden, arena di basket, pugilato e concerti, il ring della rivalità politica Usa. Il derby del Garden è complesso. Bush vuole apparire agli elettori moderati come il leader sicuro, che detta la linea, mentre attorno la feccia ribelle sporca e fa caos.
Kerry spera in dimostrazioni divertenti, ordinate e colorate, la faccia allegra dell' America che volta pagina. Bloomberg, sindaco repubblicano in una città democratica, capisce che se la protesta gli scappa di mano e gli agenti del duro capo della polizia Ray Kelly usano i manganelli più delle radio, la sua rielezione 2005 è perduta. E infine i dimostranti, che devono provare all' opinione pubblica di essere maturati rispetto a Seattle, atto di nascita del movimento no global. Sono capaci solo di affollare i film di Michael Moore e comprare i libri di Noam Chomsky o sanno proporsi come soggetto politico in grado di influenzare John Kerry? The Nation, settimanale decano della sinistra, ospita un articolo di Todd Gitlin, leader del 1968 e oggi docente alla Columbia University, che ricorda ai ragazzi: ai miei tempi i più facinorosi si rivelarono presto provocatori della polizia, se facciamo a botte rieleggiamo Bush, se andiamo in piazza con ordine vinceremo. E' una logica che la stragrande maggioranza dei dimostranti sembra accettare. I duri, gli anarchici che non parlano con i giornalisti, non se ne curano. Gitlin teme che, in un giorno di disordine, rovinino l' immagine dei contestatori, facendo gongolare Karl Rove, eminenza grigia di Bush.
I ribelli si raccolgono alla chiesa di St. Mark' s, nell' ultimo Village degli artisti, dove l' avanguardia delle cantine prova ad opporsi alle vetrine del lusso. Jason Flores Williams, della rivista High Times, non ha dubbi "Non mi curo delle conseguenze dell' azione diretta. Voglio cambiare il sistema e mostrare a New York tutta la rabbia che c' è in noi". David Graeber, assistente universitario, conferma "Bocciare Bush è un fatto estetico, non dovrei più vederlo in tv, ma non so se voterò per Kerry". Eric Laursen, della coalizione A 31, ha le idee chiare "Ci sarà violenza? Forse, ma sarà colpa della polizia!". Dalla stazione sottostante il Garden, la storica Penn Station, passano ogni giorno 600.000 pendolari e per quattro giorni dovranno infilarsi da una sola porta. Molti staranno a casa. La stampa di destra evoca attacchi possibili di Osama bin Laden contro le banche, la polizia riceve i kit contro la guerra batteriologica e si teme perfino "il rilascio di quattro vecchi anarchici, esperti dinamitardi". Tanti newyorkesi parlano di andare via, ma poi temono che succeda davvero e loro siano relegati a vederla sulla Cnn. New York essendo New York tutti finiranno quindi per restare. Il mio vicino, fiducioso, compra una torcia elettrica, "Il 31 agosto c' è il Cerchio di luce, tanti fasci colorati illumineranno Manhattan, mostreremo al mondo che l' amiamo".

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …