Gianni Riotta: Fila B, poltrona 10: tra gli ultras di Bush c'è il regista nemico

02 Settembre 2004
Hollywood conta più della Casa Bianca. O almeno, per arrivare al potere di Washington, si passa per le immagini magiche del cinema, l'arte americana dei sogni. Lunedì notte i delegati alla Convenzione repubblicana del Madison Square Garden hanno manifestato il loro minuto di odio contro i democratici, coprendo di "booo" di disapprovazione il regista Michael Moore, autore della satira anti George W. Bush Fahrenheit 9/11. E ieri affidavano il futuro del ‟Grand Old Party”, che fu di Lincoln e Reagan, a Arnold Schwarzenegger, già Conan il Barbaro, ora Governatore ‟il Moderato” di California. Odio e amore, ma con le elezioni affidate allo schermo, alle pellicole, alle sceneggiature ed effetti speciali. "Booo" contro Michael, applausi e onori in programma per Arnold. Che sta succedendo? Che nell'angoscia della prima guerra globale, è rassicurante affidarsi a viva e abbasso senza dubbi, e dove, se non a Hollywood, buoni e cattivi, vizi e virtù, sono così facilmente riconoscibili? Il partito repubblicano alle prese con la rielezione del presidente George W. Bush sa di dovere affrontare scelte ardue, di guerra e di pace. E spellarsi le mani con gli applausi, o restare rauchi con i "booo", è un modo per rilassarsi, efficace almeno quanto la corsa dei giornalisti alla sala "spa", dove si ricevono gratis servizi di coiffeur, manicure, massaggi e maschere facciali, oltre ai dessert dal ristorante Le Cirque, crème brulée (ottima, recensione del taglio capelli magari domani, massaggi e cosmetici, no thank you). Tocca al senatore John McCain, il parlamentare più sofisticato del Congresso, eroico prigioniero di guerra ad Hanoi, coautore con il candidato democratico John Kerry della distensione in Vietnam, già sfidante di Bush nel 2000 oggi fautore dell'unità nazionale contro il terrorismo, invitare la sala a una analisi complessa. Non c'è stata in America una scelta tra pace e guerra, dice McCain, il dilemma del dopo 11 settembre era tra status quo pericoloso e portare, magari con errori, l'offensiva in campo avversario. "Non ascoltate dunque un certo cinematografaro..." esorta McCain, per dare enfasi al punto. È una persona perbene, non un oratore carismatico, ed è colto di sorpresa dalla reazione della platea e degli spalti. L'intero Madison Square Garden, come davanti a un canestro da 3 punti degli amati ‟Knicks” nei playoff Nba, si gira lentamente verso la tribuna stampa, Torre D, cancello 78, fila B, sezione 228, poltrona 10 dove siede un editorialista del quotidiano popolare ‟Usa Today”. Gli occhi dei 2509 delegati e delle migliaia di invitati, ultras repubblicani in piccionaia, mettono a fuoco l'uomo grasso, con una sdrucita felpa nera, un cappelluccio da baseball granata, che prende appunti su un taccuino da scuola. È lui? Possibile? Ma sì che è lui! Michael Moore, il regista premiato a Cannes dagli odiati ranocchi francesi per il documentario con Bush idiota, cinico e prezzolato dai sauditi, insieme a suo padre, il distinto presidente George W.H. Bush che sgrana gli occhi inorridito, borbottando in tribuna d'onore con la moglie Barbara. Nessuno ascolta più il forbito eloquio di McCain. Il nemico è là, Moore, campione dell'America che voterà John Kerry, non crede alle armi di sterminio di massa, ce l'ha con le torture ad Abu Ghraib e il carcere duro di Guantanamo. L'urlo "Altri quattro anni, altri quattro anni!" è indirizzato al corpulento artista, ma sbattuto in faccia all'altra America, che il Garden non considera patriottica, paladina dei diritti costituzionali dei feti, a favore delle armi e della libera impresa. Michael Moore reagisce da showman, alza prima un braccio, poi due, ringrazia la folla, mormora "ancora due mesi" e fa cenno con pollice e indice "L", losers, siete dei perdenti, l'insulto più cocente nelle scuole d'America. Losers? Perdenti? A noi, ai repubblicani? Il partito che ha trionfato in cinque elezioni presidenziali su sei dal 1968 al 1992, quando l'intruso pasticcione Bill Clinton rompe il "catenaccio", l'alleanza tra Sud populista e ceti urbani emergenti? McCain, per riprendere il filo, ripete lo sfottò a Moore ed è un'altra ovazione da 3 punti alla sirena di chiusura del match. Moore spiegherà poi ai cronisti, e nel suo editoriale su ‟Usa Today www.usatoday.com” che detesta il doppio gioco repubblicano, presentare alla Convenzione oratori moderati, dall'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, a McCain, fino a Arnold Schwarzenegger ieri notte, e guidare la Casa Bianca da posizioni "estreme". Qual è la verità? Il presidente Bush, per essere rieletto, deve fare un doppio salto mortale, consolidare la base per non scendere al di sotto del 48% che gli assicurò, in minoranza, la Casa Bianca 2000, ma al tempo stesso invitare gli indipendenti e moderati che stringono le chiavi della vittoria. Ecco dunque Moore, diventato una sorta di vicepresidente per l'immagine di Kerry, unificare i delegati, gente assai più a destra del Paese e del partito. Ma ecco, martedì notte, Arnold a testimoniare con i bicipiti che un emigrante può sposare una Kennedy, un culturista diventare miliardario, un repubblicano avere successo a Hollywood. E che un governatore non deve per forza essere democratico per essere pro aborto, pro diritti ai gay, contro il porto d'armi facile e per il rispetto della natura. L'astio per Moore potrebbe essere l'unica soddisfazione per i conservatori in Convenzione. Bush ricorda la sorte che ha relegato il padre nella tribunetta dei pensionati, a farsi fotografare tra le vecchie glorie, per avere dato troppo spazio nel 1992 ai ribelli di destra di Pat Buchanan, crociati "di una guerra culturale e di religione". Il partito è punteggiato da estremisti, la veterana di destra Phyllis Schafly gira per la sala in permanente rossa e pantaloni rossi e digrigna i denti bianchissimi: "Solo la piattaforma hanno lasciato a noi conservatori, il dibattito ai moderati". La piattaforma ufficiale elenca i punti fermi del partito, dall'aborto ai gay al no al trattato di Kyoto, salvo poi lasciar gli oratori liberi di dissentire. I pragmatici sono soddisfatti, le legioni dei parrocchiani portano voti e i tecnocrati governano. La base non ci starà per sempre. Il successo di Ronald Reagan prima, e della dinastia Bush dopo, George W.H. e George W. presidenti, Jeb governatore della Florida, si deve al riunire, per carisma o sangue blu, le anime divergenti. Torni o no alla Casa Bianca George W., il partito si dividerà in cerca di leader e di anima. Dal futuro chiameranno i realisti, Rudy e Arnold, dal passato tuoneranno i predicatori e le ragazze della Florida, come la delegata dolcissima arrivata a New York giurando: "Ho 21 anni, sono vergine e lo resterò fino al matrimonio. Nessuno mi ha mai baciata". I democratici che, da un ridotto dietro la grande caverna del Garden, spiano i repubblicani, sanno di non potere nulla sui radicali alla Schafly e le vergini, e puntano sugli elettori moderati. Mettono in rilievo la gaffe di Bush, che ha ammesso che la guerra al terrorismo non si potrà vincere, poi che ovviamente si vincerà. I delegati di destra non hanno tempo per i distinguo e mettono al polso un cerotto colorato di viola per sfottere i ‟Purple heart”, i cuori scarlatti, medaglie per le ferite di guerra che, a loro giudizio, Kerry non merita: "Le sue ferite? Graffi, basta un cerotto, non un'onorificenza!". Bush non può vincere senza di loro, ma solo con loro perderà: la Convenzione strizza l'occhio alla destra pregandola di sopportare fino a novembre, seducendo i moderati. Il tradimento è invece già pronto, perché se rieletto Bush, tra terrorismo, Iraq e economia gracile, governerà da moderato, Onu, alleati, cura per il deficit federale. Al Madison nessuno lo dice e i militanti si appiccicano fiduciosi i cerotti.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …