Marco D'Eramo: la “Convention” repubblicana. Il podio dei falchi

02 Settembre 2004
Dopo i parchi a temi, ecco la convenzione a temi. Ogni giorno la ‟Convention” repubblicana ha un suo "tema del giorno". Lunedì il tema era stato "Nazione di coraggio", e infatti alla tribuna hanno parlato il senatore dell'Arizona John McCain, che dal 1968 al 1973 era sopravvissuto a cinque anni di prigionia in Vietnam, l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani che aveva affrontato l'emergenza dell'11 settembre 2001 e tre graziose, commoventi signore parenti di un pilota, di un passeggero e di un pompiere morti in quel giorno (tanto per mantenere la promessa che la Convention non avrebbe sfruttato politicamente l'avvicinarsi del terzo anniversario dell'11 settembre e la scelta di New York come sede). Ieri il tema del giorno era "Popolo di compassione", forse per attorniare di calore umano uno dei due clou della serata, l'intervento di Laura Bush - le donne ridotte a mogliettine devono per statuto apportare un tocco di simpatia a un rito politico che trasuda testosterone. L'altro clou è stato il discorso del governatore della California, ex campione del mondo di body building ed attore, Arnold Schwarzenegger, che ha intenerito la platea con la sua commovente storia di povero immigrato austriaco che ha realizzato il "sogno americano".
Ma "il popolo di compassione" è stato ieri molto più letterale: i delegati dei vari stati si sono sguinzagliati nei sobborghi più poveri di New York a donare sangue, distribuire cibo, dipingere aule, accudire vecchietti, in un trionfo carnascialesco del damismo di San Vincenzo. Né i repubblicani sono nuovi a queste farse filantropiche: ricordo che quattro anni fa, alla Convention di Filadelfia, fuori dello storico municipio (dove nel 1776 fu firmata la Dichiarazione d'indipendenza), i repubblicani distribuivano pane (!!!): e siamo nella più ricca e più potente nazione del mondo. Questo è il loro modo per dimostrare, una volta ogni quattro anni, che sono conservatori sì, ma anche compassionevoli.
Il tema è stato scelto anche per sottolineare lo schieramento moderato e centrista dei primi due giorni: sia McCain, sia Rudolph Giuliani, sia Schwarzenegger sono considerati i liberal del partito: in quanto ex sindaco di una città a forte densità gay, Giuliani è contrario a ogni discriminazione nei loro confronti, Schwarzenegger è favorevole all'aborto e McCain ha compiuto al senato una serie di battaglie politiche insieme al democratico John Kerry. La tattica soggiacente sarebbe quella di accontentare l'ala laica del partito con gli oratori, e accontentare l'ala dura e conservatrice cristiana con il programma politico: ai centristi parole, all'estrema destra sostanza; i centristi sul palco mostrano il volto compassionevole di un partito ormai reazionario.
Ma nella prima sera della Convention sia McCain, sia Giuliani, hanno fatto discorsi a destra di Attila. C'è da chiedersi: se questi sono i moderati, allora quando parleranno gli estremisti come Dick Cheney (programmato per questa notte alle 4 ora italiana), cosa saranno mai? I loro discorsi sono stati di un'aggressività inaudita che fa molto temere per l'esito delle elezioni a novembre. A luglio, nella convenzione di Boston, i democratici avevano dribblato la guerra in Iraq, cioè l'evento politico più decisivo e divisivo del momento. Tutto il contrario dei repubblicani che hanno messo i piedi nel piatto rivendicando la giustezza della guerra. In passato McCain aveva criticato la condotta della guerra (e del dopoguerra) da parte di Bush; lunedì ha perorato la causa della guerra con passione, ha attaccato il regista Michael Moore (presente in sala e fischiatissimo da una platea inferocita): "Dopo anni di fallimenti diplomatici e di pressione militare limitata per contenere Saddam Hussein, il presidente Bush ha preso la difficile decisione di liberare l'Iraq... La scelta non era tra un benigno status quo e il bagno di sangue di una guerra; era tra una guerra e una minaccia ancora più grave". Sia McCain, sia Giuliani hanno sostenuto che la guerra irachena fa parte della guerra al terrore: "Il 14 settembre il presidente Bush disse: `Ci sentiranno'. E ci hanno sentiti! Ci hanno sentiti in Afghanistan, ci hanno sentiti in Iraq", ha detto Giuliani.
Per misurare il clima basti pensare che, quando ha attaccato la remissiva viltà degli europei verso il terrorismo, degli italiani sull'Achille Lauro, dei tedeschi verso i terroristi di Monaco, Giuliani ha detto "Pensate che hanno dato il Nobel per la pace a Yasser Arafat che ha sostenuto tutto il terrorismo mediorientale".
Ad ascoltare lo spietato, personale, disonesto, ma devastante attacco che Giuliani ha sferrato contro Kerry, viene da rimpiangere che il candidato democratico non sia animato dalla stessa ferocia verso gli avversari, da quello che un commentatore americano ha chiamato "l'istinto per la giugulare del nemico". Ha detto Giuliani: "Kerry non ha una visione chiara, precisa e coerente come Bush. Non è una critica personale verso Kerry. Io lo rispetto per come ha servito la nostra nazione. Ma quando Saddam Hussein invase il Kuwait nel 1990, John Kerry votò contro la prima guerra del Golfo. Più tardi disse che in realtà appoggiava la guerra. Poi nel 2002, quando stava soppesando se candidarsi alla presidenza, votò per la guerra in Iraq. E poi solo nove mesi dopo votò contro gli 87 miliardi di dollari per finanziare la guerra e sostenere le truppe. A un certo punto si presentò persino come un candidato anti-guerra. Adesso dice che è a favore della guerra. Con 64 giorni che mancano alle elezioni ha tempo di cambiare posizione almeno altre tre o quattro volte. La mia tesi sull'incoerenza di Kerry è espressa al meglio con le sue stesse parole: `In realtà votai a favore degli 87 miliardi di dollari prima di votare contro'. Forse questo spiega il bisogno che John Edwards (candidato democratico alla vice presidenza, ndr) ha delle 'due Americhe' (per Edwards, l'America dei ricchi e quella dei poveri, ndr) - un'America in cui John Kerry può votare per qualcosa e un'altra dove può votare contro la stessa cosa".
C'è qui tutta la differenza tra i democratici e i repubblicani: Kerry aveva ordinato che nessuno durante la Convention attaccasse personalmente Bush. La Convention repubblicana comincia con un fuoco d'artiglieria contro di lui. Kerry aveva bloccato le pubblicità di ‟Move on” e altre organizzazioni indipendenti su Bush imboscato ma guerrafondaio con la pelle degli altri; i repubblicani hanno mandato in onda spot in cui mettono in dubbio le medaglie conquistate da Kerry sul campo. È come se i repubblicani avessero più fame di potere, o più timore di perderlo: lo hanno esercitato con una tale cattiveria e vendicatività che temono ritorsioni devastanti in caso di sconfitta; soprattutto temono che emergano i torbidi retroscena degli eventi degli ultimi tre anni, a partire dall'11 settembre e dalle leggi pro-inquinamento. Mentre all'interno del grande stadio coperto Madison Square Garden i repubblicani si esercitano nel nobile sport della caccia in branco, fuori continuano le proteste del popolo di sinistra che continuano a raccogliere migliaia di dimostranti che fino a ieri avevano pagato la loro militanza politica con 575 arresti.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …