Marco D'Eramo: La “Convention repubblicana. Il mastino Cheney spiega il mondo irreale di George W.

03 Settembre 2004
George W. Bush mi ha infine convertito sulla via di Penn Station: il male esiste e io l'ho visto in faccia mercoledì sera. Si chiama Richard (Dick) Cheney ed è di fatto il vero presidente degli Stati uniti, anche se di nome è solo vicepresidente. Ieri sera, nella serata conclusiva della Convention repubblicana, il presidente nominale, il "comandante supremo", ha ripercorso i magici risultati dei suoi quattro anni di potere: la floridissima economia, la difesa dell'ambiente, dei meno abbienti, delle minoranze di colore, la paradisiaca serenità internazionale che la sua guida coraggiosa e tenace ha portato al mondo, e ha chiesto altri quattro anni per conseguire esiti ancora più strabilianti di pace duratura in Medio Oriente, di terrorismo debellato, di triliardi di posti di lavoro creati ogni mese: insomma quanto di più prevedibile (almeno a stare alle scarne anticipazioni del suo discorso che ha tenuto alle 4 e 30 del mattino ora italiana). E - sorpresa, sorpresa! - ha accettato la nomination alla presidenza. Ma il vero messaggio politico della Convention repubblicana lo aveva lanciato la sera prima il suo anziano mentore o - con un termine più appropriato al minaccioso stile oratorio - il suo "consigliori", su cui titolava un tabloid newyorkese: "Bush sguinzaglia Cheney" (il mastino).
Il messaggio è semplice quanto efficace: "Bush ha le palle e John Kerry è una banderuola". Questa elaborata conclusione concettuale era già stata formulata lunedì sera da Rudolph Giuliani con la battuta: "Adesso capisco perché John Edwards (candidato democratico alla vice presidenza) ha tanto bisogno delle ‘Due Americhe’ (quella degli abbienti e quella dei poveri, ndr): un'America è quella in cui Kerry vota contro una cosa e l'altra è quella in cui Kerry vota a favore".
Il messaggio era stato ribadito mercoledì sera dal senatore democratico della Georgia Zen Miller che - per aver tradito il suo partito - ha avuto l'onore di essere definito "oratore principale" della serata repubblicana. E il ‟Washington Post” titolava: "Il democratico della Georgia si unisce a Cheney nello schernire lo sfidante".
Miller ha parlato contro il candidato democratico con una voce al limite dell'isteria che ha mandato in delirio la platea repubblicana: "Kerry vorrebbe che fosse Parigi a decidere quando l'America deve difendersi. Io voglio che sia Bush a decidere. (...) Motivati più da partigianeria politica che dalla sicurezza nazionale, i leaders del partito democratico odierno vedono l'America come un occupante, non un liberatore. E niente fa impazzire di più il marine che io sono quanto qualcuno che chiama i soldati americani occupanti invece che liberatori".
Va detto che appena tre anni fa lo stesso senatore Zen Miller - detto ‟Zeelefant” - aveva introdotto Kerry a un meeting in Georgia come un veterano del Vietnam e uno degli autentici eroi di questa nazione".
Questa piroetta vuol dire solo che gli strateghi repubblicani hanno deciso che in questa campagna ogni mezzo, ogni espediente, anche il più sporco, è lecito: à la guerre comme à la guerre.
Lo si è visto dalle menzogne di cui Cheney ha farcito il suo discorso: ci vuole una vera faccia di bronzo per affermare che "La nostra nazione ha il migliore sistema sanitario del mondo e il presidente Bush lo sta rendendo ancora più abbordabile e accessibile per tutti gli Americani", quando ben 42 milioni di statunitensi non hanno nessuna copertura sanitaria e quando il sistema sanitario Usa è il più faraonico monumento all'inefficienza del libero mercato (ogni americano spende pro capite per la sua sanità privata più del triplo di ogni altro cittadino nei sistemi a sanità pubblica). La stessa faccia di bronzo è indispensabile per affermare che "le scuole americane sono avviate su un cammino di eccellenza, e non solo per pochi bambini, ma per tutti", in un paese in cui il tasso di analfabetismo è altissimo persino tra i diplomati liceali e dove pochissimi tra gli stessi diplomati sono in grado di fare le quattro operazioni. Il più strabiliante è che uno degli uomini della terra possa dire queste bugie riuscendo a trattenersi dal ridere e aspettandosi che la platea gli creda. Il dramma è che molti americani gli credono davvero.
La stessa spregiudicatezza Cheney l'ha dispiegata per irridere lo sfidante democratico con parole ancora più pesanti di quelle di Zen Miller, proprio perché più concise, più dense e misurate. Dopo aver ricordato una frase pronunciata da Kerry all'età di 26 anni, secondo cui le truppe Usa andavano dispiegate all'estero "solo su mandato delle Nazioni unite" (ma questa frase l'aveva detta quando aveva 24 anni), Cheney ha ripercorso le votazioni del senatore del Massachusetts negli ultimi vent'anni: Kerry votò contro il progetto reaganiano di guerre stellari negli anni `80 e contro la prima guerra del Golfo nel 1991. Ma è sul dopo 11-settembre che Cheney ha azzannato lo sfidante con parole al limite dello sfregio. Prima l'ha sfottuto: "Kerry vuole una guerra più sensibile contro il terrorismo. Come se Al Qaeda si facesse impressionare dal nostro lato morbido". "Kerry dice che se l'America sarà attaccata, la difenderà. Ma miei cari americani, l'America è già stata attaccata..." "Kerry denuncia l'azione americana quando gli altri paesi non l'approvano, come se tutto lo scopo della nostra politica estera fosse di compiacere quei pochi critici pertinaci". "Kerry fa campagna per diventare comandante in capo. Ma non ha capito che il primo obbligo di un comandante in capo è sostenere le truppe americane al fronte". Cheney ha ricordato i tentennamenti di Kerry sulla guerra in Iraq per concludere con un'altra battuta sulle "Due Americhe": "Tutto questo rende il sentimento reciproco. Kerry vede due Americhe. E l'America vede due Kerry".
La ferocia degli attacchi contro Kerry è inaudita anche per l'assai elastico galateo politico repubblicano. Ieri il ‟New York Times” pubblicava una statistica che fa impressione: nei primi tre giorni di Convention, gli oratori repubblicani hanno nominato Kerry 86 volte, mentre in tutti e quattro giorni della loro convention i democratici hanno citato Bush solo 19 volte (e addirittura, tra gli oratori di spicco, né Bill Clinton, né Hilary Clinton né Edwards l'hanno mai menzionato). Perciò che nei prossimi 60 giorni gli attacchi personali contro Kerry si moltiplicheranno, diventeranno più perversi. Ma Kerry sembra incapace di reagire contro la valanga di merda che si sta rovesciando sopra: e gli strateghi democratici cominciano a essere preoccupati.
Come ha osservato un analista: "Kerry ha dribblato sui suoi 20 anni al senato, e i repubblicani glissano sulla situazione economica". Tanto è vero che il termine "posti di lavoro" (jobs) alla convention democratica è stato usato 127 volte, ma solo 28 volte nei primi tre giorni repubblicani; mentre "sanità" è stata menzionata 37 volte dai democratici e 12 dai repubblicani. Si delineano così i prossimi due mesi di campagna elettorale: i repubblicani continueranno a svicolare sulle questioni economiche, sulla disoccupazione, sul calo dei redditi, sull'aumento della povertà e punteranno tutto sul linciaggio morale di John Kerry e sull'instaurare un clima di panico per possibili attentati.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …