Marco D'Eramo: L'America militarizzata

06 Settembre 2004
È la militarizzazione degli Stati uniti il dato più inquietante che emerge dal giro delle due conventions di quest'anno. Militarizzazione vuol dire che sia la democratica, sia - e tanto più - la repubblicana hanno giocato sul tema della "patria in pericolo". È vero che gli Stati guerreggiano, ma a 8.000 km di distanza, mentre qui gli americani continuano a passeggiare tranquilli sorseggiando il caffè dai loro bicchieroni in polisterolo. Il "la" alla campagna è stato dato quando la scelta che hanno posto agli elettori i due candidati era tra quale tra i due è più atto a essere il "comandante supremo": è diventata una corsa a chi ha il testosterone più alto, un "celodurismo" versione Usa. Se a luglio i democratici avevano incautamente messo al centro della loro Convention il tema della "nazione in guerra", ora i repubblicani si sono avvoltolati nella bandiera a stelle e a strisce: loro con l'elmetto in testa ci sono nati.
Soprattutto, militarizzazione vuol dire che l'esercito è diventato il gruppo sociale politicamente più influente degli Stati uniti, la casta più corteggiata, più adulata. Non si contano le piaggerie per i "nostri eroici ragazzi", per gli "eroi", per gli "uomini e donne che rappresentano il meglio dell'America".Beati i paesi in cui i gruppi più onorati sono gli infermieri, gli insegnanti, le professioni la cui specializzazione non consiste nel saper uccidere!

La Guerra fredda.
Dalla prima guerra mondiale in poi, cioè da novant'anni, gli Stati uniti sono la prima potenza militare al mondo, ma non sono mai stati un paese militarista. Ci sono spesso andati vicino, come durante la guerra fredda; hanno spesso flirtato con quest'opzione volendo limitare alla Difesa il ruolo del governo federale, ma la "società civile" statunitense non è mai stata, e non è nemmeno ora, militarista. Però la deriva - inaugurata dall'11 settembre 2001 e compiutasi in questa campagna presidenziale - fa sì che militarista stia diventando la rappresentanza politica della società civile: ma quanto tempo può passare prima che l'ideologia politica dei governanti renda militarista la società nel suo insieme?
Sarebbe una notizia disastrosa non solo per gli Usa, ma per il mondo tutto che agli Usa è soggetto.
La divaricazione tra opinione pubblica e rappresentanza è tale che il candidato John Kerry afferma ancor oggi di essere a favore della guerra in Iraq, quando il 95% dei delegati democratici è contrario. Ma, e qui sta il madornale errore del senatore del Massachusetts, quanto a militarismo i democratici possono essere solo goffi dilettanti, mentre i repubblicani sono professionisti: l'86% dei delegati repubblicani appoggia la guerra. In questo senso Dick Cheney e Co. rappresentano la loro base meglio di quanto faccia il suo avversario. E qui sta la pessima notizia per chiunque voglia sloggiare Geroge W. Bush dalla Casa bianca.
Ora Kerry si dovrà districare dalla trappola militarista in cui i repubblicani l'hanno imboscato: l'economia va a puttane, l'Iraq è un disastro, bin Laden uccel di bosco, il deficit pubblico alle stelle, Israele una polveriera, antichi alleati in rivolta aperta, e tutto quello di cui si discute è se 35 anni fa un tenente di marina era stato davvero un eroe oppure no nel Mekong.

Un Bush vacuo.
È da performance psicanalitica una classe politica che, di fronte al sanguinoso ginepraio dell'Iraq, discute... di Vietnam. Per i democratici impegnati in una suicidaria rincorsa la centro forse è già tardi per invertire la rotta, però è l'unica speranza che resta loro.
Ma la buona notizia viene dall'ultima notte di Convention repubblicana: il presidente uscente ci ha mostrato di essere ancora più sciapo e sonnifero del suo avversario. In un solo discorso (teletrasmesso in tutta la nazione) Bush ha dilapidato il capitale politico che gli avevano accumulato i devastanti attacchi sferrati a Kerry da Rudolph Giuliani e - soprattutto - dal vero presidente in carica, Cheney.
Bush ci ha offerto un'ora di pomposità così vacua che lo possono essere brevettare come produttore di vuoto pneumatico. Nel nulla programmatico di Bush, nel fallimento delle sue politiche, Kerry può aprirsi un varco, per evitarci la tragedia di un altro quadriennio bushiano.
Sì, dopo essere stati subissati per quattro giorni da una repubblicana valanga di ferocia, cinismo, pusillanimità, adulazione, trasformismo, venalità, ipocrisia, non ci vergogniamo a dichiarare di appartenere a quello che l'estrema sinistra americana sfotte come il partito Abb (Anybody but Bush, "chiunque tranne Bush").
Non è un caso se 2.000 cittadini sono stati arrestati perché protestavano pacifici contro il partito pronto a morire (e a far morire) per "difendere la libertà", che si riuniva assediato in un bunker difeso da barriere di cemento armato, protetto da decine di migliaia di poliziotti, agenti segreti, soldati coi fucili spianati.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …