Gianni Riotta: La forza e il dialogo Così si batte il terrore

08 Settembre 2004
Chi sono, e come si sconfiggono, i nemici di Simona Pari e Simona Torretta, le ragazze italiane che hanno scelto il bene del prossimo come mestiere? Finché non siamo in grado di dare una risposta a queste domande saremo in difficoltà nella guerra al terrorismo e costretti all'ipocrisia. L'assassinio di Enzo Baldoni, il sequestro dei reporter francesi, la strage dei bambini in Ossezia e adesso l'angoscia per le due Simone, così gentili e sorridenti nel lavoro umanitario da "Un ponte per..." a "Save the children", dimostra come i terroristi non facciano distinzioni tra imperialisti e pacifisti, pro Bush o Chirac, liberisti e no global, per seminare caos. Chi, fin dalle prime ore dell'attacco all’Iraq, s'è sforzato in solitudine di distinguere tra critica a Washington e denuncia del terrore, prova sollievo a leggere tesi analoghe, da Barenghi del ‟manifesto” al cardinal Renato Martino. Il dilemma strategico dell'opinione pubblica affronta due temi. Stiamo vivendo uno scontro di civiltà, cristiani contro islamici, secondo la teoria di Samuel Huntington? Come si combatte l'insorgenza terrore, con le armi, il dialogo, la trattativa? Rispondere con esattezza significa vincere la guerra, sbagliare la soluzione perderla: "Finché il nemico è attivo non c'è pace" scrive lo studioso Hans Delbruck nella sua monumentale Storia della guerra colpevolmente ignorata da noi. La risposta alle tesi di Huntington è no, giacché al Qaeda si considera più in conflitto con i musulmani tolleranti che con gli occidentali. Faticare sui siti della jihad , al-qal'ah , waaqiah , al-neda , al-islah , conferma che lo sceicco Osama è disposto a offrire tregue ad americani (proponendosi perfino come predicatore negli Usa!) e europei, ma da puritano dell'ortodossia, è inflessibile con i musulmani "debosciati". I correligionari che hanno firmato il ‟Manifesto per la tolleranza” in Italia sono "servi di Satana".
Esiste dunque un fronte unico del terrore islamico, dalla Cecenia a Madrid, da New York a Bagdad, da Gaza a Bali? Chi usa la guerra per propaganda è lesto a dire sì, ed è analisi pericolosa, che induce a gravi errori militari (vedi il libro del generale Tony Zinni e Tom Clancy Battle ready ). Il terrorismo non è un nemico, ma una tattica, che va affrontata in modi diversi. Da noi è in corso, ahimè da troppo tempo, un accademico dibattito sull'opporsi al terrore con le armi o con la politica. Chi crede solo nella via militare può guardare alla Cecenia, dove Vladimir Putin ha, nell'indifferenza generale, fatto terra bruciata solo per vedere moltiplicare i commandos della morte. L'Iraq, dove Falluja e Ramadi sono nelle mani dei terroristi sunniti e i rivoltosi sciiti combattono da Najaf a Sadr City, conferma che occorre dividere il nemico, trattare con i non irriducibili, introdurre elementi di democrazia, valutando con realismo storia e tradizioni locali. Anche la sorte dell'Afghanistan dipende dall'equilibrio tra forza e diplomazia, e se gli europei fossero un po' meno avari in uomini e mezzi sarebbe un gran bene.
Illudersi che la guerra non ci sia è azzardo da chiudere prima possibile. Farsi prendere dalla rabbia cieca e vedere in ogni islamico un aguzzino non è solo un peccato di civiltà: prepara quella Crociata che è il sogno di Osama. Quanto ai regimi arabi "moderati", troppo spesso abbiamo chiuso gli occhi davanti alla loro repressione, ferocia e corruzione, contenti di averne in cambio petrolio, basi e complicità e facendone i migliori reclutatori del terrore. La guerra va vinta, il nemico studiato, diviso, affrontato e non confuso con chi ne condivide la fede in onestà. Vivremo giorni d'angoscia, ora per le due Simone: scappare moltiplicherà le vittime, rinunciare alla tolleranza ci darà una vittoria di Pirro, riducendoci a regimi autoritari, come i nostri nemici. La guerra si vince, e una pace giusta si afferma, se saremo capaci di usare la Realpolitik della forza e l'Idealpolitik della ragione.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …