Marco D'Eramo: 9/11, il ricordo dirottato

15 Settembre 2004
Che la memoria dell'11 settembre si sia attutita, lo constati con chiunque parli. Cerchi di portare il discorso su ciò che resta di quella chiara mattina newyorkese, ma subito i tuoi interlocutori ti respingono verso la campagna presidenziale in corso: lo fa l'inglesissimo Robin Blackburn, ex direttore della ‟New Left Review” e ora visiting professor alla New School. Lo fanno Katrina vanden Heuvel a Victor Navaski, direttrice ed editore del settimanale ‟The Nation”. D'altronde nel numero che andrà nel edicola lunedì, l'editoriale s'intitola "Il partito repubblicano ha dirottato l'11 settembre". Dice Katrina: "Se giudichi la memoria storica dalla capacità d'imparare la lezione da una tragedia, allora questo paese ha dimenticato immediatamente l'11 settembre, perché l'amministrazione ha dirottato tutta l'energia sull'Iraq, è stata messa in atto una ‘strategia della diversione’ con le grandi menzogne sulle connessioni tra l'11 settembre e l'Iraq, bugie che stanno disonorando la memoria dell'11 settembre. È stata creata la perniciosa e strumentale idea di ‘guerra al terrore’ che ha gli stessi effetti deleteri che ha avuto la ‘guerra alla droga’. È così che l'amministrazione Bush ha scippato l'11 settembre per mettere in atto il suo programma".

Le menti altrove.
Ancora una volta, nell'immaginario pubblico, l'Iraq è in competizione, non in sinergia, con l'attacco alle Twin Towers.
Malgrado l'anniversario, tutte le menti sono perciò concentrate sul 2 novembre, preoccupate da quanto flebili sono finora i contrattacchi di John Kerry alle maligne e devastanti insinuazioni repubblicane.
Mentre dopo la Convention democratica di fine luglio a Boston i sondaggi su Kerry erano rimasti piatti, dopo la Convention repubblicana dell'ultima settimana a New York i favorevoli a Bush sono cresciuti di dieci punti ("anche se ora si stanno riabbassando e stanno tornando al punto di prima, al testa a testa", dice Victor Navaski). Il problema è che i democratici sono rimasti impigliati nella trappola patriottica e non riescono a districarsene: per far capire quanto sono più forti i repubblicani su questo terreno, basta un esempio: per timore di apparire disfattisti, alla Convention di Boston i democratici avevano fatto smontare il tabellone luminoso di ‟Al Jazeera” che - come quello delle altri tv - fregiava gli spalti dello stadio coperto, mentre i repubblicani se ne sono fregati, e al Madison Square Garden il tabellone di ‟Al Jazeera” risplendeva proprio accanto a quello delle ‟Fox News”, il canale di proprietà di Rupert Murdoch (che possiede in Italia ‟Sky tv”), che è spietatamente conservatore, come ha ben descritto il film Outfoxed, che potrebbe essere tradotto con "Svolpato" (fox in inglese vuol dire "volpe"): i repubblicani non hanno nessun timore di sembrare in collusione con la tv araba: loro ‟Al Jazeera” la bombardano.
Secondo Robin Blackburn, "è molto difficile per Kerry smarcarsi dalla politica estera repubblicana perché in un certo senso aveva anticipato alcuni elementi della dottrina Bush. Pochi si sono dati la pena di andare a leggere il libro scritto da Kerry nel 1997, The New War: the Web of Crime that Threatens America's Security ("La nuova guerra: la rete del crimine che minaccia la sicurezza dell'America") in cui propone un'azione unilaterale contro il crimine, appoggia una giurisdizione americana extraterritoriale e rifiuta l'idea di una corte di giustizia internazionale".

Il clima patriottico.
Di diverso parere è Katrina: "In un anno elettorale come questo non è semplice sottrarsi al clima patriottardo e dribblare il tema della guerra al terrore. Per di più è dall'11 settembre 2001 che i democratici non hanno idee chiare sulla guerra al terrore e neanche sulla guerra in Iraq, anche se ora sembra che stiano elaborando una posizione. Il problema è che i repubblicani sono brillantemente riusciti a far diventare quest'elezione un referendum su Kerry, mentre - secondo logica - dovrebbe essere un referendum sulla fallimentare presidenza di George W. Bush. È il trucco più micidiale: ‘Kerry dottor Tentenna’ (flip-flop), ‘Kerry eroe usurpato’. È una conseguenza di questo slittamento sulla trappola del patriottismo da cui i democratici non possono liberarsi. Ha avuto un effetto devastante la pubblicità tv dei veterani che dicevano che Kerry non aveva meritato le sue tre medaglia al valor militare. E poi guarda la Convention repubblicana, hanno riscritto la storia: ma come si fa a paragonare Saddam Hussein a Hitler? E Arnold Schwarzenegger che viene a dire che l'Austria era ‟occupata”. Ma andiamo, era stata liberata, non occupata! I repubblicani hanno giocato così sporco da far rimpiangere Richard Nixon e il Watergate: di fronte a quello che fanno Karl Rove (il capo dello staff della Casa bianca, ndr) e company, il suo era puro dilettantismo. Ma il gioco sporco può essere controproducente, perché adesso Kerry almeno comincia a reagire, comincia a sguinzagliare i suoi, a dare via libera alle associazioni indipendenti come MoveOn e, per la prima volta, ha detto che la guerra in Iraq è `una guerra sbagliata, al momento sbagliato per ragioni sbagliate'". "No, anche secondo me non è troppo tardi, non dico che Kerry vincerà, ma la partita è ancora aperta", insiste Victor.

Non è troppo tardi.
"Il successo della campagna repubblicana - dice Katrina - è nell'essere riuscita a dipingere Kerry come un patrizio miliardario del New England, e invece Bush come un uomo del popolo, uno alla mano, uno della classe media, mentre è altrettanto miliardario e viene da una famiglia altrettanto patrizia. Kerry finora non è riuscito a concentrare la campagna sui fallimenti di Bush. Questa è la prima presidenza, dai tempi di Hoover, al tempo della grande depressione del 1929, che finisce il suo mandato con meno posti di lavoro di quelli che ha trovati, e nel frattempo la popolazione è aumentata e mancano all'appello quasi 5 milioni di posti per ritrovare il mercato del lavoro come era alla fine del 2000. Nonostante il deficit pubblico sia esploso fino a 420 miliardi di dollari (nel gennaio 2001 Bush aveva trovato il bilancio dello stato in attivo), è aumentato il numero dei poveri, 35 milioni, e sono 45 milioni gli statunitensi che se si ammalano non possono curarsi perché non hanno copertura sanitaria".
Robin Blackburn aveva espresso una tesi simile: "Non capisco perché Kerry non si presenta come il difensore della Social Security. È un argomento che sta a cuore a tantissima gente. La privatizzazione e lo smantellamento della mutua (sussidi di disoccupazione, aiuti alle famiglie povere, le pensioni di anzianità) preoccupano enormemente la gran maggioranza degli americani. È un tema su cui Bush è vulnerabilissimo".
Per Victor Navaski "un 45 % dell'elettorato è a favore di Bush e niente gli farà cambiare idea: un 45% è per Kerry e resterà di questo parere. Resta il 10% indeciso e soprattutto resta il problema dell'affluenza alle urne. Se i democratici riescono a far scendere l'assenteismo, tutto è ancora da giocare. Il mio ragionamento è semplice: Al Gore aveva avuto la maggioranza dei voti popolari e credo che nessuno di coloro che hanno votato Gore nel 2000 voterà ora per Bush. I voti per Kerry dovrebbero perciò oggi superare quelli ricevuti nel 2000 da Gore: stiamo a vedere".

Il fattore Nader.
Resta il fattore Nader, che però sembra pesare meno di quattro anni fa: "In questo giornale non si discuteva di altro, adesso invece stiamo per pubblicare un appello di 120 attivisti naderiani che nel 2000 avevano fatto campagna per lui, e che oggi lo invitano a non presentarsi. Questa volta Nader non rappresenta nemmeno il Partito verde. Per di più è tutto preso dal problema di arrivare al quorum per presentarsi e quindi non è in grado nemmeno di sollevare i temi che gli stanno tanto a cuore, non formula nessun messaggio alternativo, nessun tema programmatico. I media parlano solo dei soldi che riceve dai repubblicani per presentarsi. È triste, ma vorrà presentarsi lo stesso, perfino contro i suoi. Ormai è un problema di Ego ipertrofico" dice Katrina che però guarda più all'enorme mobilitazione che Bush ha innescato nella sinistra: "Non si era mai vista prima una simile militanza, un tale dispendio di energie politiche. Basta pensare a quel che ha messo in moto il portale web ‟MoveOn”. Anche il nostro magazine ‟The Nation” è a livelli di vendite record. La sinistra sì è dotata di nuovi strumenti, ha preso nuove iniziative. Perciò per noi la sfida vera viene il 3 novembre, il giorno dopo le elezioni, qualunque sia l'esito: cosa farà questa comunità che è stata galvanizzata - culturalmente, politicamente, organizzativamente - da Bush? Se vince Kerry, cosa farà tatticamente, strategicamente? Se sarà Bush, quale sarà l'impatto psicologico e quali saranno le iniziative per i prossimi quattro anni? Anche se quest'ultima è una prospettiva da brivido".

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …