Gianni Rossi Barilli: Diritti. Meglio sposati o conviventi?

01 Ottobre 2004
Ha proprio ragione il governo Zapatero, che legalizzando il matrimonio tra persone dello stesso sesso ha deciso di tagliare di netto il nodo della discriminazione senza passare dalla via intermedia delle unioni civili. Il discorso è chiaro e semplice, sia in teoria che nella pratica. In teoria: se si tratta di garantire parità di diritti a tutti i cittadini, a prescindere dal loro orientamento sessuale, è evidente che creare istituti giuridici separati (il matrimonio e le unioni civili) che discriminano in base all'orientamento sessuale non è la soluzione più corretta. In pratica: se si tratta di adeguarsi ai cambiamenti sociali senza penalizzare nessuno, bisogna avere l'onestà intellettuale (e politica) di chiamare le cose con il loro nome. E come le dobbiamo chiamare le coppie gay e lesbiche che decidono di mettere su casa insieme per amore, condividendo tutta o anche solo un pezzo della vita? Famiglie (con o senza i figli) sarebbe in fondo la definizione più corrispondente alla realtà, senza che questo debba implicare l'adesione a un modello tradizionale che proprio l'allinearsi della legge all'esperienza concreta e al rispetto della libertà delle persone rende un residuo del passato.
Chiamando famiglie quelle che secondo il Vaticano "famiglie non sono" si riafferma la storicità (cioè la modificabilità) di concetti come famiglia e matrimonio, smettendo una buona volta di lasciarne il monopolio culturale ai fondamentalismi e ai conformismi di tutto il mondo. Siamo insomma all'opposto della mitologica famiglia naturale spacciata per ovvietà da Bush, dai preti e dagli imam. E accettata come una verità incontestabile anche da buona parte del centrosinistra italiano, fin qui ossessionato dalla ricerca di mediazioni al ribasso con i cattolici. Vedere, per credere, le bizantine formule linguistiche che i nuovi statuti di alcune regioni "rosse" (Toscana, Emilia, Umbria e Campania) hanno escogitato per salvare la capra della "famiglia naturale" insieme ai cavoli delle "altre forme di convivenza".
È questa arretratezza culturale, riscontrabile più o meno su tutti i temi "etici", che fa dell'Italia qualcosa di diverso dalla già cattolica Spagna. E che rende un sogno improbabile, da noi, perfino l'approvazione di una modesta legge sulle unioni civili che riconosca anche agli omosessuali il diritto di decidere qual è la persona più importante nella loro vita. Quella a cui vogliono lasciare i loro beni, o la pensione di reversibilità, e che vogliono accanto per prima se finiscono in carcere o in ospedale.
I gay e le lesbiche, secondo la versione aggiornata della tolleranza italiana, sono eterni scapoli e zitelle, che avranno pure tutto il diritto di congiungersi fisicamente lontano da occhi innocenti, ma poi, nei momenti che contano, devono tornare sotto la tutela della famiglia patriarcale. Sarà per questo che in Italia si registra anche una diffidente (quasi) unanimità nel negare loro l'eventuale possibilità di adottare bambini, che la Spagna invece ha tutte le intenzioni di ratificare. Chi non diventa mai veramente adulto non è il più adatto ad allevare figli. Almeno se non li riproduce in proprio.

Gianni Rossi Barilli

Gianni Rossi Barilli, nato a Milano nel 1963, giornalista, partecipa da vent’anni alle iniziative del movimento omosessuale, come militante, scrivendo, discutendo e anche litigando. Ha lavorato a “il manifesto” dal …