Gianni Riotta: Presidenziali USA. La spada di George nella rete di John

04 Ottobre 2004
Se avessero combattuto come antichi gladiatori al Colosseo anziché affrontarsi in tv davanti a 55 milioni di cittadini, elettori pronti al pollice verso, Bush sarebbe stato un Secutor, armatura pesante e corta spada sguainata, Kerry un Reziario, arma letale la rete avvolgente. Per i 90 minuti di "faccia a faccia" Bush è "rimasto sul messaggio", secondo il diktat del consigliere Karl Rove: sono io il vostro comandante in capo, siamo in guerra, non è ora di cambiare. Fermo e agguerrito come un Secutor. Kerry ha provato ad aggirare l'avversario e a coglierlo nella rete degli argomenti, citando Kennedy, Reagan e il generale De Gaulle, parlando "di test globale" e spiegando perché è necessario ingaggiare il dittatore nordcoreano Kim Jong II con incontri "bilaterali" anziché "multilaterali", differenza magari non essenziale a Peoria, in Illinois, ma che qualifica il senatore democratico leader raffinato. Una tecnica da Reziario. La scelta non potrebbe essere più nitida per gli elettori americani: il Secutor Bush non offre un programma, offre un leader, il Reziario Kerry suggerisce "posso apparirvi meno duro di Bush ma ho un piano". Chi crede alla fola dei due partiti Usa fotocopia è smentito da un dibattito vero, duro, chiaro, che le 32 pagine di regole stilate dai padrini Jim Baker e Vernon Jordan non hanno sterilizzato. Bush vede gli Usa potenza solitaria, accerchiata dai nemici, in anni terribili, da lupi feroci come nella filosofia di Hobbes. Il terrore dell'11 settembre lo persuade a chiamare i concittadini, malgrado i rovesci in Iraq, alla guerra al terrorismo, giudicata fronte unico, dove Osama Bin Laden e i fondamentalisti islamici di Al Qaeda, Saddam Hussein e il Baath iracheno, i ribelli ceceni alla scuola di Beslan e perfino gli ingegneri nucleari di Pyongyang, Nord Corea, sono reggimenti di unarmata diabolica. Kerry sa che le sue speranze di essere eletto negli ultimi 30 giorni di campagna sono legate non alla pancia, le emozioni degli elettori che il presidente controlla da tre anni, ma al cervello, alla decisione razionale di milioni di cittadini di mutare strategia, rimettersi in marcia contro Al Qaeda e Osama Bin Laden, limitare i danni in Iraq, "errore colossale... diversione nella lotta al terrorismo". La prima linea tornerebbe a Kabul, Afghanistan, non Bagdad, Iraq. Le reazioni a caldo sembrano confortanti per John Kerry, la sua rete avrebbe catturato il dibattito, apprezzata dal 53% dei cittadini, mentre la spada di Bush è piaciuta solo al 37%. Cnn, Abc, Cbs, tutti i rilevamenti statistici e i focus group (gruppi di reazioni campione, seguiti da un esperto) delle televisioni confermano il successo democratico nella notte di giovedì. La buona notizia rincuora la campagna di Kerry, alle corde da settimane con il presidente in testa fino a 5-6% e un solo sondaggio, del quotidiano ‟Christian Science Monitor”, a giudicare in parità la corsa. Il match sulla politica estera era il più favorevole al presidente, giudicato più adatto a governare in tempi di guerra. Nei due altri incontri, una sorta di assemblea popolare e una discussione sulla politica interna e l'economia, Kerry avrà altre opportunità di rimonta. Bush non ha sferrato la stoccata vincente ma non è neppure impegolato nella rete di Kerry, in attesa del colpo di tridente: ieri mattina sembrava avere perso solo un punto di vantaggio, scendendo al 53-54% contro il 47% di Kerry. "Vincere il dibattito", infatti, non implica vincere le elezioni. Nel 1992 i telespettatori diedero la palma all'outsider Ross Perot, poi relegato al 19% dei voti, e Al Gore prevalse su Bush nel primo dibattito del 2000, per poi deludere gli indipendenti. Bush resta l'uomo da battere, ma Kerry è tornato a caccia del 4-5% di indipendenti che, sommato alla base democratica, gli garantirebbe una vittoria di misura. Il presidente Bush è partito bene, rilassato, ma s'è poi indispettito davanti alle accuse di Kerry, non è facile per chi da quattro anni gode solo di consensi o riserbo felpato sentirsi dare del bugiardo, confusionario, leader avventato che mette a rischio il Paese. Ha piegato le labbra in una smorfia, ha bevuto un sorso d'acqua, ha esclamato un "mi lasci finire!", più adatto a una molesta conferenza stampa che non al sacro rito democratico del dibattito. Kerry ha scelto l'aplomb che la stampa parruccona chiama "presidenziale", serio e sostenuto, qualche raro sorriso a ingentilire il volto un po' lugubre. La sua natura di politico appassionato ai dettagli, erede del padre, il diplomatico Richard Kerry teorico delle alleanze vaste, ha fatto capolino dal test in Florida in qualche risposta troppo lunga, articolata o complessa. Le reazioni profonde al test si avranno nel weekend. Potrebbe partire un effetto palla di neve, i commenti via via più favorevoli a Kerry e la gente a convertirsi alla rivincita ai danni di Bush. Ieri il presidente era spietato nel rinfacciare a Kerry le troppe svolte, a conferma che la Casa Bianca non considera un successo la notte di giovedì. Secutor contro il Reziario, due uomini, due visioni del mondo, due Americhe. Una chiusa, l'altra aperta. Una forte, l'altra diplomatica. Il Texas di Fort Alamo e Davy Crockett contro il Massachusetts dei fratelli Kennedy. Stivali a punta contro camicie button down inamidate. Pozzi di petrolio contro computer a Silicon Valley. Due nazioni, due leader, un solo presidente il 3 novembre. 55 milioni di persone, oltre la metà degli elettori 2000, hanno ascoltato un confronto democratico franco e diretto, che la professionalità delle tv Usa non ha lasciato imbrigliare dai burocrati di partito. Le ironie italiane sulla "politica Usa umiliata a show business" trascurano il dettaglio avvilente che alle elezioni politiche 2001 la nostra opinione pubblica non ebbe l'opportunità di vedere a confronto Silvio Berlusconi e Francesco Rutelli. Sarebbe bene che il "faccia a faccia" diventasse tradizione anche da noi, a costo di importare il tanto vituperato manualetto di istruzioni.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …