Gianni Riotta: E Rumsfeld nell'angolo anticipò le critiche

12 Ottobre 2004
Avevano torto tutti ma solo Donald Rumsfeld pensa a un nuovo attacco. Saddam non aveva più armi di sterminio di massa, il programma Onu "oil for food" era corrotto in radice e la guerra "leggera" del Pentagono non assicurava la pace. In 48 drammatiche ore, alla vigilia del secondo dibattito tra il presidente George W. Bush e il senatore democratico John Kerry, le verità sul conflitto in Iraq disperdono miti e propaganda. Il rapporto di mille pagine, consegnato al Congresso dal commissario Cia Charles Duelfer, conferma che Saddam Hussein aveva dismesso il programma segreto chimico, biologico e nucleare dopo essere stato smascherato negli anni Novanta, nascondendo però il dossier anche ai generali. E mentre il segretario di Stato Colin Powell sta zitto, e l'ex governatore a Bagdad Paul Bremer riconosce invece che "non abbiamo mai avuto in campo forze sufficienti a pacificare Bagdad", Rumsfeld lancia la guerra psicologica preventiva. Dichiara che non si potrà restare a lungo a Bagdad. Ha un bel dire il vicepresidente Dick Cheney che "malgrado tutto abbiamo fatto bene a invadere l'Iraq". Rumsfeld, irruento come sempre, prova a dare alla campagna elettorale di Bush il placebo di un possibile ritiro ma, soprattutto, alla propria reputazione un'autodifesa militante. Rumsfeld, con ruvida schiettezza, anticipa le critiche di una generazione di storici e prova ad aiutare il presidente a modo suo, con la fola del ritiro precoce. Ha visto al cinema Fog of war, foschia della guerra, struggente documentario premio Oscar in cui il suo collega della Difesa ai tempi del Vietnam, Robert McNamara, confessa come le menti migliori, le informazioni più lucide, le intenzioni nobili e le virtù carismatiche possano finire ingoiate dalla violenza della guerra, dove, insegna Clausewitz, "unica certezza è l'incertezza". La Cia offre la nuda verità, consapevole di non aiutare le speranze di rielezione di Bush. Il conflitto tra l'intelligence e la Casa Bianca non potrebbe essere più violento, lo spionaggio accusa l'amministrazione di avere distorto i dati, parziali e inquinati dalla disinformazione di Saddam, perseguendo l'attacco unilaterale. Si finiscono di leggere le nitide pagine di Duelfer, pietra tombale sui pittoreschi complotti "se le armi proibite non si troveranno, ci penserà certo la Cia a piazzarle in Iraq!", notando il paradosso, è proprio la Cia a smentire il Pentagono di Rumsfeld. E già il fax ronza con i rapporti dalle Nazioni Unite, il programma "oil for food", baratto tra i proventi del petrolio e gli aiuti umanitari all'Iraq, fruttava al regime di Saddam Hussein 11 miliardi di dollari (9 miliardi di euro), pagando fondi neri a uomini politici e aziende europei, asiatici, americani. Perfino Benon Sevan, il diplomatico cipriota incaricato dall'Onu di vigilare affinché le sanzioni internazionali non affamassero i civili iracheni, avrebbe ricevuto mazzette per un milione di euro. Dovrebbe essere un trionfo, per chi, come Rumsfeld, ha sempre diffidato delle Nazioni Unite, considerato il segretario generale Kofi Annan coinvolto nello scandalo per via del figlio, uno dei revisori dei conti. E invece tra 25 giorni si vota, la confusione si insinua alla Casa Bianca e i democratici giocano di rimessa. Il primo a sganciarsi dal presidente è stato l'ex ministro del Tesoro, Paul O' Neill, accusando Bush di indifferenza e testardaggine. Poi il direttore dell'antiterrorismo, Richard Clarke, ha demolito la strategia ufficiale, osservando che la caccia a Saddam dava fiato a Osama Bin Laden, accusa riproposta ora in un romanzo thriller. I silenzi del segretario di Stato Colin Powell, che dovrebbe andare in pensione a gennaio, sono più eloquenti di un comizio, e anche il governatore a Bagdad, l'evanescente Paul Bremer, ammette quel che il capo di stato maggiore dell'esercito, generale Shinseki, aveva sostenuto, ricevendo in castigo l'annuncio anticipato di congedo: "Non ci sono in campo truppe sufficienti a garantire l'ordine a Bagdad". Quando parla Donald Rumsfeld - il falco dei falchi, l'uomo che invano nel 1983 provò a persuadere Saddam Hussein a sostituire lo Shah di Persia, come partner di Washington nel Golfo - dichiara che non si potrà restare a lungo a Bagdad, e le truppe potranno ritirarsi anche se l'Iraq non sarà la democrazia auspicata dalla foga dei neoconservatori. Perché Rumsfeld, un uomo così spericolato da non aver battuto ciglio quando un attentato terroristico per puro caso non lo decapitò a Beirut durante la guerra civile, offre munizioni a John Kerry, unendosi al coro lugubre dell'autocritica repubblicana? Perché, chiunque vinca le elezioni e i sondaggi confermano i rivali alla pari, con Bush in millimetrico vantaggio nel collegio elettorale, la guerra al terrorismo muterà. La campagna, sponsorizzata da Rumsfeld con il guru Andrew Marshall, per trasformare l'esercito da falange di carri armati e missili in manipoli connessi di commandos e computer, sarà rallentata, per non irritare la gerarchia militare. E non ci saranno nuovi blitz, come sognavano il pupillo di Rumsfeld, Paul Wolfowitz, e i suoi consiglieri, con il motto: "Gli uomini vogliono invadere l'Iraq, i veri uomini l'Iran". Non si tratta di testosterone, mancano divisioni, aerei, soldi e consenso politico. Rumsfeld sa di avere perduto sia la guerra contro i burocrati del Pentagono che la crociata lampo in Iraq. Vinca Bush o prevalga Kerry tornerà in voga un approccio più tradizionale, dottrina dell'arcinemico Powell della "massima forza" contro la guerriglia e consenso con gli alleati in diplomazia. E allora la guerra psicologica preventiva di Rumsfeld con la Storia annuncia audace che ci si può ritirare anche senza un Iraq pacificato. Quando avrà più tempo per tornare in famiglia, il capo del Pentagono mediterà le rivelazioni del libro di Thomas Cantaloube e Henri Vernet, Chirac contre Bush: l'autre guerre: il 16 dicembre 2002, il generale francese Jean Patrick Gaviard, su ordine del presidente Jacques Chirac, si recò al Pentagono a promettere un contingente di 15 mila uomini, navi e aerei contro Saddam. La rottura Washington-Parigi di primavera silurò la coalizione alleata e la missione segreta di Gaviard fu inutile. Ecco perché Donald Rumsfeld lancia l'autodifesa preoccupato della reputazione davanti alla Storia. Ma la Storia rifletterà invece sulle troppe occasioni di consenso sprecate dalla Casa Bianca dall'11 settembre 2001 in poi, quando Donald Rumsfeld inveiva contro "la vecchia Europa" mentre Powell discuteva con il generale Gaviard di inviare la portaerei con il tricolore bianco rosso e blu Clemenceau nel Golfo contro Saddam.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …