Alessandra Levantesi: Cary Grant e Hitchcock tra attore e autore meglio non metter dito

15 Ottobre 2004
Che cos'è nel campo del cinema un "alter ego" lo sappiamo tutti. Si usa questa espressione quando un attore assume ripetutamente, da un film all'altro, la funzione di portavoce del regista. Per cui si dice che Marcello Mastroianni è l'alter ego di Federico Fellini, Erland Josephson è l'alter ego di Ingmar Bergman e Woody Allen (troppo "ego" per ammettere un "alter"?) si propone come l'alter ego di se stesso. Questo affascinante tema sarà affrontato al Grinzane Cinema, nell'ambito della sezione "Il cinema e gli altri media. Lezioni di Stresa", dalla professoressa Giulia Carluccio del DAMS di Torino, sotto il titolo: "Cary Grant e Alfred Hitchcock: dinamiche di scambio fra attore e autore". Di alter ego il mago del brivido ne ebbe almeno due, James Stewart e Cary Grant, con quattro film a testa e alcuni ritengono che fu l'americano Stewart a rappresentare meglio di chiunque altro quello che era Hitch nella vita reale. Di questo attore, considerato il più tipico esempio hollywoodiano dell'uomo comune promosso a eroe di una vicenda eccezionale, il regista adattò l'immagine conformandola alla propria psiche, a come si vedeva lui. Il teorizzatore di omicidi di Nodo alla gola, il voyeur immobilizzato sulla sedia a ruote in La finestra sul cortile, il marito e padre protettivo (ma anche un po' manipolativo) di L'uomo che sapeva troppo e l'investigatore ossessionato dai sensi di colpa di La donna che visse due volte. Questi personaggi, tra i più memorabili della carriera di Stewart, assicurarono al regista un portavoce tanto accattivante da attirare i consensi delle platee. Più complesso è il ruolo che nella filmografia hitchcockiana fu chiamato a sostenere l'inglese Cary Grant, anche lui con quattro incarnazioni: il playboy dai due volti che sposa Joan Fontaine in Il sospetto (1941); l'agente segreto che salva dalle grinfie dei nazisti Ingrid Bergman in Notorious (1946); l'eroe ingiustamente accusato che seduce Grace Kelly in Caccia al ladro (1955) e l'executive che rischia la vita per una bionda misteriosa in Intrigo internazionale (1959). Dalla biografia Hitch di John Russell Taylor apprendiamo che l'incontro fra l'attore e il regista, puramente professionale, avvenne tramite un agente. La sintonia fu però immediata, tant'è vero che a Cary bastò sentir raccontare la trama di Il sospetto per accettare la parte senza neppure leggere la sceneggiatura. In varie occasioni Grant ricordò che all'epoca Hitch era un uomo ancora molto vitale ed entusiasta, in apparenza più giovanile dei suoi 42 anni (il divo ne aveva cinque di meno), traboccante di fiducia e cordialità. Più tardi, sul set, il rapporto fu leggermente incrinato dalla smaccata preferenza del regista per Joan Fontaine, che dal canto suo ne approfittava largamente. Hitch ebbe sempre verso le sue attrici una sorta di fascinazione, tanto più ossessiva quanto meno dichiarata, e in questo caso (a detta di Grant) esagerò. Come si sa Il sospetto è basato sulle ansie di una giovane sposa che a un certo punto teme di aver sposato un assassino; e fino all'ultimo permane il dubbio se ha ragione o torto di preoccuparsi. Alla fine del romanzo di Francio Iles il marito si rivela effettivamente un pericoloso uxoricida, ma sulla conclusione la sceneggiatura (alla quale aveva collaborato Alma, la moglie del regista) era rimasta in sospeso. Di solito i divi ci tengono a impersonare tipi attraenti e positivi, però in questo caso Grant si schierò dalla parte di chi lo vedeva come un potenziale assassino; e in un'intervista da anziano gettò la maschera: "Chi non avrebbe avuto voglia di strangolare Joan Fontaine?". Fu anche sulla spinta del suo attore che Hitchcock girò la versione colpevolista, ma il pubblico delle anteprime non lo gradì affatto e indusse la produzione a girare un finale completamente diverso. È abbastanza eccezionale il caso di un commediante apparentemente leggero in grado di mantenere un personaggio sul doppio binario dell'innocenza e della mistificazione. In questo senso le varie biografie e gli innumerevoli studi dedicati a Hitchcock lasciano intendere che fu proprio Cary Grant, con la sua incredibile carica di ambiguità, a rispecchiare con maggiore proprietà il subconscio di Alfred. Il divo era quello che Hitch avrebbe sognato di essere: prestante, elegantissimo, seduttore infallibile, ma anche condizionato nelle sue azioni da un'anima nera molto accuratamente nascosta.

Alessandra Levantesi

Alessandra Levantesi è critica cinematografica rispettivamente al "Corriere della Sera" e a "La Stampa". E' stata distributrice di film d'autore e organizzatrice di festival.