Fahrenheit 9/11. Storia del documentario più visto di tutti i tempi

03 Agosto 2004
"Prima della guerra in Iraq pensavo di fare un film sui rapporti tra Bush e bin Laden, poi con la guerra anche il mio film è cambiato e posso anticipare che almeno metà è sul conflitto," ha dichiarato Michael Moore e così, da film nato per dimostrare l’illegalità del mandato Bush e sconfessare le bugie raccontate dal "presidente fittizio", Fahrenheit 9/11 è diventato una denuncia esplicita della scellerata guerra in Iraq.
Al centro del film è infatti il contrasto tra il dolore reale provato dalle persone che vivono la guerra sulla propria pelle e il sorriso patinato dei politici che adducono scuse inesistenti per giustificare una guerra combattuta solo per difendere interessi corporativi. Per questo non meraviglia che un film del genere abbia incontrato numerosi ostacoli nel corso della sua realizzazione.
Il documentario, la cui veridicità è stata controllata da èquipe specializzate, è stato prodotto dalla Disney che ha versato regolarmente le cifre pattuite a Moore, salvo poi dichiarare che non avrebbe distribuito il film, obbligando la Miramax, società consociata, a fare altrettanto. A detta di Michael Eisner, amministratore delegato del colosso dell’entertainment, alla base del rifiuto ci sarebbero le eccessive implicazioni politiche del film e l’inconciliabilità con il resto dei prodotti della società, pensati per un pubblico di famiglie. Moore ritiene, invece, che Eisner temesse di perdere quelle agevolazioni fiscali garantite ai parchi Disney di Orlando dal governatore della Florida, Jeb Bush (fratello di George W.), che nel film viene accusato di aver manipolato il conteggio dei voti nel suo stato.
E così, senza un distributore negli Stati Uniti, il documentario di Moore è approdato al festival di Cannes, accolto da una standing ovation di venti minuti.
La pellicola ha entusiasmato da subito e ha convinto la giuria, guidata dal regista Quentin Tarantino e composta per metà da cineasti statunitensi, a conferirgli la Palma d’oro.
L’autore di Pulp Fiction ha difeso strenuamente la sua scelta nella conferenza stampa – indetta per la prima volta dopo la consegna del premio – dichiarando: "Di Fahrenheit 9/11 abbiamo premiato la forza satirica, i tempi, la confezione. La politica non c’entra […]. Il cinema non ha bisogno di belle immagini. Dev’essere profondo, toccante, deve turbare. La scena in cui il soldato americano mette il braccio intorno al collo del prigioniero iracheno incappucciato mi ha sconvolto, è un pezzo di cinema memorabile".
Sull’onda del successo, i fratelli Weinstein della Miramax hanno acquistato i diritti del film dalla Disney e creato la Fellowship Adventures, una cordata di distributori "temerari" composta da loro stessi, dai Lions Gate Films e dal gruppo Ifc Entertainments.
Questa società creata ad hoc ha permesso l’uscita nelle sale degli Usa addirittura prima del 4 luglio (giorno della festa d’indipendenza americana), data auspicata da Moore. Le prime del film hanno avuto luogo l’8 e il 16 giugno a Los Angeles e New York e hanno visto l’intervento di numerose star che hanno accolto in modo entusiastico la pellicola.
Ma i commenti che sicuramente rallegrano di più il regista sono quelli che piovono sul suo sito da parte di "repubblicani pentiti" che, dopo la visione del film, dichiarano che non voteranno più per Bush.
Nelle sale il film è uscito il 25 giugno e nel giro di un mese ha raggiunto la quota di cento milioni d’incasso. Finora nessun documentario era riuscito a ottenere simili risultati. Ha battuto tutti i record e inaugurato un nuovo modo di fare cinema.

Fahrenheit 9/11 di Michael Moore

Reportage inediti, testimonianze dirette, domande impietose poste ai potenti del mondo: scene indimenticabili e mai mostrate dai media compongono Fahrenheit 9/11. Si comincia con le contestazioni alle elezioni presidenziali del 2000 e la denuncia delle imbarazzanti amicizie tra le famiglie Bush,…