Il logo Al Qaeda, istruzioni per l'uso del terrore globale

22 Ottobre 2004
Sono due le notizie dal fronte della verosimile guerra globale contro Al Qaeda. La prima, quella buona, è che Al Qaeda non esiste più. La seconda, quella cattiva, è che questa sigla ha raccolto tra il 1996 e il 2001 solo una minima parte della galassia pressoché incalcolabile di militanti islamici radicali ed oggi è usata strumentalmente da gruppi che non appartengono al nucleo originario dell'organizzazione. Una tesi brillante, quella di Jason Burke, capo-reporter del settimanale londinese ‟The Observer”, autore di Al Qaeda. La vera storia , che può essere considerata con un minimo di attenzione anche da chi ha l'abitudine di pensare il terrorismo globale sul modello di un complotto mafioso, una piovra che allunga i suoi tentacoli lungo le strade, un'organizzazione coerente, forte di una razionalità quasi weberiana strutturata dappertutto con cellule capaci di assorbire nella stessa cupola le reti della sovversione mondiale. L'origine del movimento di Al Qaeda s'inserisce nell'ondata di una rinnovata militanza islamica dell'inizio e della metà degli anni Novanta e può essere letta come parte di una più ampia reazione al fallimento degli obiettivi dell'islamismo politico negli anni Ottanta. Ultimo, ed estenuato prodotto, di un progetto politico post-coloniale che ha flirtato prima con il nazionalismo, il socialismo e il panarabismo, e poi con il revival di ideologie tradizionaliste e repressive che predicavano un problematico ritorno ai testi fondamentali della religione coranica, l'islamismo politico predicato dalla rivoluzione iraniana prima, e dai talebani in Afghanistan poi, ha deluso le aspirazione al cambiamento del mondo musulmano.

La Sharia internazionale.
La frustrazione nasceva dall'incapacità tutta politica di fornire un efficace modello di organizzazione dello stato, una volta conquistato il potere. Efficace forza d'urto di opposizione con ogni mezzo ai poteri costituiti, e ai loro padrini occidentali, mostrava la corda al momento di governare uno stato, come hanno dimostrato i talebani dopo la conquista nel 1997 dell'80 per cento del territorio afghano. Il loro rigorismo salafita deobandi (una corrente teologica nata nella città di Deoband a 146 chilometri a Nord-est di Nuova Dehli), appreso nelle madrase pachistane, imperniato su una lettura del Corano che riconosce l'autorità degli Ulema nell'interpretazione del sacro testo, intendeva creare una società tradizionale improntata alla nostalgia del villaggio rurale pashtun, con un netto rifiuto della modernizzazione portata dai movimenti anti-coloniali tra gli anni Quaranta e Sessanta.
L'impossibilità di universalizzare tale modello è stata una delle ragioni della nascita di politiche di tipo nichilistico e mitologico abbracciate nell'ultimo decennio da parte dei movimenti islamico-fondamentalisti. Specialisti come Olivier Roy e Gilles Kepel, con i quali Burke concorda, hanno spiegato che l'incontro tra i nuovi radicali rappresentati, tra gli altri, da bin Laden, i talebani e i khomeinisti avviene sull'applicazione integrale della Sharia, la legge di dio.
Quello di "Al Qaeda" non è dunque un concetto buono per tutte le stagioni. Ha un significato, ed un uso, controverso ma delimitato nel tempo. Viene dalla radice araba qaf-ayn-dal, indica una base, nel senso di "campo base" o di "sede", ma anche un piedistallo o una colonna. Il concetto di "Al Qaeda" è stato usato a partire dalla metà degli anni Ottanta dai combattenti radicali islamici durante la guerra contro le truppe sovietiche in Afghanistan e veniva declinato da Abdallah Azzam, senz'altro il più autorevole ideologo dei combattenti non afghani, nonché tutore di Osama bin Laden, per definire il ruolo dei volontari jihadisti in termini di un'avanguardia politica dopo la fine della guerra contro i sovietici: "Ogni principio necessita di un'avanguardia che lo sospinga e sostenga compiti immensi ed enormi sacrifici - scriveva nel 1987 - Non esiste ideologia, terrena o celeste, che non richieda un'avanguardia pronta a dare tutto ciò che possiede per conseguire la vittoria". Quella di Al Qaeda avrebbe dovuto essere una "avanguardia dei forti" capace di mobilitare il mondo islamico attraverso azioni esemplari. Ma con un'avvertenza: Azzam non si riferiva ad un'organizzazione o ad un partito, ma solo ad una tattica.
Una tattica a cui bin Laden sembra essersi ispirato sin dai primi anni della sua militanza islamica. Negli anni Ottanta, il suo ruolo in Afghanistan era di supporto logistico ai mujaheddin: asfaltare il deserto per permettere alle decine di migliaia di tonnellate di armi, munizioni e cingolati procurati dai servizi segreti sauditi e pakistani tramite i finanziamenti della Cia (tra il 1981 e il 1984 l'agenzia stanziò tra i 30 e i 200 milioni di dollari annui per queste operazioni). Steve Coll, uno dei direttori del ‟Whashington Post”, nel suo monumentale volume La guerra segreta della Cia. L'America, l'Afghanistan e bin Laden dall'invasione sovietica al 10 settembre 2001 esclude che Bin Laden fosse un agente della Cia e sostiene che l'intelligence statunitese seppe della sua attività in Afghanistan solo alla fine degli anni Ottanta, ma non lo collegò ad "Al Qaida". Il primo accenno a questa organizzazione avvenne nel 1996 nel rapporto Osama bin Laden: finanziere islamico estremista in cui si leggeva: "nel 1985 bin Laden aveva organizzato un Fronte di salvezza islamico o al Qaeda" per sostenere i mujaheddin in Afghanistan.
Osama bin Laden era il diciassettesimo figlio di una dinastia petrolifera vicina alla famiglia reale saudita che, non diversamente dai figli di buona famiglia suoi coetanei, aveva cercato e trovato il suo destino nella lotta armata contro l'infedele sovietico invasore. Il suo gruppo era calcolato in poche decine di volontari che gli avevano giurato fedeltà nel 1989 e che sfruttava le competenze finanziarie e militari di un gruppo egiziano, quello della Al-Gamaa al-Islamiyya guidato dal dottor Al-Zawahiri. In quel rapporto la Cia spiegava dettagliatamente le attività di bin Laden, ma ancora non faceva alcun accenno ad Al Qaeda. Questo avvenne solo nel 1997, nel rapporto Patterns of Global Terrorism, dove il Dipartimento di Stato definiva Al Qaeda una "centrale operativa soprattutto per estremisti sunniti ideologicamente affini".

La fatwa della grotta.
La "svolta" militare di Al Qaeda avvenne nel 1996. Dal budello di Tora Bora, una remota grotta usata tempo prima come rifugio dai mujaheddin, bin Laden lanciava la sua personale fatwa contro gli americani che avevano occupato i luoghi santi del Profeta in Arabia Saudita. Il 23 agosto, in un lunga e sconnessa dichiarazione di guerra, formulava contro il suo paese di origine una serie precisa e moderna di accuse contro ll'ingiustizia della disoccupazione di massa "di centinaia di migliaia di laureati", al basso reddito dei dipendenti pubblici, alla miserabile condizione dei servizi sociali (quelli idrici in particolare). L'unica alternativa era la guerra contro la casa reale saudita e contro tutti i suoi alleati.
In questo modo, bin Laden rompeva una consuetudine dei gruppi islamici di opposizione, mutuata con ogni probabilità dalle vecchie battaglie anticolonialiste. In precedenza, infatti, questi gruppi avevano preso di mira i propri governi e non i loro sostenitori politici e finanziari. Il mutamento di strategia era quindi radicale. Bin Laden prospettava uno spostamento del conflitto a livello mondiale: la guerra santa doveva "deterritorializzarsi" e colpire il "nemico maggiore", gli Stati Uniti, per incidere sul "nemico minore", l'Arabia Saudita, cambiando così gli equilibri regionali.
Dicembre 2002. Siamo nel Ramadan. Il 6, in occasione della festa di interruzione del digiuno, due comunicati vengono pubblicati sui siti internet usati da Al Qaida. Il kuwaitiano Sulayman Abu Ghayth, portavoce di Al Qaeda, rivendica tutti gli attentati avvenuti tra il 1998 e il 2001 contro gli Stati Uniti: le ambasciate americane di Nairobi e di Dar es-Salam (7 agosto 1998), il cacciatorpediniere Cole ad Aden (2000), le Torri Gemelle e il Pentagono (11 settembre 2001), oltre a una serie di attentati in Tunisia, Yemen, Pakistan, Kuwait, Bali e Afghanistan.

Terrorismo in franchising.
Poco chiari sono i termini esatti del coinvolgimento di bin Laden in questi massacri. È possibile comunque immaginare una scala graduata che stabilisce ad una estremità la massima responsabilità per un attacco come quello di Nairobi maturato all'interno del cosiddetto "nocciolo duro di Al Qaeda". Dall'altro lato si colloca la maggior parte degli attentati compiuti da individui che non hanno mai avuto rapporti diretti con il nocciolo, o con bin Laden in persona, ma che ne rivendicano gli stessi obiettivi. È questo il punto di forza, e di debolezza, di Al Qaeda: la capacità di mettere il suo "marchio" su iniziative individuali ed episodiche, ma anche di finanziarie e realizzare direttamente devastanti operazioni. Uno, nessuno e centomila: chiunque è dentro la "rete", anche se nessuno può dire di appartenerle. Il giordano Al-Zarkawi lo sa bene e in Iraq non fa altro che usare il marchio di successo "Al Qaeda".
Ci sono almeno due fasi in questa storia. Dal 1996 al 2001, Al Qaeda ha funzionato per cerchi concentrici: il "nocciolo duro" dei militanti attorno a bin Laden; poi una "rete delle reti", gruppi reclutati e addestrati come quello tedesco di Mohammed Atta per l'11 settembre; e infine la massa dei volontari che affollavano campi militari in Pakistan, al confine con l'Afghanistan. Dopo il 2001, ha lanciato una nuova idea: il terrorismo in franchising. Dopo l'arresto della maggioranza dei membri del suo "nucleo duro" tra il 2001 e il 2003, il suo marchio è diventato completamente virtuale, inverandosi nelle azioni di chiunque lo usi per giustificare i propri fattacci. E non è detto che la struttura a cerchi concentrici non sia usata oggi da altri gruppi.
Il modello Al Qaeda era come un'università ricca di risorse che assegna borse di studio agli studenti più volenterosi. La "Fondazione Guerra Santa" non indottrinava solo i suoi discepoli nelle scuole coraniche pachistane, ma era anche quella finanziaria che valutava i migliori brevetti sulla pianificazione delle stragi e ne incoraggiava la realizzazione. Aveva anche un comparto editoriale che diffondeva gli scritti di bin Laden o di Al Zawahiri, un'essenziale "enciclopedia della Jihad" in 11 volumi realizzata tra il 1990 e il 1992 e completa di tutte le tecniche di guerriglia all'ultimo grido, oltre alle celebri videocassette con scenografie di cartapesta dove bin Laden scendeva dai monti con il suo kalashnikov.
E le fonti di finanziamento della rete? Numerose sono state le smentite da parte dei membri dell'élite saudita: mai finanziato bin Laden. E la sua potente famiglia? Tutti i 52 parenti lo hanno ripudiato. Ma un rapporto dell'intelligence, reso noto nel 2000 dall'Assemblea Nazionale francese, sostiene che bin Laden abbia usato tre banche saudite, la Al Shamal Islamic, la Tadamon Islamic e la Faisal Islamic Bank, per distribuire denaro ai gruppi combattenti. A capo di quest'ultima ci sarebbe il principe Al Faisal Al Saud, la qual cosa smentirebbe l'estraneità della famiglia reale con le trame dello sceicco terrorista. Ma Al Qaida non ha disdegnato strumenti più tradizionali di finanziamento: come altri movimenti islamici radicali ha utilizzato la rete Hawala, il tradizionale sistema che impone ad ogni musulmano la zakat, un elemosina pari al 2,5 per cento del patrimonio personale da devolvere alle moschee e alle reti della solidarietà musulmana. Sembra che una parte di questa montagna di denaro, elargito dagli emiri della penisola arabica, e passato per alcune scuole coraniche pakistane, abbia finanziato per anni i gruppi dell'estremismo dispersi in Pakistan ed altrove.

A caccia di bin Laden.
La politica del marchio "Al Qaeda" ha fatto proseliti in Iraq, in Egitto, in Turchia e in Spagna. Come alla fine degli anni Ottanta, bin Laden è tornato a essere il primus inter pares, sia pur carismatico e carico di storia, in un pantheon di martiri combattenti che ha fatto domanda per allargare gli spazi dei propri loculi. La difficoltà degli stati di bloccare questa marea montante è dovuta all'entità non statale del terrorismo globale. Sotto attacco, lo stato non capisce chi è, e dove si trova, il suo nemico. Di assoluta rilevanza a questo proposito sono le discussioni, sempre tese e talvolta ostili, che Richard Clarke, capo del ‟National Security Council”, l'agenzia anti-terrorismo che lavora presso la Casa Bianca, e Paul Pillar, l'esperto Cia dell'anti-terrorismo, ebbero sotto la presidenza Clinton tra il 1996 e il 1998.
Pillar considerava il terrorismo come una "minaccia da tenere sotto controllo, non da eliminare" scrive Steve Coll. Dal suo punto di vista una guerra contro il terrorismo "non si può vincere in quanto non ha né un nemico fisso né la prospettiva di venire conclusa", ma solo "essere ridotta ed attenuata". Clarke pensava l'opposto e spinse la Casa Bianca ad adottare una svolta "legale" nelle politiche dell'anti-terrorismo: avrebbe cioè usato l'intelligence come forza di polizia internazionale, accanto alle forze speciali dell'esercito. Ciò prevedeva anche misure di boicottaggio dei finanziatori delle reti terroristiche, la definizione del terrorismo come problema della sicurezza nazionale che spingeva ad adottare un'immunità pressoché assoluta rispetto alle legislazioni locali sull'estradizione dei terroristi."Firmai molte notificazioni per autorizzare la Cia ad usare armi letali contro bin Laden" conferma Bill Clinton nelle sue memorie (My Life). Un omicidio commissionato dal Presidente? chiese allibito il consigliere Lloyd Cutler. "Non ci vuole un genio - gli rispose il vice-presidente Al Gore - Certo che è una violazione degli accordi internazionali, ecco perché è un'operazione segreta. Quel tipo è un terrorista. Andiamo a prenderlo".
Pur dotata di strumenti paramilitari la Cia, per una serie di impedimenti tra i quali la riluttanza di Clinton e del Pentagono a usare le truppe speciali per intervenire tempestivamente nella fattoria di Tarnak in Afghanistan, non riuscì mai a uccidere bin Laden. E dopo la tragedia rimane ancora il dubbio: con un bin Laden morto ci sarebbe stato comunque l'11 settembre?

Al-Qaeda di Jason Burke

Al Qaeda è la parola più utilizzata e fraintesa dai media. In arabo la parola è un sostantivo astratto. Il suo significato include concetti come ‟schema”, ‟formula”, ‟base”. Ma che cos’è esattamente Al Qaeda? Il catalizzatore di uno scontro tra cultura occidentale e islamica o semplicemente un…