Riccardo Staglianò: Casa Bianca, pressing neocon un programma in sette punti

02 Dicembre 2004
Parlando dei neocons dovrebbe valere la stessa regola da applicare ai ribelli di Falluja: contare fino a dieci prima di dichiararli spacciati. "L’approccio neoconservatore in politica estera - scriveva il direttore Moises Naim sul penultimo numero di "Foreign Policy" - giace sepolto nelle sabbie dell’Iraq". Principali ideologi della guerra a Saddam Hussein e influenti consiglieri di George Bush su tutti i temi diplomatici, le loro fortune sembravano irreversibilmente compromesse dal sanguinoso andamento del conflitto. E invece, a giudicare dal rimpasto governativo, il loro peso sulle scelte dell’Amministrazione sarà ancora maggiore nel secondo mandato di quanto non lo sia già stato nel primo. I sintomi del loro invidiabile stato di salute abbondano. "I neocons si sentono assai fiduciosi adesso - spiega Jonathan Clarke, analista del conservatore "Cato Institute", nonché autore di un libro sul fenomeno - le cose stanno andando bene per loro, un gruppo di persone che, in ogni società razionale, dovrebbe essere in cerca di un altro lavoro e invece è stato promosso". La sostituzione di Colin Powell, ultimo argine al loro strapotere, con Condoleezza Rice a segretario di Stato ne è una riprova. Tanto più eloquente dal momento che a farle da vice potrebbe arrivare l’attuale numero tre John Bolton, uno dei più intransigenti sostenitori della linea dura con Iran e Corea del Nord. Non solo: sebbene criticatissimi da vari membri dello stesso partito repubblicano, sia il vicesegretario alla Difesa Paul Wolfowitz che il sottosegretario Douglas Feith, entrambi neocon doc, restano saldamente in sella. "Ma non è tanto importante chi conquista quale posto - commenta Gary Schmitt, direttore del "Project for a New American Century", uno dei "pensatoi" più organici al movimento - piuttosto conta che il Presidente non si è mai discostato dalla sua agenda politica e l’ha ribadita dopo il 2 novembre: crede che il successo in Iraq sia possibile e non ha alcuna intenzione di permettere all’Iran di acquisire armamenti nucleari". L’Iran, appunto. Ossessione della destra muscolare e dell’ascoltatissimo Michael Ledeen, in particolare. "Non c’è via di scampo dalla guerra contro i mullah", ammoniva già a maggio sulla "National Review Online", lettura prediletta dei neoconservatori. Lo stesso che, come rivelava nei giorni scorsi il Los Angeles Times, suggeriva a una platea di nostalgici dello scià l’"investimento" ("per un Iran libero bastano 20 milioni di dollari") di un golpe interno (contattato da Repubblica, Ledeen non ha voluto commentare). I suoi compagni di ideologia che accettano di parlare ostentano disinteresse per il gioco delle poltrone. Sono le idee a contare per Mark Gerson, curatore dell’"Essential neoconservative reader", la più completa antologia del loro pensiero: "Tutti gli indicatori mostrano che il Presidente continuerà a portare avanti una politica estera ambiziosa, idealistica e coraggiosa che rifletta il credo, non solo neocon, che l’America abbia la speciale missione di sradicare dal mondo la quantità maggiore possibile di male". Per la pratica c’è ancora tanto da fare. La lista più completa sembra quella stilata dopo le elezioni sempre sulla "Review" da Frank Gaffney, vice-segretario alla Difesa sotto Reagan e fondatore del "Center for security policy": domare Falluja e le altre roccaforti irachene; "cambiare regime, in un modo o nell’altro, in Iran e Corea del Nord"; aumentare le risorse per esercito e intelligence per "combattere la IV guerra mondiale"; migliorare la protezione della madrepatria; "mantenere la lealtà ad Israele"; risolvere il problema di Francia e Germania e ottenere la loro "disponibilità a far causa comune con i nostri nemici"; affrontare le "politiche fasciste della Cina", "l’autoritarismo crescente di Putin", "la diffusione mondiale dell’Islamofascismo e l’emergere di regimi anti-americani in America latina". Sette voci, assicura Gaffney, che "non rappresentano un programma imperialista neocon ma un elenco delle cose da fare che il mondo domanderà a questo Presidente".

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …