Gianni Riotta: Tra gli orfani nel Paese dell’Aids

10 Dicembre 2004
La strada che va alla chiesa ha molte buche ma almeno gode, con solo altri 5.254 chilometri in Malawi, di un velo di asfalto, il resto del Paese africano è percorso da una ragnatela di 28.400 chilometri di rossi sentieri, infidi in questa stagione di pioggia. I veicoli corrono irrequieti, ma il vero traffico si svolge lento sulla mulattiera. A piedi nudi, zuppi per gli acquazzoni, tenuti per mano dalle sorelle maggiori che guardano preoccupate i camioncini carichi di braccianti, i bambini vanno a messa. Hanno l’abito della festa, tele lise con i cuoricini, colletti lavati in capanne di fango e rami senza acqua, rammendati dalla nonna, pur di non sfigurare. Qualcuno sfoggia sandaletti infradito da spiaggia rovinati dai sassi, pochi scarpe blu da bambina. «Sono orfani, come loro ce n’è almeno un milione in un Paese che conta undici milioni di abitanti, la metà sotto i 15 anni», spiega Aida Girma, bellissima rappresentante dell’Onu in Malawi. È l’Aids a disperdere le famiglie, i «mudzi», gli antichi villaggi, i «madambo», le comunità sorte lungo i corsi d’acqua, a sterminare le città e a mettere a rischio il Paese, tra i più poveri del pianeta. Bizwick Mwale, direttore del Nac, Commissione Nazionale Aids, guarda fuori dal suo ufficio, un cubo di vetro che domina prepotente la piana dove i mezzadri si spezzano la schiena zappando e all’orizzonte non c’è un trattore: «Piove. Tempo da Scozia, mi ricorda gli studi di medicina al college di St. Andrew’s, dove hanno inventato il golf. Sono stati i missionari scozzesi a battezzare Blantyre in onore della città natale del dottor Livingstone, il famoso esploratore. Qui giocano in pochi, si fatica a mangiare. I numeri dell’epidemia Aids? 40 milioni di infetti nel mondo, in Africa 28 milioni, due milioni e 300.000 morti nel 2003, di cui 87.000 in Malawi. Abbiamo 900.000 sieropositivi, uno su dieci cittadini». È giovane il dottor Mwale, ma non ha più voglia di sorridere. Secondo Aida Girma gli orfani in strada «potrebbero essere fino a un milione e mezzo» e il loro destino è segnato. Se il padre muore di Aids, la madre, per costume tribale, va in dote al cognato. Il contagio cambia di letto e passa alla cognata, ma lo zio- padre adottivo non paga più l’euro all’anno dovuto per la scuola. Agli orfani resta la fatica dei campi, il tabacco verdissimo, la candida tapioca, il mais dolce, le patate saporite, le noci aromatiche, le capre da pascolare. Se la famiglia è generosa e non li ritira dalle aule poco cambia. C’è un banco ogni sei scolari, un maestro ogni 80 bambini: «I professori muoiono in fretta, non riusciamo a diplomarne di nuovi - dice corrugando la fronte il ministro della Sanità Hetherwick Ntaba, chirurgo costretto a fronteggiare il male senza risorse -: a scuola spesso si canta un inno e basta, i bambini si arrampicano sugli alberi. Al ministero vediamo le scrivanie svuotarsi, in un mese scompaiono anche 30 funzionari. Muore un esperto di acque potabili e lo rimpiazziamo con uno studentino. Pochi giorni e scompare anche lui». Gli orfani che vanno in chiesa in fila non hanno perso il sorriso, giocano a saltare le tombe, finto marmo, un cippo a piramide, la cornice laterale, la lastra di copertura. Le vedete una dopo l’altra, la donna che vende banane perché l’orto non le basta per i troppi bambini e spera di pagare la tassa scolastica e le medicine le affianca umile, l’ambulante con i caricatori per i cellulari (135.000 contro 85.000 telefoni fissi) le guarda assorto, il ragazzo che allinea il «matemba», pesciolini seccati e impolverati di sabbia, tenta di ignorarle. I bambini, come in un’allegra Totentanze, la danza della morte medievale, le scavalcano a piè pari, ridono e vanno. L’Aids miete 238 morti al giorno, senza che la malaria ceda il record macabro di maggiore killer del Paese. Dieci anni fa in Malawi si viveva in media fino a 48 anni, oggi ci si aspetta di vivere solo 37 anni, poco più degli schiavi in America ai tempi delle piantagioni. Possibile però che la tragedia porti a seppellire i morti ai lati della strada più battuta? No, i sepolcri sono vuoti, in vendita. La via per la chiesa è un supermarket all’aperto, dove i parenti dei defunti contrattano in fretta un cippo e provvedono alla sepoltura. Don Mario, energico sacerdote di origine bergamasca, conferma: «Ho una cooperativa di 600 ragazzi, qui nessuno ha lavoro, sono poco più che bambini, li tengo occupati. Ci siamo messi a costruire bare per caso, e subito è stato un boom». Quando l’asfalto finisce e la pista in argilla rossa si allaga d’acqua, solo i bambini restano a offrire una minuscola arca di Noè intagliata in legno, un ciottolo lucente, un cestino intrecciato, non vogliono passare, orgogliosi, per mendicanti, chiedono la carità ma in cambio di qualcosa. I venditori di legna, un quintale di tronchi assicurati all’esile telaio della bici, li superano attenti a non ribaltarsi nella foresta. Il compito del ministro Ntaba è precario come il loro equilibrio. Oggi sono in cura in Malawi 8.000 malati di Aids, appena 50.000 in tutta l’Africa, l’Onu ne vorrebbe 3 milioni. La Comunità di Sant’Egidio, forte dei successi ottenuti nel vicino Mozambico, ne cura da sola 600 e prepara ambiziosi progetti futuri. Save the Children provvede agli orfani con 63 scuole e si appresta a far di più. Médecine sans Frontières ha un ospedale a Thiolo, 25 chilometri a sud di Blantyre: «Le mamme arrivano, muoiono, si lasciano dietro gli orfani». I 78 ospedali sono scantinati con i letti di metallo rovinato dall’umidità, malati terminali contesi da Aids, tubercolosi e malaria, denutriti cronici. Salvare le loro vite costa 2.500 «kwacha» in moneta locale, 32 euro a testa, la metà di un paio di jeans. Ma un uomo su due, e due donne su tre sono analfabeti, incapaci di seguire le istruzioni. I malati al Lighthouse, l’ospedale di Lilongwe, capitale del Malawi, interrompono la terapia, ricadono e si riducono a scheletri (Sant’Egidio ha record perfetti, seguendo ogni ammalato a vista). All’ospedale di Kasungu 400 malati si contendono 179 letti. Nel reparto pediatria, 101 bambini hanno a disposizione 13 letti, il resto sono sacchi in terra. Il morbo ha massacrato medici e infermieri, chi può emigra in Inghilterra. Un infermiere bada a 60 malati, salario mensile 10 euro. Un anziano prelato cattolico confida amareggiato: «Ho visto ordinare dodici preti e già dieci sono morti di Aids». Che fare? Lester Namatakha, direttore del programma bambini di Save the Children, parla di «adottare a distanza le comunità, il mondo sviluppato deve capire che non si salvano i bambini uno per uno, occorre battere povertà, ignoranza, epidemia nei villaggi». Adesso la processione dei bambini è quasi arrivata alla chiesa, alcuni indosseranno la cotta viola con colletto bianco da chierichetto, le bambine con i grembiulini umidi siederanno a destra dell’altare. La strada è insidiosa, «molte tribù credono che facendo l’amore con una vergine il "sangue veloce" delle ragazze guarisca dal contagio che il "sangue lento" delle donne diffonde: in Malawi e in Sud Africa questa atroce leggenda porta allo stupro di tante bambine. E la violenza è consumata anche in famiglia, nel silenzio», racconta il dottor Mwale, fissando il cocktail di gazosa colorata di zenzero. Quando la povertà rapisce le adolescenti dalla strada della chiesa, l’appuntamento è al bar Panorama, fuori Blantyre. Un bar ben fornito, le casse con la musica reggae, ogni ragazza costa 750 kwacha con il profilattico, 1.500 senza, allo stesso prezzo i bambini vendono l’Arca di Noè in legno con le coppie di animali intagliati. È ancora possibile salvare il Malawi dal diluvio Aids. Il metodo «ABC» (Astinenza, Basta un solo partner, Contraccettivi anticontagio) ha portato l’Uganda dal 18% di casi al 6%, con l’alleanza di chiese, moschee e volontari laici. L’Inghilterra ha stanziato la scorsa settimana 100 milioni di dollari per reclutare nuovo personale sanitario, il ministro Ntabe sogna ora di curare 80.000 pazienti. Richard Feachem, direttore del Fondo Globale per l’Aids, non ha dubbi: «Il Malawi è il Paese chiave nella lotta mondiale all’Aids, se lo fermiamo qui, tutta l’Africa reagirà». Ignari di essere in prima linea, i bambini della chiesa offrono diligenti il loro nichelino alla cassetta di latta delle offerte. La predica è in chichewa, l’antica lingua indigena, e non capisco nulla, ma mi piace pensare che parli dell’obolo della vedova del Vangelo, che come i miei piccoli vicini di panca offre il poco che ha ed è dunque cara al Cielo.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …