Riccardo Staglianò: Noi ingegneri americani che cambiammo la storia

14 Dicembre 2004
Per Ibm la grandezza è stata spesso un ostacolo. Negli anni ‘50 controllava il 90 per cento del mercato del mercato informatico con i giant brain, calcolatori grandi come una villetta familiare e costosi quanto un aereo. Negli anni ‘80, complice una lunghissima vicenda giudiziaria con l’Antitrust che l’accusava di ledere la concorrenza, la sua fetta era scesa al 40 per cento. Sembrava un dinosauro che non riusciva a stare al passo coi tempi. Una delle persone che la salvarono dall’estinzione fu William Lowe, allora direttore del Boca Raton Lab, che nell’estate dell’80 l’azienda mise a capo del team di 12 ingegneri che doveva realizzare, di lì a un anno, il primo personal computer della casa. Ci riuscì. E commentare la notizia di ieri, al telefono dall’Arizona, non lo rallegra.

La sua ex compagnia si trasferisce a Pechino: qual è la sua reazione?
Sono sempre deluso nel vedere un’azienda come la Ibm perdere il suo entry level, la parte che ha più direttamente a che fare con i consumatori. Da tempo era chiaro che fosse in atto un forte spostamento dell’azienda dalle macchine ai servizi, ma speravo che questo riposizionamento non significasse perdere tutto il comparto, perché sono dell’avviso che è con i nuovi prodotti che si vince la fiducia del cliente, al quale dopo si offrono anche i servizi.

È un segno dei tempi, la Cina che si mangia l’America un pezzo per volta?
Spero che non vada a finire così ma è un fatto che poco più di 20 anni fa i nostri televisori li facevamo qui, poi in Giappone, quindi in Corea e dopo ancora in Cina. Anche la Rca era un simbolo americano. C’è una battaglia feroce sulla competitività, sul costo del lavoro, che bisogna affrontare. Ibm aveva da tempo fabbriche in Cina, avrei preferito che avessero continuato così, spostando lavori là ma senza perdere la direzione tecnica dell’azienda.

Non si fida degli ingegneri cinesi?
Non do un giudizio di merito. Ma constato che probabilmente gli americani perderanno ogni voce in capitolo e il nostro design, l’architettura e la struttura generale dei pc erano molto buoni. I nostri personal cambiarono la storia dell’informatica. Magari non andrà così, ma se lo fosse sarei molto rattristato. è anche vero che molti anni fa i marchi giapponesi non erano granché affidabili, poi le loro procedure di qualità sono state esportate in tutto il mondo. Guardando ai trend, sono riusciti a fare cose di migliore qualità a prezzi inferiori. Adesso potrebbe essere il turno della Cina.

Si poteva evitare, secondo lei?
Forse. Di certo il nostro Paese non si occupa bene di arginare questa tendenza. Credo che l’Europa, ad esempio, tenti molto meglio di noi di preservare ogni elemento della propria economia. Quando si perde un pezzo come questo, è anche una bella fetta di cultura industriale che sparisce. Il governo dovrebbe intervenire, a rischio di essere accusato di protezionismo.

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …