Marco D'Eramo: Bush. Il Messaggio preventivo

10 Febbraio 2005
Un George W. Bush sicuro come non mai e sprizzante ottimismo ha pronunciato ieri sera l'annuale Messaggio sullo Stato dell'Unione davanti alle Camere riunite, alla Corte suprema e alle massime cariche degli Stati uniti. A sottolineare visivamente il successo dell'affluenza al voto a Kabul (in autunno) e a Baghdad (quattro giorni fa), Laura Bush ha ascoltato il suo presidenziale consorte seduta tra un elettore afghano e uno iracheno. Il discorso, trasmesso in diretta su tutte le grandi reti nazionali Usa, è iniziato alle 21, fuso orario di Washington, cioè alle 3 del mattino ora italiana, troppo tardi per poter renderne conto. Ma le indiscrezioni filtrate dalla stampa prospettavano un messaggio abbastanza prevedibile - con un'unica eccezione - dedicato in ugual misura alla politica interna e a quella estera. L'eccezione riguardava la possibilità di annunciare un ipotesi di calendario o almeno un orizzonte realistico, per l'inizio del ritiro - per quanto parziale - dall'Iraq. Una tale possibilità è divenuta meno remota proprio per la "vittoria della democrazia" di domenica scorsa, soprattutto dopo che Bush stesso, la neo segretaria di stato Condoleezza Rice e l'ambasciatore a Baghdad John Negroponte hanno avuto frenetiche consultazioni telefoniche che hanno provocato da parte degli esponenti del regime a interim iracheno dichiarazioni a catena sull'imprescindibile necessità che i soldati Usa non se ne vadano.
Nel messaggio di ieri Bush ha cercato di definire i due obiettivi a lungo termine che aveva vagheggiato a grandi pennellate nel discorso d'insediamento il 20 gennaio, e cioè sul fronte interno, l'edificazione di una "società di proprietari" e, sullo scacchiere internazionale, la "sconfitta della tirannia nel mondo".
Nelle intenzioni del massimo stratega presidenziale, Karl Rove, "società di proprietari" è non solo uno slogan, ma un traguardo politico: costruire un nuovo blocco storico paragonabile a quello del New Deal negli anni `30 del XX secolo, e porre le fondamenta per una pluridecennale egemonia simile a quella inaugurata da Franklin Delano Roosevelt: d'altronde già il presidente Edgar Hoover credeva alle virtù taumaturgiche terapeutiche della "proprietà privata" in grado di sanare ogni male sociale.
Tutte le iniziative del secondo mandato di Bush hanno perciò due risvolti, l'uno teso a realizzare gli obiettivi ideologici, tipo "minimizzare lo stato", "privatizzare la società", e il secondo - ma non meno importante - mirato a smantellare le basi finanziarie e a svuotare i serbatoi di voto del partito democratico. A questo duplice scopo è finalizzata la privatizzazione parziale della Social Security che Bush vuole così fermamente: da un lato essa riduce il ruolo dello stato e taglia l'assistenza pubblica; dall'altro, incitando i giovani a capitalizzare in fondi d'investimento una parte di ciò che ora quotizzano per la mutua, tende a creare una "generazione di investitori" le cui sorti saranno legate a doppio filo a quelle del mercato azionario e che dunque saranno privatisti "nel portafoglio" per quanto possano aspirare a pubblici servizi "col cuore": ricordate il famoso slogan francese "il cuore a sinistra, il portafoglio a destra".
La stessa duplice funzione è assolta da altre iniziative, come il limitare le spese discrezionali interne all'1% del bilancio (sono esentati il dipartimento della difesa e quello della sicurezza interna): qualunque programma sociale risulterà così impossibile; oppure il porre un tetto ai risarcimenti che medici, ospedali, industrie sono ora condannati a versare a chi è stato danneggiato: si favoriscono così le grandi imprese, ma nello stesso tempo s'indebolisce la categoria degli avvocati che finanzia in massa i democratici. Altre iniziative, come quelle dei voucher scolastici, tendono sì a privatizzare la scuola, ma anche ad attrarre una parte dell'elettorato nero benestante che vuole evitare ai propri figli l'inferno della scuola pubblica americana: e da decenni i neri votano al 90% democratico. Sarà deluso però chi su tutti questi temi si aspettava dettagli concreti, politicamente troppo scomodi per essere enunciati in diretta tv.
L'altra metà del Messaggio verteva sulla "lotta alla tirannia nel mondo": si trattava in primo luogo di esaltare gli "straordinari successi" della dottrina Bush. Non è necessario essere indovini, basta leggere i recenti comunicati presidenziali, per supporre che nel Messaggio di stanotte, per quanto assai diverse tra loro, le quattro elezioni dei mesi scorsi in Afghanistan, Ucraina, Palestina e Iraq, sono state usate come la dimostrazione di quanto giusta, giustificata e fruttuosa è la strategia di guerra preventiva e di esportazione della democrazia sulla punta del fucile (Bush si appresta a chiedere altri 80 miliardi di dollari per Afghanistan e Iraq - oltre naturalmente a un gonfiatissimo bilancio del Pentagono).
Da questi successi viene per Bush la conferma a perseguire nel secondo mandato le stesse politiche adottate nel primo, in particolare le politiche aggressive nei confronti dei paesi dell'"Asse del male". Nel mirino in primo luogo l'Iran, ma anche la Corea del Nord che sembrava fin qui dimenticata (un punto interrogativo riguardava lo scacchiere del Darfur in Sudan). Anche qui pochi dettagli: l'importante - questo il costante messaggio di Bush - è che "dio è con noi" nel portare al mondo libertà coi bombardieri.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …