Gianni Riotta: Kennan, padre scomodo della guerra fredda

21 Marzo 2005
La notte del 22 febbraio 1946 un "lungo telegramma" parte, con le vecchie telescriventi sferraglianti, dall’Ambasciata americana a Mosca verso Washington. La guerra è finita da nemmeno un anno, le foto dei soldati russi e americani che fraternizzano sul fiume Elba ancora evocano calore. Il "lungo telegramma" cambia l’umore del pianeta: redatto dal ministro consigliere dell’Ambasciata Usa, George Kennan, il testo spiega che l’Urss di Stalin "è sorda alla logica della ragione, ma assai sensibile alla logica della forza". Citando una massima dell’imperatore romano Probo, raccolta dal suo adorato storico Edward Gibbon, Kennan propone di "contenere" l’impero sovietico, con la pressione militare, ma al tempo stesso usando la leva economica, politica e culturale, e vincendo così la battaglia delle idee in Europa. George Kennan, scomparso giovedì 17 a 101 anni, fonda con quel telegramma, e con il famoso articolo siglato con la lettera "X" sulla rivista ‟Foreign Affairs” nel 1947, la strategia occidentale nei confronti dell’Urss che avrebbe, mezzo secolo più tardi, portato alla vittoria nella "guerra fredda", lo slogan con cui il finanziere Bernard Baruch definì la nostra era. Freddo in apparenza e sentimentale in realtà, aristocratico, coltissimo, capace di scrittura perfetta, Kennan è considerato da Henry Kissinger "come il più originale autore della dottrina diplomatica dominante". È Kennan lo stratega intellettuale del Piano Marshall, che salva l’Europa dalla fame e spunta la propaganda del Cremlino contro le democrazie. È Kennan a mitigare i rigori dell’occupazione in Giappone, lasciando presto la mano ai civili. È Kennan a suggerire la creazione della Cia, "strumento di guerriglia politica". Ed è Kennan a lanciare ‟Radio Free Europe”, l’emittente che i dissidenti dell’Est, da Vaclav Havel a Lech Walesa, ascoltano in segreto. Un gigante, premiato dal presidente Bush padre con la Medaglia della Libertà, la più alta onorificenza civile del paese, autore di una ventina di saggi, docente a Princeton dove Albert Einstein e il padre della bomba H, Robert Oppenheimer, lo considerano un amico. Eppure Kennan rimane, sino all’ultimo intervento prima della morte, un anticonformista, un outsider, un ribelle intellettuale contro le idee dominanti e, spesso, anche contro le sue stesse riflessioni. In una polemica intervista a Jane Mayer del ‟New Yorker”, alla vigilia dell’attacco all’Iraq, ammonisce: "Questi interventi si sa come cominciano e non come finiscono". Davanti al Congresso, nel 1975, definisce l’invenzione della Cia, "il peggiore errore che io abbia commesso". Si schiera contro l’invasione della Corea del Nord, la guerra in Vietnam e prova a controllare la corsa nucleare con tanta foga che il ministro degli Esteri Dean Acheson lo investe: "Se la pensi così, perché non te ne vai a predicare con i quaccheri?". Un altro segretario di Stato, John Foster Dulles, protagonista della guerra fredda che Kennan aveva strutturato, gli toglie ogni carica diplomatica, lasciandolo alla carriera universitaria di Princeton. Un breve ritorno al Foreign Service, sotto il presidente Kennedy come ambasciatore a Belgrado ai tempi di Tito, finisce male. Kennan vuole aprire ai commerci per avvicinare la Jugoslavia all’Occidente, il Congresso rilutta e "Mister X" dà per sempre le dimissioni. L’altro colosso della politica estera Usa, Averell Harriman, condensa arguto il dilemma: "George capisce alla perfezione l’Urss ma non capisce per nulla gli Stati Uniti". Vero: Kennan amava la Russia, parlava alla perfezione il russo, detestava lo stalinismo, ma sognava di scrivere una biografia di Cechov. Non fu mai un progressista, propose di mettere fuori legge il Partito comunista italiano alla vigilia delle elezioni politiche del 1948, ma quando amici e colleghi finirono travolti dalla caccia alle streghe del senatore McCarthy, l’uomo che con il suo pensiero aveva isolato l’Unione Sovietica, decise che anche la democrazia gli stava stretta. Aveva studiato il tedesco a Kassel, orfano di madre fin da bambino ("A lungo in un cimitero cercai le tombe dei genitori, padre, padre, dove sei tu?"), e gli studi a Princeton, unico lavoratore tra i rampolli delle grandi dinastie industriali americane, lo lasciarono scettico sulla natura del Paese che aveva difeso dai mortali nemici del XX secolo. Diplomatico a Berlino nel 1941, quando Hitler dichiara guerra agli Stati Uniti, Kennan è internato con altri giovani colleghi. Liberato e tradotto a Lisbona, si vede detrarre gli stipendi dei cinque mesi passati agli arresti nazisti: "Non avete mica lavorato", osserva la frigida nota del Dipartimento di Stato. Espulso da Mosca - Stalin non gradisce il suo paragone tra "nazismo e comunismo" - Kennan torna per qualche tempo in California e, dopo gli anni passati nelle ombre dell’Europa totalitaria, vede da vicino i figli della libertà. Una spiaggia di narcisi, che non leggono nulla, ascoltano musica, si rosolano al sole e non hanno un pensiero al mondo. Ecco la contraddizione su cui ruota il pensiero di George Kennan: le sue idee isolano le dittature, ma lui non sa riconciliarsi con il materialismo e il consumismo della società di massa. Il suo gusto scandinavo (passa le vacanze di una vita con la moglie in Norvegia) per la malinconia e la riservatezza arriva alla strampalata teoria che la nazione debba essere divisa "in dodici repubbliche", dirette da un "circolo di saggi, non eletti", e a proporre, in un articolo inedito scovato dai biografi Isaacson e Thomas, che "neri, donne ed emigranti" debbano essere privati del diritto di voto. È capace di penetrare fino al midollo il pensiero strategico, ma incredulo sulla capacità del governo democratico. Prega i potenti di dimenticare la cortina nucleare scaturita dalle sue idee, "Per amore di Dio, per amore dei vostri bambini e della civiltà, fermiamo questa follia. Siamo mortali, possiamo sbagliare". Ferocissimo con i propri errori, Kennan era sprezzante con quelli dei connazionali, "un popolo di bambini". Come un esploratore, aveva intravisto per primo il nostro mondo, senza amare la terra scoperta. Lascia la moglie Annelise e quattordici, tra figli e nipoti.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …