Riccardo Staglianò: Angola, caccia ai medici. "Portano il virus Marburg"

11 Aprile 2005
Il panico si è saldato con la superstizione e dai villaggi di Uige hanno cominciato a tirare le pietre addosso a chi tentava di aiutarli. I medici e il personale dell´Organizzazione mondiale della Sanità, nell´epicentro dell´epidemia di Marburg in Angola, hanno dovuto interrompere la loro campagna contro il virus perché gli abitanti di quelle zone avevano preso ad accogliere con sassaiole sempre più violente le loro auto. ‟Questo tipo di reazione non è rara durante uno scoppio di febbre emorragica - ha spiegato alla Reuters il portavoce Richard Thompson - I locali a volte pensano che siano stati i medici ad aver portato la malattia nelle loro comunità”.
La cura contro la micidiale infezione, che prende il nome dalla città tedesca dove nel ‘67 si trasmise per la prima volta da scimmie africane a un ricercatore, ancora non esiste. Il lavoro dell´Oms e dei volontari che stanno cercando di contenerne la diffusione è quindi di raccogliere i cadaveri, di verificare le voci sulla sua manifestazione e spiegare alla gente cosa fare per non contrarla. Un compito impari che si scontra con tradizioni ancestrali, come abbracciare e baciare i morti, e adesso contro un isterismo supplementare.
Se nella zona agricola a circa 300 chilometri a nord della capitale Luanda la conta dei morti ha raggiunto 183 unità sui 200 casi di contagio (il tasso di mortalità dell´80 per cento è addirittura peggiore dell´analogo Ebola), già 14 operatori sanitari hanno perso la vita a causa del Marburg. Che si diffonde attraverso la saliva e altri liquidi corporali, sviluppa una forte febbre cui segue diarrea e un sanguinamento interno che porta alla morte in una settimana. L´unica vera misura per arginare il contagio è la sua diagnosi precoce e l´isolamento dei malati, per il 60 per cento bambini, in ospedali. Ma è contro questa sottrazione dei propri cari che gli angolani hanno cominciato a insorgere.
”Vogliamo che capiscano - ha detto al New York Times Monica Castellarnau, coordinatrice di Medici senza frontiere - che nelle emergenze talvolta si debbono prendere misure impopolari. Mentre ciò che sembra colpirli di più è che noi prendiamo qualcuno, lo chiudiamo in un posto, e poi questo muore”. L´unica operazione che può rallentare la carneficina, ma che è difficilissima da compiere perché la trasmissione avviene in maniera esponenziale. ‟Non appena qualcuno è sospetto ed ospedalizzato - ammette Pierre Rollin, patologo degli statunitensi Centers for Disease Control and Prevention - si dovrebbero seguire tutte le persone che hanno avuto contatti con lui nei giorni precedenti, fin quando stava bene”. Così, in uno scoppio di Ebola di cui si era occupato da vicino, gli specialisti avevano dovuto cercare di mettersi sulle tracce di 3 mila persone in un giorno. Una rincorsa spesso impossibile, tanto più in un paese come l´Angola dove le strade che collegano villaggi remoti sono a volte impraticabili quando non disseminate di mine risalenti a una guerra civile lunga 27 anni che si è conclusa solo nel 2002. E che ha lasciato, tra le altre eredità, ospedali fatiscenti e sguarniti, che hanno contribuito non poco a rallentare l´individuazione precoce del morbo, che oggi minaccia anche i quattro stati confinanti.

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …