Gianni Rossi Barilli: Ratzinger. Il teorico dell'omofobia vaticana

21 Aprile 2005
Se le contingenze storiche avevano costretto Wojtyla a essere il papa più esplicitamente omofobo della storia, il suo successore Benedetto XVI ha tutte le carte in regola per superarlo. Da cardinale e da custode dell'ortodossia cattolica nella sua veste di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, infatti, Joseph Ratzinger è stato l'ideologo e il sistematizzatore implacabile dell'omofobia vaticana. Giovanni Paolo II non ha avuto paura di tuonare molte volte contro l'omosessualità ‟intrinsecamente disordinata”, i preti gay e le coppie dello stesso sesso, ma era Ratzinger, più ancora di lui, a dare la linea su questi temi alla chiesa universale. Ad articolare gli anatemi di tradizione in pensiero attuale (se non proprio "moderno"), a indicare nei minimi dettagli gli atteggiamenti da tenere e a ufficializzare le proprie posizioni come l'unico linguaggio coerente con un cattolicesimo che in 2000 anni di storia ne ha viste di tutti i colori. Porta la firma di Ratzinger la celebre ‟Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali”, datata primo ottobre 1986, che costituì il punto di riferimento teorico fondamentale per la lotta ai diritti di gay e lesbiche durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Quel documento fu redatto con il dichiarato scopo di chiudere ogni varco ai cattolici modernisti che reclamavano un atteggiamento più aperto e misericordioso nei confronti degli omosessuali. E mentre imponeva ai pastori di ritirare ogni appoggio ai gruppi di credenti (gay e non) che facevano pressioni in questa direzione, dava una serie di consigli anche pratici su come vivere l'omosessualità in sintonia con il magistero ecclesiastico. Da questi ‟consigli” si evince chiaramente che, se dipendesse da Benedetto XVI (posto che non abbia cambiato idea nel frattempo), i bravi omosessuali non sarebbero forse tutti preti, ma sarebbero quasi certamente tutti santi. ‟Che cosa deve fare dunque - si domandava il cardinale Ratzinger - una persona omosessuale che cerca di seguire il Signore?” E così si rispondeva: ‟Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore”. Portare la croce, nel caso specifico, equivaleva a rimanere casti per tutta la vita. Per essere più chiaro, nella lettera ai vescovi Ratzinger citava l'ammonimento di San Paolo ai Galati: ‟Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri”. E per spiegare anche come si faccia a essere gay o lesbiche astenendosi dai peccati della carne, lanciava un urlo in difesa della libertà di reprimersi: ‟Dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l'attività omosessuale».
Ancora nella lettera ai vescovi, Ratzinger indicava un raccordo tra la morale cattolica e il sapere ‟scientifico” sull'omosessualità, raccomandando ‟forme specializzate di cura pastorale per persone omosessuali” con ‟la collaborazione delle scienze psicologiche, sociologiche e mediche”. Più o meno nello stesso momento in cui l'Oms depennava l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali (1990), il cardinale aveva insomma la santa presunzione di ‟aggiornare” il dibattito considerando come dei malati gay e lesbiche non repressi. E non ha perso il vizio nei vent'anni'successivi, pur evidenziando intenti sempre più strumentali.
Il caso più clamoroso sono le sue ‟Considerazioni circa i progetti di riconoscimento delle unioni omosessuali”, del 2003, in cui cita a tutto campo le sacre scritture e i più ritriti pregiudizi ricucinati in salsa ‟scientifica” per condannare le coppie gay. Qui troviamo un difensore della ‟verità eterna” che non va più per il sottile con le teorie e si limita con puri e dichiarati intenti politici ad affermare dogmi che non reggerebbero cinque minuti a un serio contraddittorio. Il personaggio, d'altro canto, ha la vocazione del guerriero e la severità dell'inquisitore. Non ha mancato di dimostrarlo anche in concreto con scomuniche contro preti e suore scomodi (come gli americani Jeannine Gramick e Roberrt Nugent o l'italiano Franco Barbero) che contrapponevano l'apertura mentale alla condanna senza appello di gay e lesbiche.

Gianni Rossi Barilli

Gianni Rossi Barilli, nato a Milano nel 1963, giornalista, partecipa da vent’anni alle iniziative del movimento omosessuale, come militante, scrivendo, discutendo e anche litigando. Ha lavorato a “il manifesto” dal …