Gianni Riotta: Il giovane Joseph Ratzinger

22 Aprile 2005
La Messa in latino? ‟Un rito ormai archeologico”. Sulla ‟collegialità” dei vescovi, contrappeso del Papa, ‟le conferenze episcopali sembrano la via maestra per una concreta pluralità nell’unità”. Chi prendeva queste posizioni così aperte, anticipando il cardinal Martini, sul primo volume della rivista Concilium, quaranta anni fa? Benedetto XVI, il cardinal Joseph Ratzinger. E attorno a Concilium, trincea della teologia liberale al Concilio Vaticano II, Ratzinger raccoglie i migliori intellettuali della Chiesa cattolica progressista. Con Ratzinger collaborano il suo maestro a Tubinga Hans Küng, il domenicano fiammingo Edward Schillebeeckx, il gesuita Karl Rahner, che difende la libertà assoluta di ricerca spirituale. Il futuro Benedetto XVI è tra i teologi di Concilium autore formidabile, per dottrina e coraggio: ‟Dio, attraverso l’intero processo storico, non è mai stato dalla parte delle istituzioni, ma sempre dalla parte di chi soffre, dei perseguitati”, affermava nel 1962, nel saggio Libera espressione e obbedienza nella Chiesa. Benedetto XVI è un papa intellettuale, un teologo ostile a San Tommaso e cresciuto su Sant’Agostino, San Bonaventura e Origene (di cui ha a lungo condiviso l’ipotesi dell’”inferno vuoto”, la bontà di Cristo salva tutti). Per ricostruirne la tormentata biografia di fede e idee, dobbiamo rileggere l’evoluzione del giovane prelato tedesco da Concilium alla rivista austera Communio cui darà vita nel 1972, ‟deluso” scrive il suo biografo John Allen ‟dalla corsa postconciliare alla modernità”. Se Concilium era il cenacolo dei ‟progressisti”, Communio è tribuna dei ‟conservatori”, il leggendario Hans Urs von Balthasar e Henri de Lubac. Solo protagonista in entrambe le esperienze il papa, Benedetto XVI: che castigherà i compagni di gioventù ‟sono loro ad avere cambiato posizione, non io”, contribuendo a togliere la cattedra all’università cattolica al mentore Hans Küng. Secondo l’autobiografia di Ratzinger, ‟Pietre miliari, 1927-1977”, il trauma risale al 1968, quando alla facoltà di Tubinga vede ‟Manifestazioni di ideologia brutale e crudele, tirannica. Capii che per adempiere alla volontà del Concilio occorreva resistere agli abusi della fede... in quei tempi chi voleva continuare a dirsi progressista perdeva l’integrità”. I critici malevoli parlano di cambiamento parallelo alla scalata al potere, la nomina a cardinale nel 1977 con Paolo VI, la nomina a capo della Congregazione per la fede con Giovanni Paolo II, nel 1981. Ma la frattura nel percorso di Ratzinger è troppo radicale per giustificarsi con il volantino del ‘68 ‟la croce è un simbolo sadomasochista” o con le lusinghe romane. La sua biografia, da ragazzo bavarese cresciuto in villaggi pittoreschi come presepi, a seminarista che dorme in un letto a castello, a prete ordinato insieme al fratello il 29 giugno del 1951, è ricca di studi e idee, e tra libri e princípi teologici cogliamo l’evoluzione di Benedetto XVI, da ‟perito” progressista al Concilio a difensore dell’ortodossia di papa Wojtyla. Quando il padre Joseph, poliziotto che detesta i nazisti, gli spiega che la Chiesa resisterà anche a Hitler, il piccolo Ratzinger impara una lezione che non dimenticherà: ‟Malgrado i tanti fallimenti umani, la Chiesa restò la sola alternativa all’ideologia distruttrice del nazismo. L’Anticristo aveva ingoiato i potenti, ma la Chiesa rimase ferma con la forza dell’eternità. Dimostrando che mai le porte dell’Inferno potranno prevalere”. Non praevalebunt! Al Concilio Vaticano Ratzinger arriva come peritus del cardinal Frings di Colonia. Fin dal primo giorno non è un portaborse, e il 25 ottobre del 1962 lo sconosciuto sacerdote presenta la controrelazione alle tesi della Curia, approvate dal potente cardinal Ottaviani, a proposito di Rivelazione. Ratzinger ha solo 35 anni e davanti ai príncipi della chiesa, il futuro papa Paolo VI ancora cardinal Montini, Alfrink e Suenes, decani del nuovo cattolicesimo, e il potente cardinale Siri, contrasta il tomismo della scuola francese, affermando che la Chiesa deve ripartire dalle origini, dalla patristica. E viversi non come una scuola di esegesi, di filologia, curva a identificare nella Bibbia cosa è sacro e cosa no. La Chiesa deve ‟essere orizzontale”, con i vescovi, e ‟diacronica”, vivendo della sua storia, accettandola intera ogni giorno. ‟Con le sue pecche”, annota Ratzinger giovane. Montini è impressionato, e, da papa, concederà la porpora al peritus senza indugi. Nel 1969, quando la contestazione divide i ranghi conciliari, Karl Lehmann, futuro capo della Conferenza episcopale tedesca, fa il bilancio: i protagonisti del Concilio Vaticano II sono ‟Rahner, Ratzinger, Küng e Schillebeeckx... capaci di liberare gli schemi prefissati nella regione aperta di una più grande libertà teologica”. In meno di un decennio - nota Allen - la corrente si scinde. Schillebeeckx verrà inquisito dall’ex Sant’Uffizio, Küng perde la cattedra, Ratzinger va a Roma. Il peritus della Ecclesia semper reformanda commina un anno di silenzio al teologo della liberazione latino americana Leonardo Boff, priva della licenza cattolica nel 1986 Charles Curran, della Catholic University of America, per le tesi sulla morale sessuale, e scomunica nel 1997 il reverendo dello Sri Lanka Tyssa Balasuriya, che contesta il peccato originale e l’Immacolata Concezione. In tutto, la congregazione di Ratzinger eserciterà una dozzina di condanne. I ‟due Ratzinger” sono, a guardarne la biografia intellettuale, uno solo. Persuaso che la Chiesa tedesca che cede al nazismo - il vescovo di Friburgo Konrad Grober accettò il grado di ‟SS onorario” - si consegna ‟all’Anticristo”, Ratzinger matura la fiducia nella Chiesa ‟istituzione”, capace di rinnovare la liturgia, ma senza asservirsi all’approvazione del mondo. Ieri il nazismo, nel 1968 il ‟nichilismo anarchico”, negli anni ‘80, una teologia della liberazione che perde di vista lo Spirito. Nel 1988 a New York, Ratzinger sintetizza i due tempi del suo pensiero parlando di ‟Chiesa viva... dove la Scrittura è Rivelazione... che noi dobbiamo percepire... non come meteora da cui prendere campioni per l’esame in laboratorio”. La diffidenza di Benedetto XVI per San Tommaso riaffiora nel mondo postmoderno: non basta la ragione a salvarci. Tanti hanno parlato in queste ore del fratello di Benedetto XVI, anche lui sacerdote. Pochi della sorella Maria, amatissima e che gli fece da perpetua fino alla morte. Per il raffinato teologo che illustra la dottrina ai cardinali e ai papi, Maria era la base cattolica, la semplice fedele che, come la massaia nel racconto ‟Padre Sergio” di Tolstoj è la sola a salvarsi davanti ai prelati e allo zar. Quando aveva un dubbio su come i precetti del Concilio avrebbero impressionato le coscienze nelle parrocchie, Ratzinger ne parlava a Maria e ne ascoltava la reazione. Adesso le scelte del teologo campione dei progressisti e dei conservatori diventeranno paradigma di tutta la Chiesa cattolica. Un miliardo e 27 milioni di fedeli lo ascoltano, come un tempo la sola Maria. Dieci anni fa, Giovanni Paolo II confidò a Ratzinger che il terzo Millennio sarebbe stato ‟la primavera dello spirito umano” riunito a Dio. ‟Purtroppo non vedo questo evento felice avvicinarsi” commentò amaro Ratzinger. Il suo pessimismo, opposto all’ottimismo della volontà di Wojtyla, lo porta allo scontro con il relativismo. Battezzandosi ‟Benedetto”, come il fondatore del monachesimo, vuole rievangelizzare l’Europa che considera un deserto morale. Le tante voci del suo gregge, i suoi compagni di ieri e quelli di oggi, ne metteranno subito alla prova carattere e determinazione. In America il 70% dei cattolici si dice ‟contrario o dubbioso” sulla nomina di Ratzinger. Ci vorrà ogni giorno della sua antica dottrina, anche quelli che ormai non ama più, per ricondurli all’unità.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …