Gianni Riotta: Quali giornali nell'era del postgiornalismo?

28 Aprile 2005
L’ultima copia di un giornale quotidiano sarà composta, stampata, letta e appallottolata nella spazzatura nell’aprile del 2040. Dopodiché la sensazione che state provando in questo momento, carta e inchiostro tra le dita, occhi sulle righe, mani a reggersi in tram o con una tazzina da caffé, si perderà per sempre. Addio giornali. La previsione, cupa per chi, come me, condivide il ricordo infantile del vecchio Ortega y Gasset ‟nacqui su una rotativa”, è dello studioso dell’Università del North Carolina Philip Meyer. Nel saggio The vanishing newspaper Meyer compone i trend di calo nella diffusione dei giornali in Occidente e arriva alla data di morte, fra 35 anni in primavera. I dati sono duri, dal 1995 al 2003, secondo la World Association of Newspapers, la diffusione dei quotidiani è caduta del 5% in America, del 3% in Europa e del 2% nel Giappone da sempre avidissimo di copie. C’è una foto famosa degli anni ‘50, pendolari in attesa di un treno, tutti uomini bianchi, tutti con il cappello e una copia della testata nella tasca del cappotto. La stessa foto scattata oggi nella stessa stazione mostrerebbe una folla di tutte le età, con tante donne, molta gente di colore, nessun cappello e pochissimi giornali. Se Meyer ha ragione, faremo la fine della fedora Borsalino. I guai non sono solo nei numeri. Anche l’età di chi legge muta, i dati migliori vengono dall’America, raccolti da George Will sul Washington Post , ma la situazione è analoga da noi: tra i sessantacinquenni, i pensionati, il 69% non rinuncia alla lettura, tra 50 e 64 annni si scende già a 52%, con il crollo al 39% per i nati tra il 1974 e il 1954, fino al drammatico e magro 23% di ventenni che sfoglia un quotidiano. L’esperto di televisione David Mindich parla di ‟era postgiornalistica”. Perfino Rupert Murdoch, il magnate dei giornali e delle tv della News Corporation, riconosce in una sorprendente confessione davanti agli editori dell’American Society of Newspaper Editors che ‟noi della carta stampata abbiamo perduto il polso dei lettori”. Mentre i ragazzi passano il tempo con tv, computers, dvd, videogame, ipod, il potente Murdoch riconosce l’errore centrale: ‟Troppo spesso editori e direttori trattano i lettori da stupidi”. È la strana morale delle mille tavole rotonde, dei cento seminari e delle dozzine di conferenze dotte sulla crisi dei giornali: se la Coca Cola vende meno lattine non se la prende con i consumatori, aggiusta il prodotto o il marketing, se la gente non legge i giornali, la colpa non è invece mai di chi li confeziona e gestisce, ma sempre dei poveri lettori, infingardi e cialtroni. Io credo che il professor Meyer sbagli: non c’è democrazia senza informazione libera, anche se non so (e, a parte il mio affetto romantico, poco importa direi) se il supporto 2040 sarà di carta o elettronico. Da anni si annuncia la morte del dinosauro quotidiani e l’estinzione non arriva. La vera sfida, in una stagione di copie calanti, è la ‟leggibilità”, giornali che siano user friendly, semplici nell’esporre idee e informazioni, e dove grafica e testo siano alleati, non nemici. Readership, autorevolezza e semplicità, chiarezza senza superficialità, profondità senza trombonismo è, secondo l’analista Alexia Quadrani di Bear Sterns, la via d’uscita dalla difficoltà. Nei 40 minuti di tempo che, in media, un lettore dedica al giornale la qualità e la profondità del rapporto di fiducia investe sia gli articoli che la pubblicità. Solo giornali che considerino i lettori attivi, indipendenti e capaci di discriminare su scelte e valori veri sopravviveranno alla gelata. Chi considera l’opinione pubblica ‟stupida” finirà al macero, e molto prima dell’aprile 2040.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …