Gianni Riotta: Cuba. Ostaggi di Fidel

23 Maggio 2005
‟Arrestato”. Una sola parola nel messaggio telefonico che il collega Francesco Battistini riesce, di soppiatto, a mandare al giornale prima di scomparire nelle mani della polizia politica di Fidel Castro. È l’alba a Cuba e seguono lunghe ore di silenzio. Il nostro ministero degli Esteri convoca l’ambasciatrice dell’Avana a Roma, ma la signora Maria de Los Angeles Floretz Prida non ammette nulla. Un cancelliere dell’ambasciata italiana a Cuba si reca nei vari ministeri, alla Centrale di polizia, all’aeroporto, in albergo. Omertà ovunque: ‟Battistini? Non è qui”. Nel pomeriggio, mobilitati Farnesina e Palazzo Chigi, mentre il Quirinale segue la vicenda, l’ambasciatrice riconosce: Francesco Battistini, inviato a l’Avana per il vertice dei dissidenti che chiedono democrazia e libertà dopo mezzo secolo di dittatura castrista, è stato arrestato e verrà espulso, forse in nottata. La sua colpa? Avere intervistato i leader riformisti con sul passaporto un visto turistico, dopo che un altro inviato del Corriere era stato espulso da Cuba pochi giorni fa senza alcun motivo, e a un terzo era stato negato il visto di lavoro, regolarmente richiesto a Roma. Con Francesco - che mentre scriviamo sarebbe in isolamento in una caserma militare nei pressi dell’aeroporto - sono stati cacciati colleghi tedeschi e polacchi arrivati per lo stesso meeting. Nell’autunno del comunismo, dalla Corea del Nord a Cuba, gli ultimi despoti prolungano nel nuovo millennio le ombre tragiche del ‟buio a mezzogiorno”. Battistini era andato, come in tanti suoi reportages, per testimoniare con onestà delle pene di un popolo sfortunato. Il regime non gliene ha concesso la possibilità. A Cuba languono in galera dozzine di dissidenti, 65 reduci dell’ondata di arresti contro il ‟progetto Varala”, che reclama - a norma di legge - un referendum per la libertà. Secondo la Costituzione bastano 10.000 firme per indire il voto popolare, i coraggiosi uomini e donne di ‟progetto varala” ne hanno collezionate 25.000 per chiedere libertà, ma Castro, terrorizzato di perdere il potere, impone condanne fino a 28 anni, in cella di rigore, venti per il poeta Raul Rivero. Gli articoli 479 e 480 del codice penale concedono all’anziano leader diritto assoluto sui cittadini sudditi. ‟Human rights watch”, organizzazione umanitaria, ha testimoniato davanti all’Onu ‟Cuba nega i diritti elementari, di espressione, movimento, giusto processo, associazione, privacy, non permette alcun dissenso politico, la polizia sorveglia indiscriminatamente, si viene licenziati, o arrestati, senza motivo pur di garantire il totale conformismo”. Oggi, speriamo, Battistini tornerà dalla sua famiglia. Undici milioni di cubani restano ostaggio dell’ultimo dittatore, che, solo in indispettito spregio alle politiche e alla cultura occidentali, tanti intellettuali, dal premio Nobel per la letteratura Nadine Gordimer in giù, insistono a venerare. Rendersi complici di questi abusi è l’umiliazione finale di una coscienza. Da quando Castro scacciò il primo dissidente, il suo compagno giornalista Carlos Franqui, Cuba non conosce libertà. E non c’è rivalsa contro gli ‟yanquis” americani, non c’è casistica ipocrita di propaganda ‟Ma a Guantanamo... Ma Pinochet!” che basti a giustificare chi lega solidarietà ai prigionieri di coscienza nelle loro celle. Quando Fidel Castro cadrà e la libertà tornerà sul meraviglioso Varadero, chi ha coperto le vergogne del despota dovrà infine arrossire, proprio come la storia ha infine svergognato chi ha taciuto sulle condanne per il ceco Havel, il sudafricano Mandela, il russo Sacharov, i torturati di Pinochet o dei colonnelli greci. Si capirà allora che i veri amici del popolo cubano, i veri fanatici dell’Avana, quelli che hanno buon diritto di fischiettare ‟Guantanamera” e sentir proprie le musiche struggenti del ‟Buenavista Social Club”, sorseggiando Cuba libre e mojito, non sono i decrepiti fan dell’ultimo soviet, ma i sostenitori dei patrioti eroici di ‟progetto Varala”, chi ha denunciato gli abusi di Castro, i cronisti che hanno narrato, contro corrente, la resistenza aspra. Cuba è una nazione antica e orgogliosa, capace con il fascino tropicale e la battaglia per l’indipendenza di suscitare l’ammirazione di tanti, da Ernest Hemingway ai ragazzini con le magliette di Guevara. Il mito è però da anni maschera grottesca di dittatura. I cubani migliori si stanno battendo per la libertà: non manchi loro la nostra voce finché davvero si spanda, ovunque, profumo di Cuba libre.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …