Marco D'Eramo: La guerra fredda e l'invenzione sovietica della bicicletta. Colloquio con il premio Nobel Zhores Alferov

06 Giugno 2005
A 75 anni Zhores Alferov è pieno di progetti, parla entusiasta della sua fondazione, della facoltà universitaria che sta mettendo su, del tecnoparco sulle nanotecnologie che vuole impiantare a San Pietroburgo, del tempo che gli fa perdere la burocrazia della nuova Russia capitalista che, secondo lui, quanto a elefantiasi, non ha niente da invidiare a quella della vecchia Unione sovietica comunista. Di origine ebraica, deputato comunista alla Duma, Alferov sostiene che la Russia attuale è molto più antisemita dell'Urss. Ma conversare con questo fisico, onorato col premio Nobel nel 2000, è soprattutto l'occasione per tracciare la parabola della scienza sovietica, che per parecchi decenni fu in molti settori forse la più importante del mondo, tanto che le sue riviste erano tradotte integralmente in inglese appena uscivano. Parliamo per un'ora e mezza in un bell'albergo romano vicino a Porta Pinciana: è molto difficile inserire le domande nel suo fiume di parole inglesi in pesante accento russo.

L'Unione sovietica ha avuto una grande scienza che funzionava molto bene, a differenza di tanti settori economici e industriali che erano inefficienti. Come spiega questa discrepanza?
Una tradizione scientifica c'era sempre stata, basti ricordare i nomi di Pavlov, Mendeleev. Ma la condizione fondamentale per lo sviluppo della ricerca, sia di base, sia applicata, è che le conquiste scientifiche devono essere richieste dalla società. C'è scienza forte quando la società ne ha bisogno, cioè quando l'economia è fondata sulla tecnologia. Nell'era sovietica il grande obiettivo era l'industrializzazione e quindi c'era bisogno di scienziati e ingegneri. L'accademico Abram Fedorovic Ioffe, il fondatore dell'Istituto Fisico Tecnico che porta il suo nome, e in cui ho lavorato tutta la mia vita, capì per primo che la fisica era la base su cui costruire il resto. Prima della rivoluzione non c'era praticamente una sezione di Fisica nell'Accademia. Ma lui era un genio dell'organizzazione, capì subito il ruolo che avrebbe avuto la fisica quantistica, reclutò giovani talenti: l'Istituto veniva chiamato l'asilo nido di Ioffe. E Ioffe creò una formidabile nidiata di fisici, tra cui Lev Landau, Petr Kapitsa, e potrei continuare a lungo. E una volta tirati su, Ioffe mandava i suoi pupilli a fondare nuove scuole, nuovi istituti in tutto il paese da Sverdlovsk a Tomsk. Furono creati altri sedici istituti. Fu Ioffe a proporre Igor Vasilevic Kurchatov come capo del progetto atomico sovietico. (Dopo la guerra, nel '52, all'apice della campagna antisemita, Ioffe fu costretto a dimettersi da direttore dell'istituto che aveva fondato). L'onnipotente Comitato di Stato della Difesa aveva varato nel febbraio 1943 il programma nucleare che però divenne importante solo dopo la bomba di Hiroshima. Stalin aveva sì appoggiato il progetto perché aveva sempre sostenuto la scienza, ma non ci aveva creduto neanche quando Truman gli aveva detto che stavano sperimentando la bomba atomica. Ma dopo Hiroshima Stalin capì che l'atomica non era solo una bomba, ma era un'importantissima arma politica che poteva fargli perdere tutto ciò che aveva conquistato con la vittoria della seconda guerra mondiale. Hiroshima avvenne l'8 agosto. Già il 20 agosto il Comitato di Stato di Difesa firmò un decreto per creare uno speciale comitato atomico cui fu data carta bianca e finanziamento illimitato. Di questo comitato speciale era presidente Lavrenti Beria (il capo della polizia segreta) e ne facevano parte Kurchatov e Petr Kapitsa. Stalin era un tipo intelligente e capì che per avere armi nucleari, missili e una forte industria, aveva bisogno di una scienza forte e di un'istruzione forte. E all'inizio del `46 il Comitato centrale del Partito e il Consiglio dei ministri dei ministri firmarono una legge che cambiò la faccia della scienza stabilendo un nuovo sistema di retribuzioni per scienziati e insegnanti. Come esempio, lo stipendio di un post-dottorato era tremila rubli, lo stesso di un direttore di una delle più grandi fabbriche e solo poco meno di un ministro del governo. Lo stipendio di un ordinario era seimila rubli. Per avere un'idea, la macchina più economica, la Moskvic, costava novemila rubli, cioè un ordinario poteva comprare un auto con un mese e mezzo di stipendio. Oppure: negli anni `60 il viaggio aereo Mosca Leningrado costava quindici rubli. E poi c'era una enorme azione propagandistica per la scienza, lo spazio, la tecnologia. Così per i giovani, imboccare la carriera scientifica divenne davvero prestigioso. La competizione per entrare era altissima, per ogni posto c'erano parecchie candidature e quindi il livello dei ricercatori s'innalzava.

L'Unione sovietica fu in grado di competere con gli Stati Uniti solo fino ai computer, ma poi fallì la rivoluzione informatica.
Per l'Urss competere con tutto il resto del mondo era difficilissimo, perché la guerra contro di noi, cioè la guerra fredda, cominciò appena finita la seconda guerra mondiale. Ci era praticamente impedito di comprare qualunque cosa dall'Occidente. Lo so per esperienza personale. Stavo sviluppando la fisica delle eterogiunzioni nei semiconduttori e avevo bisogno di un particolare macchinario che era stato sviluppato a Ovest, ma mi fu impedito di comprarlo dal comitato addetto alle importazioni (Cocom), anche se serviva alla ricerca. Perciò l'Urss doveva inventare e sviluppare tutto, anche la bicicletta. Era tostissima. E se noi eravamo competitivi in molti campi con tutto il mondo occidentale, significa che la nostra organizzazione era migliore nella scienza e nell'industria. Certo ci furono anche un sacco di errori. Troppa centralizzazione. Le nostre partecipazioni ai simposi internazionali, i soggiorni all'estero erano sottoposti a controlli draconiani. La nostra istituzione aveva un fondo di viaggio, mettiamo di cinquanta "uomini-anni": voleva dire che cento persone potevano viaggiare per sei mesi o 25 per due anni. Per poter fare un viaggio ci volevano quattordici autorizzazioni: la prima della tua amministrazione, poi quella della Commissione Esteri della cellula di partito dell'Istituto, poi quella del Comitato di cellula, poi la commissione esteri del comitato di distretto del partito, poi quella della commissione esteri del partito cittadino, via via fino al Kgb e infine, nel caso del segretario dell'Accademia delle scienze, serviva il nullaosta del Politburo all'unanimità. Per quanto riguardava me, che ero direttore dell'Istituto, serviva il nullaosta della Segreteria del Comitato centrale, con tutti i dieci membri. Bastava che uno solo di questi organi desse parere negativo e il viaggio era bocciato. Per esempio, quando ricevetti la Medaglia d'oro dell'Istituto Franklin nel 1971, mi fu impedito di andarla a ritirare negli Stati Uniti e per tre anni e mezzo non potei viaggiare, finché capii chi era nel Kgb che bocciava le mie richieste, lo presi praticamente a male parole e alla fine lui se ne uscì dicendomi: "Sei una brava persona".

Non era solo un problema di burocrazia.
No, c'era troppa influenza politica sulle scelte. Penso per esempio a quel che successe alla biologia nel 1948 quando Trofim Denisovic Lysenko dichiarò la genetica contraria al marxismo-leninismo. In realtà Lysenko voleva solo far fuori i suoi rivali biologi. Così in pratica per lungo tempo noi perdemmo la biologia moderna. Solo Kurchatov riuscì ad accogliere i biologi molecolari "rifugiati" nel suo istituto di fisica nucleare e a dar loro dei laboratori. Alla fine degli anni `40 la politica intervenne spesso nella scienza, ma soprattutto a causa della rivalità tra gruppi di scienziati. Per esempio, i fisici dell'Università statale di Mosca odiavano il gruppo di Kurchatov. E lanciarono contro la fisica atomica la stessa campagna che Lysenko aveva sferrato contro la biologia: l'equazione massa-energia era contraria al marxismo; la teoria quantistica era idealista; la relatività era antimaterialista. Allora, era il febbraio `49, Kurchatov telefonò a Beria dicendogli che doveva scegliere: o aprire una discussione sull'idealismo della teoria dei quanti oppure costruire la bomba all'idrogeno, ma le due insieme erano impossibili. Beria gli disse: "Mi stai ricattando?" "No, ma tutto quello che facciamo è basato sulla conversione della massa in energia, cioè sulla relatività, e senza di essa non possiamo farlo". "Fammici pensare e ti richiamo". In realtà, come trapelò parecchi anni dopo, Beria andò da Stalin, gli spiegò tutta la questione e Stalin tranciò: "Va bene, niente discussione, devono prima fare le armi atomiche. Tanto per fucilarli abbiamo sempre tempo".

E i computer?
Furono un altro grosso errore. La microelettronica fu sviluppata solo in modo strumentale, come componente delle armi atomiche, dei missili. Non ci fu nessuno abbastanza forte, o persuasivo, che potesse spiegare al governo che questo campo era ancora più importante delle armi atomiche perché trasformava la stessa società. Inoltre, sempre tra il '50 e il `51, non ricordo bene, alcuni nostri filosofi decisero che la cibernetica era scienza borghese. E solo nel 1955-56 fu creata una sezione informatica nell'Accademia delle scienze. Poi si capì l'importanza della microelettronica. Ma, di nuovo, dovevamo competere con tutto il resto del mondo e non potevamo usare nessuna componente prodotta in occidente. Nel 1976 il nostro istituto voleva comprare un computer Cyber, ma gli americani volevano essere sicuri che questo computer non avrebbe mai effettuato calcoli a scopi militari. Passarono più di due anni, e finalmente riuscimmo a comprarlo, ma solo facendo fare l'acquisto da un altro istituto creato apposta, perché l'istituto Ioffe faceva troppa ricerca militare.

Ma come spiega il crollo della scienza dopo la caduta dell'Unione sovietica? L'istituto Landau è mezzo vuoto.
È vuoto a tre quarti. La fuga dei cervelli è un fenomeno comune a tutti i paesi, ma in Russia è più pesante perché il salario è ormai da miseria. Così succede che molti ricercatori vanno a lavorare part time all'estero, per sei mesi, o un anno. E poi, del destino della scienza sovietica si sono preoccupate più le istituzioni straniere che il nostro governo. Se sono entrato in Parlamento è per riuscire a salvare l'Accademia delle scienze. Il taglio dei fondi è stato drastico. Ricerca militare se ne fa, ma su scala molto più piccola, che non riverbera sulla ricerca fondamentale. Addirittura nel 1992 andai negli Stati Uniti e, attraverso i miei omologhi americani, riuscii a ottenere per il nostro istituto due contratti di ricerca del Pentagono. Ognuno da centomila dollari, non una gran cifra, ma per noi in quel momento era una boccata d'ossigeno. Distruggere la scienza è molto più facile che crearla. Per esempio, al tempo dell'Urss noi ricevevamo due stipendi, uno come ricercatore e uno come professore universitario. Quando Khruscev prese il potere decise che il doppio stipendio non era socialista. Così la maggior parte dei ricercatori smise di insegnare (alcuni, pochi, continuarono a insegnare gratis) e il livello dell'università crollò finché Brezhnev nel '64 abrogò la decisione di Khruscev. Il governo attuale non capisce che la società high tech avrà sempre più bisogno di una produzione di massa di specialisti al livello di dottorato di ricerca. Questo lo hanno già capito in Asia, in Giappone, nel Sud-est, molto più che in Europa. Con i soldi del mio premio Nobel ho istituito una fondazione che dà borse di studio, dà premi scientifici. Ma, per dire, da tre anni, ancora non siamo riusciti a ottenere le esenzioni fiscali che spettano a tutte le istituzioni non profit. Così, se diamo un premio di centomila rubli, 37.000 se ne vanno in tasse. Il regime attuale non capisce che bisogna investire pesantemente nell'istruzione per avere domani una scienza di alto livello di cui una società tecnologica avrà assoluto bisogno.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …