Gianni Riotta: Fecondazione assistita. Il racconto di due genitori

13 Giugno 2005
La storia di David e Serena, diventati genitori grazie alla fecondazione assistita. ‟Ci ha depresso vederci dipingere come egoisti. Fuori dai laboratori non c’è una voglia consumistica ma solo un’attesa dolente”. David e Serena sono i genitori di Guido e Paola, gemelli di tre anni. A lungo hanno sperato di avere bambini, senza fortuna, e alla fine si son rivolti alla fecondazione assistita da un ginecologo. Hanno letto l’editoriale del ‟Corriere” sul ‟giunco sterile” e, alla vigilia del referendum, hanno accettato di raccontare la loro storia ‟solo per condividere il nostro dolore e la nostra gioia con altre coppie, con tanti elettori che son confusi, come lo siamo stati noi, e lo siamo ancora. Non per dare soluzioni, ma dirvi del nostro percorso. Alla fine, è in gioco il destino di padri e madri come noi. Non è giusto lasciare solo chi soffre. La fecondazione assistita non è roba da Frankenstein, da mostri, da miserabili immorali che dopo le pellicce e le auto d’epoca vogliono anche comprare un figlio in boutique. È la scelta di gente normale”. David ha 35 anni. ‟Sono un ingegnere, cattolico, nato negli Stati Uniti da padre americano e madre italiana, ma vivo da sempre a ... in Italia”; Serena 29, ‟faccio computer design, vado in chiesa meno spesso di David, lui ha la religiosità profonda dei puritani, io sono una cattolica all’italiana, penso che Dio mi perdoni sempre” ( i dettagli delle biografie sono mutati per privacy). ‟Quel che mi ha depresso - inizia David, bruno, sguardo intenso, una camicia di lino e jeans - è vedermi dipingere come un edonista. Io? Mi prendono in giro gli amici perché non riesco mai a rilassarmi, lavoro, famiglia, parrocchia. Ho letto tante accuse sull’egoismo di chi ha figli con l’assistenza medica, io che ho pianto quando è morto Giovanni Paolo II dico: né io, né Serena, né le coppie che ho conosciuto in attesa dolente fuori dai laboratori siamo porcelloni del desiderio. So che esistono i club vacanze per single - e ride - non ci sono mai stato, sarei timido come un baccalà, ma forse la cultura del desiderio la dovete cercare là. Non in chi fa dei figli a caro prezzo”. ‟Io quasi non avevo mai fatto contraccezione, ci siamo sposati quando avevo 21 anni, praticamente era il mio primo uomo”, dice Serena, bionda, minuta, occhiali di tartaruga e sorriso franco. ‟Praticamente?”, interrompe David, e lei ‟dai, adesso non parleremo col ‟Corsera” dei nostri fidanzamenti, diciamo praticamente. Nozze in chiesa, luna di miele alle Eolie e io ero persuasa che sarei rimasta incinta subito, la mia bisnonna aveva 13 figli, nonna 5, mamma 3 pensavo di essere preparata. Invece, niente. Dapprima non ci si fa caso, precauzioni zero, niente. Poi ci mettiamo d’impegno, e niente lo stesso”. ‟Ti accorgi d’un tratto di non essere onnipotente. Che hai fatto tutto, scuola, lavoro, ma che un figlio non si compra ai saldi. È, lo dico con serenità, l’opposto di quel che si sente o legge. Non c’è affatto consumismo, anzi avverti subito, dai primi, goffi, tentativi che si tratta di una vita diversa dalla tua...” continua Davide, ma Serena lo interrompe, con i piccoli occhiali in mano ‟...anzi: io, dentro, avevo l’impressione che ogni scelta fatta per me andasse sempre invano. Che la natura, di cui tanto si parla, mi dicesse: solo se avrai a cuore la vita dei bambini resterai incinta. Altrimenti, sarai sterile per sempre”. ‟La medicina parlò col linguaggio freddo della medicina, il dottore che si dimentica lo stetoscopio freddo sulla pancia del paziente. Ho ripreso per lei le vecchie carte, progesterone basso, inseminazioni uterine, spermiogramma, astenoteratozoospermia, che vuol dire solo che, malgrado io fossi una stella dell’atletica al college, i miei spermatozoi sono lentissimi. Ci venne suggerito di fare l’amore in giorni stabiliti, per non disperdere gli spermi. Serena assunse dei farmaci per aumentare la fertilità...”. ‟E qui finì la nostra vita di coppia felice e scapestrata, l’amore per caso, dopo una serata in spiaggia e un bicchiere di vino. Se ti alzi al mattino e vai un ufficio sapendo che la sera " devi" fare l’amore se vuoi un figlio, il calore romantico sfuma. David era dolce, si sforzava di dimostrare affetto, ma settimana dopo settimana il sesso diventava meccanico. E, devo dirle la verità, non ci siamo mai più ripresi. La passione che ci ha fatto sposare è andata, travolta dalla ricerca di un figlio. Per questo mi irrito quando sento parlare di cultura del desiderio. Noi abbiamo voluto dei bambini e abbiamo pagato il prezzo del desiderio” . Serena si rimette gli occhiali e tocca a Davide interromperla: ‟E mi fanno incavolare anche le copertine dei rotocalchi con la Ferilli sexy che chiede il sì, come se fosse un referendum sul libero amore. È l’opposto, magari rinunciare al piacere per un figlio. Serena ti ha già detto che mi considera un mezzo fondamentalista cristiano americano: non esito a dirti che io ho pensato che questa sia la mia croce. Da portare, pur straziante, per avere un figlio”. La storia di Davide e Serena prosegue con la felicità della gravidanza annunciata: ‟Champagne, io che mi precipito a comprare passeggini e culla, perfino una maglietta per bebè con il nome della mia vecchia scuola Usa e un cappellino con un coccodrillo. Ce li ho ancora, mai usati: finì in un aborto devastante, per mesi non si parlò più di figli senza lacrime. Il rapporto tra me e Serena divenne impossibile, lei piangeva, io mi sentivo responsabile. Poi, pian piano, ricominciammo. Ma, ogni sera, lei doveva fare un’iniezione di ormoni e si parlò di fecondazione assistita”. ‟L’iniezione era un tormento. Mi sembrava che il mio corpo fosse arido, inospitale per mio figlio. David lo sopportavo poco, magari sotto sotto lo accusavo. E, invece, gli toccò una forte umiliazione, di cui solo ora mi rendo conto”. David sorride: ‟Qui tanti rideranno lo so, ci sono gag, film, uno con Woody Allen e il professor Benno Schmidt nella parte dell’andrologo che conta gli spermi. Ma le ho promesso che racconterò tutto e non mi tiro indietro. Devo dare un campione di sperma, il tecnico mi consegna una fiala e indica con lo sguardo un armadietto. Chiude la porta, apro l’armadietto, c’è qualche rivista con ragazze sexy, compresa Latoya Jackson avvinghiata a un serpente, una tv, forse dei filmini. Ma io voglio un figlio, cosa faccio, guardo pornografia? Vorrei andarmene, piangere, è una vergogna, penso a chi mi aspetta fuori, mi sento sporco. Eccitarsi è impossibile. Poi ricordo quel cappellino con il coccodrillo che nessuno mai metterà, il figlio perduto nell’aborto, la vita che vorrei. Mi concentro su una serata felice con Serena e consegno la fiala. È la prima volta che racconto questa goffa situazione: ma voglio dire a chi legge non ridete, è la sola strada per chi rischia la sterilità”. Serena ha memorie più confuse, ‟non ricordo se mi sedavano per impiantare gli ovociti fecondati. Avevo l’orrore delle iniezioni quotidiane, volevo il bambino. Ricordo aghi, il solito sgradito luccicare dello speculum , il lettuccio del ginecologo, un primo tentativo fallito, un secondo tentativo fallito. Quando finisce l’inserimento degli ovociti fecondati devi restare in attesa, nella penombra, a lungo. Pensavo a tante cose, immaginavo il bambino, poi scacciavo le fantasie temendo portassero sfortuna, pensavo a mia madre, al suo sorriso coraggioso, a David e come tutta questa storia ci stesse unendo e allontanando. Pregavo, la preghiera più facile, Ave Maria piena di grazia, come quando avevo paura da bambina. E poi...”. ‟Racconti anche questo?”, sbotta preoccupato David e Serena, mascherando imbarazzo con il gioco delle lenti messe e tolte: ‟Sì amore. Abbiamo detto ‘tutto’. Allora: chi vuole capire davvero come impatta la fecondazione assistita su una coppia ricordi che David mi propose, quando tornavo a casa dal laboratorio dopo che avevano impiantato le uova fecondate, di fare l’amore, ‟così non sapremo mai se è stato merito del dottore o nostro". Fiori, carezze, ma io non ce la feci mai, dissi sempre di no. Avevo paura, paura irrazionale che potesse interferire con la fecondazione, ma c’era anche senso di colpa, negarmi il piacere, fare penitenza, un fioretto si diceva dalle suore, per ricevere il dono della vita”. David non gradisce. ‟Abbiamo accettato di parlare per chiarezza agli elettori, perché non credano che si vota sì sul piacere e l’egoismo, ma invece per la vita. Non voglio, però, fare una seduta di psicoanalisi pubblica. È certo che io e Serena da allora non siamo più stati amanti. Siamo diventati padre e madre. Altro che gratificazione e piaceri!”. ‟Restai incinta alla terza inseminazione - riprende Serena - e l’infermiera, nel periodo di attesa mi accese una televisione che dava Casablanca . È da allora il mio film prediletto. Quando tutti cantano la Marsigliese al Bar di Rick un senso di speranza unico mi riempì il cuore. Non c’è volta che risenta l’inno francese o veda le immagini in bianco e nero di Bogart e della Bergman che non mi commuova” e lacrime vere cadono dalle gote di Serena. ‟Dovevamo chiamare i gemelli Humphrey e Ingrid” prova a scherzare David. ‟L’attesa, dopo i due fallimenti, fu bruciante. Non si può andare avanti all’infinito, eravamo già disposti alla depressione conosciuta nelle sale d’aspetto, lei che guarda con invidia morbosa i pancioni delle donne incinte, lui che fa l’acido e si concentra sulla pagina dello sport. Ogni giorno, aspettando la telefonata del dottore, un’agonia. Io andavo in chiesa e mi fa star male pensare che quelle preghiere sembrino contraddire il monito di Benedetto XVI. Erano le più sentite della mia vita, quelle che credo siano state ascoltate da Dio con benevolenza. Serena rimase incinta, un gemello si perse per strada, e arrivarono Guido e Paola, autori del casino che sente”. Con perfetta regia Guido, rosso di capelli e lentigginoso, e Paola, bionda e magra come un grillo, schizzano dalla porta reclamando attenzione dai genitori. ‟Li guardiamo e non ci chiediamo più se ne è valsa la pena. Ne è valsa la pena, il tormento delle iniezioni, il dolore del dubbio, l’umiliazione di masturbarsi dal medico, le diagnosi sempre meno propizie. Sappiamo che alcune uova fecondate son rimaste in freezer. Non mi nascondo - confessa David - per me è terribile. Li considero figli, come considero quello perduto nell’aborto e il gemello mai nato, quando mi chiedono quanti figli ha dico sempre quattro, e due li ho perduti. Non ho una certezza, solo un dolore: senza loro neppure Guido e Paola sarebbero qui. Alcuni li abbiamo donati, Serena non voleva, io preferivo non venissero distrutti. Altri sono conservati, forse li useremo. Dico a chi è per il no, che riconosco con umiltà la mia contraddizione. È il prezzo pagato per la vita, ma resta un prezzo atroce. Mi peserà fino all’ultimo giorno, è il mio peccato. Spero che la ricerca arrivi presto a fecondare le donne senza creare questi dilemmi etici. Ma se la ricerca si blocca per prudenza non arriveremo mai alla semplicità etica”. Serena è più rilassata. ‟L’aborto, che è stato straziante, mi ha confermato che non tutte le vite si completano. Il gemello perso, il figlio abortito naturalmente, non sono diversi da Guido e Paola, o meno amati, anche ora mi creda, ma non hanno visto la luce. Così per le mie uova fecondate in laboratorio. David non si dà pace, io capisco che c’è un vuoto, ma ho sofferto tanto e credo che la vita attuale dei bambini sia, anche davanti al buon Dio, meritevole dei nostri sacrifici”. David e Serena voteranno quattro sì, andando al seggio con i figli. A casa loro, con vista sul fiume di una delle più antiche città italiane, una copia spiegazzata del saggio di David Albert Jones L’anima dell’embrione , uno studio della concezione dell’embrione umano nella tradizione cristiana, che David legge per capire ‟se sono un peccatore incallito: ma vedo con sollievo che i dubbi costellano 2000 anni di storia della Chiesa”. Davanti la finestra più illuminata due cornici maestose e vuote, che contengono solo due nomi ‟Ugo” e ‟Naomi”. ‟Volevamo darli ai bambini non nati” conclude Serena e ingolla, per non tradire la voce spezzata, il cappuccino gelido.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …