Gianni Riotta: Soffrire in silenzio nel mondo in cui viviamo

23 Giugno 2005
Nel mondo in cui viviamo, in Congo, bande di miliziani fermano le donne per strada, raminghe in cerca di cibo, acqua, medicine. Le denudano senza pietà, esaminandole crudeli. Attribuiscono a una certa forma del sesso femminile magici poteri. Se non credono di scorgerla, le poverette vengono giustiziate. Se invece i ribelli si persuadono che le disgraziate hanno la ‟vagina stregata”, le amputano, ne divorano brani di carne, uccidono i bambini e li mangiano davanti alle madri, persuasi di acquisire invulnerabilità. Altre bande sequestrano i ragazzi separati dalle famiglie durante la guerra, e chiedono riscatti. L’unico modo per pagare, in una nazione ricchissima di minerali e povera di banche, è ricaricare il telefonino del capobanda: i familiari effettuano il versamento, i piccoli sono rilasciati. Ferocia da medioevo, telefonia contemporanea. Nel mondo in cui viviamo la signora Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace detenuta dalla giunta sanguinaria dei generali in Birmania ( Myanmar), compie sessanta anni senza libertà. La Cina garantisce il potere dei dittatori, l’Europa medita se cancellare le sanzioni, qualche giornale protesta con tenacia, niente cambia. La signora San Suu Kyi, bellissima, elegante, silenziosa, consuma l’esistenza dietro i muri degli arresti domiciliari, meditando, organizzando la resistenza, ispirandoci come Havel e Mandela. Nel mondo in cui viviamo un vecchietto che ispira pietà, la cannula dell’ossigeno, sedia a rotelle, il tremito dell’età, ascolta la sentenza che lo riguarda: è condannato per l’assassinio di tre generosi volontari, accorsi nel 1964 a mobilitare il Sud degli Stati Uniti e permettere agli afroamericani di votare. I ragazzi, Chaney, Schwerner e Goodman, neri del Sud e bianchi del Nord, ebrei che combattevano il razzismo, vengono fermati dalla polizia per ‟eccesso di velocità”. La trappola scatta di notte, rilasciati dai poliziotti complici finiscono in mano al vecchietto tremante di oggi, Edgar Ray Killen, allora feroce capo del Ku Klux Klan razzista. Massacrati su una strada rurale, vengono sepolti vicino una roggia. Per quarant’anni la contea di Neshoba, in Mississippi, copre il delitto. Ieri una giuria condanna Killen. La mamma di Goodman legge l’ultima ingiallita cartolina del figlio ‟Qui al Sud la gente è così cortese!”. In questo mondo in cui viviamo la ferocia non concerne solo Africa, Asia o il passato remoto. Una ragazza tranquilla della città di Bologna, dove ‟nel centro non si perde neanche un bambino” come cantava fiero Lucio Dalla, è stuprata, e perde pace e serenità poco più che bambina. Il sindaco Sergio Cofferati, qualche tempo fa, avvisava i concittadini: la legalità è a rischio. Lo hanno irriso, qualche teppistello gli ha dato del ‟reazionario”. In questo mondo in cui viviamo garantire a una ragazza il banale diritto civile di passeggiare senza paura, mano nella mano con il fidanzatino, non è ‟di sinistra” per qualche facinoroso. E a Milano, la terza più ricca metropoli d’Europa, gli stupri sono mensili. Nel mondo in cui viviamo se una soldatessa americana lega una cinghia al collo di un detenuto iracheno, giustamente sale alto il coro di denunce e proteste: bene, e il ‟Corriere” è stato, a mia firma, il primo giornale italiano a parlare delle sevizie americane anche in Afghanistan, nella base dell’aeronautica di Bagram. Ma in questo mondo in cui viviamo, se salta fuori una camera della tortura dei ribelli sunniti, con quattro civili iracheni mezzo morti per le botte, le prime pagine glissano, concentrate su Totti e signora. Nessuno andrà in piazza, e i pochi commenti, concessi malvolentieri, sono Made in Ponzio Pilato: ‟Brutta cosa la guera” ( sempre con una erre, alla romana). L’analisi è razzista, il KKK di Killen trasposto all’oggi: si protesta contro gli Usa perché sono una democrazia, i ribelli no e dunque non si protesta. Ripenso ai cortei, appassionati, contro Franco in Spagna, i colonnelli greci, il Cile di Pinochet e ricordo con nostalgia un tempo in cui denunciare le dittature non era considerato poco chic. Nelmondo in cui viviamo la cigolanteUnione Europea spende il 40% del bilancio per foraggiare gli agricoltori, appena il 4% degli occupati che produce meno del 4% della nostra ricchezza. Ogni mucca europea riceve due euro al giorno in sussidi, le donne congolesi sopravvissute alle bande sono fortunate se hanno 80 centesimi al giorno, meno dei nostri paciosi bovini. Nel mondo in cui viviamo, ogni anno, 900 miliardi se ne vanno in armamenti, 300 in sussidi alla lobby agricola che impedisce ai Paesi poveri di vendere i propri prodotti sul mercato, e appena 50 miliardi sono destinati a progetti di sviluppo. Questo è il mondo in cui viviamo: i nipoti lo guarderanno con affascinato ribrezzo, come noi il Medio Evo.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …