Gianni Riotta: “Venite a New York contro violenza e miseria”. Intervista a Bill Clinton

19 Luglio 2005
Mister President Sir, innanzitutto, come sta? ‟Bene! Sono stato ieri dal medico, il mio cuore è okay. In agosto riprendo a fare jogging”. L’ex presidente americano Bill Clinton, 58 anni, un’operazione a cuore aperto nel 2004, ritorna alla ribalta e convoca, dal 15 al 17 settembre a New York, la prima seduta della sua Global Initiative, ‟un forum dove farò incontrare periodicamente i leader dei governi, dell’industria, della cultura e del volontariato per risolvere i quattro problemi centrali del nostro tempo: la povertà, sia nel mondo industriale che nei Paesi terzi, i conflitti tra religioni e culture, il drammatico cambiamento del clima e la gestione della vita economica del pianeta, indirizzandola allo sviluppo”.
In coincidenza con l’apertura della Assemblea generale delle Nazioni Unite, Clinton ha già molti sì ‟Verranno il presidente francese Chirac e il premier inglese Blair, da Israele Shimon Peres, il re di Giordania Abdallah II, il presidente nigeriano Obasanjo, il premier turco Erdogan, il governatore Schwarzenegger, Sonia Gandhi, dal business Rupert Murdoch e Richard Parsons, il segretario dell’Onu Kofi Annan. Non sarà un avvenimento mondano, ci sarà solo un migliaio di invitati, ma alla fine, al contrario di quanto avviene per esempio al vertice di Davos, ciascuno di noi, venga dal mondo della cultura, dell’economia, della politica, delle organizzazioni non governative, dovrà prendere un impegno preciso, dire cosa intende fare, con la sua compagnia o istituzione, per risolvere una delle questioni trattate. La Global Initiative terrà poi un record dei progressi compiuti, dando appuntamento all’anno prossimo. In un decennio faremo registrare progressi importanti”.
Dalla sua casa di Chappaqua, nei boschi appena fuori New York, l’ex presidente s’è rimesso al lavoro, ai suoi ritmi leggendari che sfiancavano consiglieri e ministri, perché il summit di New York sia un successo, e ha cominciato a chiamare uno per uno i vecchi inviati che, lungo otto tumultuosi anni dal 1992 al 2000, seguirono fedelmente la sua Casa Bianca. Al telefono la voce è roca, l’accento perenne da ragazzo del sud popolare, l’Arkansas. Ride ironico raccontando del podismo da riprendere, si commuove citando ‟i sei milioni di bambini che ogni anno muoiono per denutrizione: uno ogni manciata di secondi” Il presidente, maratoneta della retorica politica, presenta l’agenda del summit: ‟Uno, la fuga dalla povertà. Dobbiamo ridurre il debito in modo mirato ed eliminare gli assurdi sussidi e dazi che proteggono la nostra agricoltura e il tessile, sia negli Stati Uniti che in Europa, danneggiando i Paesi poveri. Le aziende globali devono intervenire creando strumenti, di mercato e finanza, ad hoc per i poveri, come insegna l’economista Hernando De Soto. Si tratta di dare potere economico a chi non ce l’ha, per esempio con i microcrediti, finanziamenti minuscoli capaci di rigenerare nei villaggi artigianato e commerci. Non bastano gli Stati nazionali, non basta l’Onu, né da sole le aziende o le Ngo. Occorre la collaborazione del sistema, mancava finora un forum speciale ed ecco la Global Initiative. Stesso discorso per il clima. Vogliamo vedere quali opportunità apre al business la protezione dell’ecosistema anziché solo litigare su Kyoto?”.
Presidente, siamo a pochi giorni dalla strage di Londra. Lei parla di ‟riconciliare i conflitti di religione e cultura”, ma come si combatte il terrorismo in radice? La guerra? Lo sviluppo? La battaglia di idee? ‟Per prima cosa dobbiamo disegnare una strategia per la sicurezza e questo è compito dei governi. Occorre impedire con ogni mezzo alle organizzazioni terroristiche di acquisire armi chimiche, biologiche o nucleari. Chi si macchia di gesta terroristiche deve essere braccato e giudicato con fermezza. Non possiamo però lasciare congelare dagli attentati il mondo civile. Non possiamo arrestare tutti i nostri nemici, non possiamo ucciderli tutti e neppure occupare tutti i Paesi dove risiedono popolazioni ostili. Dobbiamo costruire un mondo migliore superando i conflitti religiosi e culturali. Ed è evidente che evadere dalla povertà, ridurre i luoghi devastati dal cambio del clima, controllare la corruzione nelle zone arretrate, dissecca il terrorismo. Il prezzo del petrolio a 60 dollari a barile ha creato nuova ricchezza nei Paesi arabi. Eppure continuano a contribuire poco alle organizzazioni umanitarie internazionali, preferendo la carità islamica delle associazioni religiose. Alcune reti sono state indagate per contatti con il terrorismo e allora anche i Paesi ricchi di petrolio devono impegnarsi nella rete internazionale contro la povertà”. Lei lavorerà nella Global Initiative con Chirac, Blair e ministri del presidente George W. Bush: ma dall’Iraq, ai Protocolli di Kyoto, alla guerra al terrorismo, Usa ed Europa si allontanano. ‟Ho sempre creduto che americani ed europei abbiano interessi e valori in comune. Può darsi che gli elettori europei decidano di non amare la Costituzione e di bocciarla nei referendum. Questo però non deve paralizzare la crescita unitaria, economica e politica, dell’Unione Europea. Se ciò accadesse sarebbe un male, per l’Europa ma anche per gli Stati Uniti che hanno bisogno di un alleato forte e prospero. Insieme possiamo dialogare con la Russia e con la Cina, io ho faticato molto per aprire la strada di Pechino al Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Agli amici europei dico, e insisterò molto nelle giornate del summit di New York, non esitate, ammettete anche la Turchia nell’Unione. Si tratta di un Paese a maggioranza islamica ma laico, sarebbe un vero bastione contro il fondamentalismo. Peccare di egoismo è molto grave. Al mio forum, Blair e Chirac incontreranno il premier Erdogan e spero che i colloqui siano fruttuosi. La Turchia europea funzionerebbe da catalizzatore formidabile, anche per il conflitto in Medio Oriente, dandovi credibilità come mediatori tra Israele e arabi”. Una sede di negoziati globali, dove imprenditori e politici, dirigenti del volontariato e diplomatici, possano incontrarsi come non avviene né all’Onu né nei vertici tradizionali: ecco l’idea di Clinton.
Signor presidente lei si troverà davanti la perenne dialettica, serve più stato o più mercato, ci vogliono aiuti a pioggia e piani centralizzati o è l’iniziativa economica privata a emancipare i poveri? ‟La giusta strategia usa tutti i mezzi a disposizione, variando la diagnosi di Paese in Paese. Se cancellare il debito è il volano di partenza, occorre poi intervenire con leggi sul commercio che abbattano i cancelli protezionistici con cui difendiamo la nostra ricchezza. La prossima settimana andrò in Africa, dal Sud Africa di Mandela alla Tanzania, Mozambico e Kenya. Quando parlo con la gente semplice mi accorgo di quanto il commercio li possa aiutare nella vita quotidiana”. L’Africa, con l’epidemia dell’Aids, appare spesso all’opinione pubblica problema senza soluzioni: ‟Einvece le soluzioni ci sono. A volte semplici, come l’abolizione delle tasse scolastiche, un paio di dollari l’anno, meno di due euro, che però i bambini rimasti orfani per l’Aids non riescono a pagare, finendo nei campi, analfabeti. Abbiamo persuaso, con programmi su misura, i governi di Kenya e Tanzania a cancellare le tasse e due milioni di bambini sono tornati sui banchi. Anche i maestri e i professori sono decimati dall’Aids e - qui tornano al centro i governi - dobbiamo finanziare la formazione di nuovi quadri”. La globalizzazione non è dunque un mostro? ‟No, va governata ed è quel che mi riprometto con il mio forum. Siamo riusciti a concordare con il governo della Cambogia una serie di regole minime sul lavoro, per impedire che uomini e donne vengano sfruttati in nome della concorrenza. Qualcuno temeva che la Cina finisse con trarne vantaggio e invece il mercato cambogiano è rifiorito”. Un’altra obiezione riguarda la lotta alla corruzione, pozzo senza fondo che ingoia i finanziamenti per lo sviluppo. Clinton ne è consapevole, ‟Spesso nei nostri Paesi si ritiene che impegnarsi a raccogliere fondi è vacuo, tutto si disperde. Quando ho girato per i Paesi dell’Oceano Indiano colpiti dallo tsunami ho potuto rendermi conto che solo un controllo rigoroso risolve la questione. Sono impegnato perché i soccorsi del dopo tsunami diventino modello per la cooperazione tra stati e privati”. L’Onu vedrà la Clinton Global Initiative come concorrenza? Non è stato un periodo facile per l’organizzazione del segretario Kofi Annan: Clinton fa una pausa. ‟I guai delle Nazioni Unite sono condensati nello scandalo Oil for food, che ha permesso al dittatore Saddam Hussein di arricchirsi con i programmi che intendevano aiutare il popolo iracheno dopo la prima guerra del Golfo. Credo nella riforma dell’Onu promossa dal segretario generale Kofi Annan, la appoggio. Noi americani abbiamo un problema, io vorrei un Consiglio di sicurezza aperto a 24, a 20 membri, ma poi al Dipartimento di Stato i diplomatici di carriera protestano, un Consiglio stretto funziona meglio dicono. Capisco il loro punto di vista, ma la penso come quando risiedevo alla Casa Bianca: un’Onu più democratica esprime meglio il mondo globale”.
Mister president, avrà apprezzato che non le ho chiesto della campagna presidenziale 2008 di sua moglie, il senatore Hillary Rodham Clinton. Bill Clinton ride apertament., ‟Sì ho apprezzato e del resto la mia risposta standard la conosce: nessuno mi crede, eppure non so nulla e non voglio sapere nulla. Hillary deve essere rieletta senatore di New York e non distrarsi. La prima regola di Casa Clinton è "mai pensare oltre la prossima elezione o si rischia di perdere anche questa elezione". Aspetto tutti voi italiani a New York! Non mi sento mai tanto bene come quando visito il vostro Paese, l’Italia”. Arrivederci al summit, signor presidente.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …