Gianni Riotta: Terrorismo. La lunga guerra

29 Luglio 2005
Un terrorismo a base religiosa, ma radicato nel sanguinario risentimento politico. Un’organizzazione paramilitare di fanatici, capaci di imporre il suicidio ai propri aderenti. Criminali senza pietà, disposti a far brillare bombe nei grandi magazzini, uccidere dirigenti politici, poliziotti e massacrare testimoni. Cellule di estremisti che terrorizzano la comunità, mettono al muro senza processo i presunti delatori, costringendo il Paese in cui operano a blindare le occasioni pubbliche e militarizzare le città: coprifuoco, divieto di manifestare, esercito in assetto di guerra a pattugliare giorno e notte, gli ingressi dei centri urbani controllati da cancelli metallici. Un attentato che rischia di massacrare l’intero governo. L’idea razzista che gli ‟altri” siano nemici da schiacciare senza compassione. Se riguardate la storia di questi anni, potrete sovrapporre l’agire politico dell’Irish Republican Army, l’Ira dei violenti, con le stragi dei fondamentalisti islamici che insanguinano il mondo oggi. Come loro anche l’Ira, nella sezione violenta dei provos, ha colpito senza pietà nel corso della ‟long war”, la lunga guerra che dal 1969 ha seminato oltre 3.500 morti e migliaia di feriti nelle isole britanniche.
L’Ira che a Brighton, nel 1984, fa strage e solo per un caso non uccide Lady Thatcher. L’Ira che nel 1979 elimina il conte Mountbatten di Birmania, ex viceré delle Indie, carissimo alla Regina Elisabetta, massacrando due adolescenti che erano con lui in barca e sterminando 18 soldati inglesi in un agguato definito dai manuali ‟classico atto di guerriglia, con ordigni esplosivi e cecchini ‟. L’Ira che risponde alla ‟Bloody Sunday”, la domenica di sangue che lascia nel gennaio 1972 tredici civili uccisi dai parà inglesi, con le 22 bombe del ‟Bloody Friday” di luglio e guadagna consensi tra gli intellettuali e gli studenti che sfilano in corteo scandendo ‟Ira, feddayn, tupamaros, vietcong!”. Ieri l’Ira ha invitato i suoi ultimi aderenti, un tempo pronti come Bobby Sands nel 1981 a lasciarsi morire di fame, a deporre le armi e a usare solo la democrazia e la legalità per far avanzare la causa repubblicana. Sono evidenti le radicali differenze tra terrorismo cattolico irlandese e terrorismo islamico fondamentalista dei wahabiti.
Eppure, la resa di ieri contiene, al di là delle diversità di storia e geografia, una lezione di strategia politica per affrontare, e vincere, le guerre contro il terrorismo, i conflitti asimmetrici a bassa intensità. La prima è che lo scontro è sempre di lunga durata, oltre tre decenni per l’Ira, con fasi acute e lunghe quiescenze. Che la repressione militare, le inchieste di polizia e il lavoro dei magistrati sono indispensabili. Che i violenti vanno isolati nella comunità con la forza, che l’omertà va demolita giorno dopo giorno, creando un clima in cui i terroristi non agiscano più senza paura, pesci nell’acqua. Quindi tocca alla mediazione politica, paziente, instancabile, capace di alternarsi alla repressione, conquistando consensi nella comunità, dimostrando che il libero gioco democratico paga infine più dell’odio. La jihad ripropone su scala globale la partita tragica che l’Ira ha imposto agli inglesi dai giorni dei Beatles. Quando anche i jihadisti dovranno arrendersi come i provos, le tombe degli innocenti saranno purtroppo assai più di tremila. Ma se la controffensiva congiunta di forza e ragione sarà condivisa, l’esito, per i terroristi, è ineludibile: la sconfitta strategica, la rovina completa.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …