Gianni Riotta: Pera contro "i meticci": perché il neopaganesimo disarmerà l’Occidente

25 Agosto 2005
Lette per intero, al sito www.senato.it, le tredici cartelle del discorso pronunciato dal presidente del Senato Marcello Pera al Meeting di Rimini, «Democrazia è libertà? In difesa dell’Occidente», non appaiono il fantoccio contro cui i critici si vanno accanendo. Nelle intenzioni, direi, il presidente Pera voleva scrivere un testo per tutelare la tradizione occidentale dal pericolo intravisto nelle altre identità «l’emigrazione... i meticci». Il risultato, purtroppo, è un discorso pagano, paradossalmente proposto alla platea cattolica dei ragazzi di don Julián Carrón. Dicendo «pagano» non voglio unirmi alle caricature. Il mondo pagano ci ha lasciato Odisseo, eroe fondatore dell’Occidente, la tragedia greca, il Partenone e il Tempio di Vesta a Roma, la saggezza di Socrate, l’ansia esistenziale di Orazio, la malinconia di Petronio. Il testo di Pera è, in radice, un testo pagano, perché non sa condividere la rivoluzione con cui la morale cristiana mette fine all’Olimpo. È un testo «non occidentale». Antonio La Penna, in un magistrale saggio sulla morale di Orazio, ricorda i limiti dell’equilibrio pagano. Orazio invita l’amico Bullazio a ‟Neptunum procul e terra spectare furentem”, guardare al sicuro dalla terraferma il mare in tempesta della vita e delle passioni. Ma la quotidiana ricerca di armonia di Orazio non comprende il tuffo nel dolore degli «altri». La sofferenza dello schiavo, dell’ancella, del gladiatore caduto, non toccano il poeta, intento alla sua «atarassia», equilibrio personale o condiviso con la stretta comunità. La rivoluzione del Vangelo, spiega la storica Elaine Pagel, dissolve e ingloba il mondo pagano proprio sull’assunto che la rende «cattolica», universale: ama il prossimo tuo come te stesso. Senza differenze di censo, etnia, cittadinanza, distanza con gli ultimi dice il saggio Diogneto. Un’uguaglianza che né Socrate né Omero riconoscono, dove barbari e cittadini si scoprono fratelli. Farsi carico degli altri è virtù che per i pagani riguarda gli affetti, Enea che porta il padre sulle spalle, Achille che piange con Priamo sul corpo di Ettore solo «dopo» avere ricordato la pena del padre Peleo. Marcello Pera, assunta una radice neopagana forse per una lettura troppo polemica del filosofo Leo Strauss (con il riferimento alle tre città della tradizione, «Gerusalemme, Atene e Roma»), non può che smarrire la ricchezza più feconda della cultura occidentale: la formidabile capacità di confrontarsi con gli altri ed assorbirne, per amore o per forza, le ragioni migliori. Se lo studioso Martin Bernal ha dimostrato in un controverso volume le radici orientali della nostra cultura, legando Atene all’Egitto, il premio Nobel Amartya Sen è straordinario nel rivendicare come la democrazia, nata ad Atene e difesa in armi sulla piana di Maratona, abbia echi e precedenti già nelle assemblee comunitarie in India, nei consigli dell’Asia. Condivido l’invito a difendere la libertà con la forza, quando e se necessario. Ma la fierezza per la nostra tradizione diventa gradassata se dimentichiamo quanto le idee occidentali siano intrecciate con il passato remoto e il resto del mondo, come l’Illuminismo abbia pervaso le chiese contemporanee e quanto le chiese del Novecento abbiano contribuito all’alba migliore del 1968, (vedi i tomi di Alberigo e Melloni sul Concilio e il cardinal Scola sul ‟Corriere”). La filosofia non è, insegna Popper, «credere di avere ragione con i propri amici», ma corroborare le idee con la realtà. Se l’Occidente assumesse la difesa a testuggine proposta da Pera contro «i meticci» sarebbe sconfitto. Il testo del presidente del Senato è criticabile perché debole strategicamente davanti ai nemici. Vorrebbe chiamarci alle armi ma ci disarma.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …