Gianni Riotta: New Orleans. Il ciclone svela agli Usa un leader che divide

02 Settembre 2005
Nel film 1997 Fuga da New York il regista John Carpenter immaginò che Manhattan fosse stata trasformata in un penitenziario, dove il presidente rischiava di finire ostaggio dei ribelli. La tragedia di New Orleans, con poche migliaia di cittadini ancora prigionieri delle acque e oltre mezzo milione di profughi, rischia di prendere ostaggio il presidente George W. Bush. Le calamità naturali si trasformano in fretta in crisi politiche nel mondo globale.
Il terremoto dell'Irpinia provocò l'ira di Sandro Pertini. Le alluvioni in Germania aiutarono le caduche fortune elettorali del cancelliere Schroeder. L'impatto dello tsunami ha fatto riaprire il dialogo con i rivoltosi di Aceh.
Quel che accade al confine tra Texas, Louisiana e Alabama, lungo la ‟riviera sudista”, sta diventando, di ora in ora, un exodus dove le difficoltà dell'America si rispecchiano opache, come le case svuotate nell'acquitrino di New Orleans. Miliardi di danni, forse migliaia di morti, dice il sindaco Nagin, un tasso di perdite, in vite e nell'economia, che supera il terremoto di San Francisco e l'11 settembre. La folla del ghetto travolge lo stadio Superdome, i desperados delle gang del bayou, le zone povere andate sott'acqua, rubano quel che possono, un machete per affrontare i borghesi bianchi con in mano un mitra M 16. Le nonne rubano il pane per i nipotini affamati. Così a Los Angeles 1992, dopo la rivolta contro la polizia, così nel black out di New York che ispirò le lodi nichiliste del poeta Nanni Balestrini.
Katrina si lascia dietro città devastate, morti che galleggiano gonfi e una lunga scia politica. Le polemiche contro gli Usa inquinatori che pagano il dazio dell'effetto serra fanno pari e patta con quelli che ancora oggi negano le stragi di Osama. Ed è triste che un ministro, sia pure in aria di sconfitta elettorale prossima come il tedesco Trittin, unisca la sua voce al coro ipocrita. Il no di Bush ai protocolli di Kyoto non significa che il paese inquini con gusto: Stuart Eizenstat, capo delegazione Usa a Kyoto, osserva che le maggiori multinazionali americane, General Motors, Ford, Chrysler, General Electric, DuPont, Alcoa, già osservano le regole anti inquinamento, pur di restare nel mercato globale.
La propaganda e le polemiche passeranno, come l'acqua che fluisce dalle dighe spezzate del French Quarter. Quel che resterà, tra morti e case crollate, è la divisione che lacera l'America dalla fine della Guerra Fredda. Bush vede il consenso scendere al minimo storico, 45%. Ha vinto per due volte, ma è sempre rimasto - tranne nell'epopea del dopo 11 settembre -, leader di metà del Paese. Sulla guerra in Irak le due Americhe si fronteggiano irriducibili, 53% contro, 46% a favore.
Spaccati in politica, gli Stati Uniti si dividono anche nella società. Il dati del Census Bureau 2004 confermano che la robusta crescita dell'economia, che tanto noi europei invidiamo, stenta a trasformarsi in benessere per i più poveri. Poco meno di 46 milioni di cittadini non hanno assistenza medica, con un aumento di 800.000 persone. Il 12,7% degli abitanti della superpotenza vivono sotto il livello di povertà,ma il dato peggiore è che dal 2001 aumentano ogni anno, regolarmente. Un paese che non smette di produrre, innovare, consumare, creare lavoro, ma che non riesce a vincere la guerra alla miseria dichiarata dal presidente Johnson quaranta anni fa.
David Brooks, firma conservatrice del ‟New York Times”, ammette con onestà davanti allo tsunami di New Orleans: ‟le vittime sono i neri e i poveri: seguirà presto una crisi politica”. Io credo sia già in atto: Bush non è riuscito a unificare il grande paese e i leader democratici non sanno elevarsi al di là della propaganda iraconda alla Michael Moore. Mentre tanti nel mondo accusano la Casa Bianca di voler dominare il pianeta con l'unilateralismo, e tanti americani rinfacciano a Bush la stessa sindrome, la verità lasciata nuda da Katrina è opposta.
Il mondo tutto aveva bisogno di un leader unificatore, che non poteva che venire dalla Casa Bianca e Bush non sembra riuscire nel compito. Gli Stati Uniti hanno una disperata necessità di un presidente capace di parlare a tutti e Bush predilige i toni della divisione. Se l'11 settembre 2001 è stato il suo giorno più alto, lo zenith, Katrina rischia di essere il peggiore, il nadir. E la lunga processione di profughi che lascia la meravigliosa New Orleans calpestando i binari asciutti della sola ferrovia non allagata, anticipa una manifestazione di protesta, avvilita e imprevedibile, del più grande paese al mondo che non sa mettersi insieme a lavorare.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …