Gianni Riotta: La crisi all'italiana e il tenace patriottismo delle cassandre

06 Ottobre 2005
Una decina di anni fa, passeggiando sul marmo del piano nobile al ‟Corriere”, discutevo con un bravo collega dello tsunami globalizzazione che si apprestava a colpire il nostro Paese. Dopo aver visto la rivoluzione informatica passare a Silicon Valley dai garage di Jobs e Wozniak, inventori del personal computer, al gigante Microsoft, impressionato dal boom Cina, paventavo il declino italiano: ‟L’Alitalia, con i piloti che guadagnano più di quelli di Lufthansa sapendo pilotare meno modelli, come resisterà?”. Il collega scosse le spalle, con la smaliziata indolenza di chi ha passato la vita a fare vasche su e giù per il Transatlantico: ‟Perdi tempo con le statistiche, ce la siamo sempre cavata, troveremo una soluzione. All’italiana”. L’amico sbagliava e con lui i leader politici e gli osservatori che si sono illusi, per furbizia ingenua, di trovare una ricetta all’amatriciana ai guai globali.
Ieri, nel discorso in Parlamento sulla Finanziaria, il ministro Giulio Tremonti ha, finalmente, riconciliato le sue due personalità, l’uomo politico e l’intellettuale presidente dell’Aspen Institute, riconoscendo la verità. La nostra crisi è strutturale, non dipende dai guai seguiti all’11 settembre 2001; entrare nell’euro è stata occasione storica e ha permesso il consolidamento del debito che divora il prodotto interno e soffoca con interessi-piovra ogni possibile investimento sociale. L’Europa cresce male, ha detto Tremonti, ma l’Italia cresce malissimo. È quel che i vituperati giornali stranieri sostengono da anni, venendo dileggiati dai fogli e dalle tv della maggioranza, persuasi che sia ‟patriottico” inveire contro ‟Financial Times” ed ‟Economist” colpevoli di ricordare che l’Italia è azzoppata nella competitività, nell’innovazione, sui mercati d’avanguardia, nella trasparenza e nel rispetto delle regole, vedi giungla Bankitalia. È vero l’opposto, i patrioti denunciano i difetti del Paese per migliorarlo. Il premier Silvio Berlusconi, i suoi ministri e il vasto parco di media che li sostiene, hanno contraddetto fino a poco fa Tremonti. L’euro veniva giudicato come una follia di Romano Prodi, la lentezza della crescita imputata a tutto tranne che agli errori di governo. Ancora poche sere fa, a una trasmissione di Sky condotta dall’angloromano Alan Friedman, l’ex ministro Gasparri insisteva che ‟l’Italia ha meno disoccupati della Germania” e che tutto si sarebbe risolto. Come? All’italiana. OraTremonti parla chiaro, matace - alla vigilia elettorale - sul punto cruciale: gli elettori hanno dato nel 2001 fiducia a Berlusconi perché snellisse la macchina statale e guidasse il Paese ‟come un’azienda”. Che fosse un’illusione, s’è detto, ma il genuino consenso alla liberalizzazione è finito disperso in anni di leggi Cicero pro domo sua. Ora tutti sappiamo che il declino è profondo e la Finanziaria nulla potrà per colmarlo. La sinistra, che secondo Mannheimer, riforma elettorale o no, si accinge ad andare al potere, rifletta sulla malinconica confessione di Giulio Tremonti.
Nella primavera 2006 potrebbe toccare agli uomini di Prodi governare la ‟crisi strutturale” e sarebbe bene cominciare a discutere di strategie, idee, leader. Non ci sono soluzioni ‟all’italiana”, quando stampavano lire e speravamo in bene. Occorre, con pazienza, adattare il nostro genio ai tempi. Il vino italiano soffre della competizione delle nuove vigne, dal Sudafrica all’Australia. Ma i fieri produttori Doc non tagliano i prezzi come la concorrenza straniera. Si inebriano, sperando in un cin cin ‟all’italiana” che non arriverà più, neppure per i grandi Nebbiolo, neppure per le magnifiche Vernaccia. Ora tutti ammettono la verità: le nostre sono difficoltà strutturali. E intanto ci inebriamo...

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …