Vittorio Zucconi: Tsunami, un anno dopo. Il mondo ricorda londa di dolore
Tutto il mondo rimase attonito, i governi lanciarono elicotteri e aerei per farsi vedere generosi, la gente staccò uno cheque da 10 miliardi di Euro in donazioni private. È passato un anno, sono passate altre catastrofi immani, l’uragano Katrina che ha fatto di New Orleans la Pompei americana, il terremoto pakistano, e ieri sono suonate le sirene dei nuovi e tardivi sistemi di allarme in Indonesia, i gong nel templi, le campane nelle poche chiese, le invocazioni funebri degli imam. Ma 1 milione e mezzo dei quasi due milioni di essere umani rimasti senza casa soltanto in Indonesia, vivono ancora come la sera di quel giorno che i cristiani chiamano di Santo Stefano, tra fogli di plastica e pareti di onduline. A Lamteungoh, un villaggio indonesiano dove vivevano 17 mila persone e oggi 276, l’unico edificio nuovo è una piccola madrassa, una scuola coranica.
La contromarea della commozione, sollevata da quelle sequenze video amatoriali e perciò più brutali, che documentarono una tragedia mentre accadeva come avvenne per l’11 settembre a Manhattan, e la scolpirono nella memoria, è diventata l’acquitrino della burocrazia, della corruzione, dei ricatti politici, dei profittatori delle catastrofi dove ristagnano e scompaiono i miliardi. Migliaia di volontari, di organizzazioni generose e disinteressate continuano a tappare falle e a fare il poco che possono fare, lottando contro la melassa delle burocrazie, le guerriglie di religione e di tribù che stanno riemergendo dalla palude, come in Indonesia o nello Sri Lanka. Pessimi governi, amministrazioni rapinose, mafie locali non divengono angeli di efficenza e di carità soltanto perchè un’onda divora uomini che l’imprevidenza e la corruzione di quegli stessi governi avevano esposto al disastro.
Come tutte quella tragedie che chiamiamo ‟naturali”, anche lo Tsunami di Santo Stefano rivela sempre il meglio e il peggio della comunità umana, imbarazza governi potenti e inetti come quello americano, illumina le condizioni di vita nel Kashmir come nei ghetti di New Orleans, affonda la lama nell’abisso che divide le ‟fantasyland” per turisti dalle ‟realityland” dei mondi che li circondano. Chi non è stato toccato offre aiuti per bontà, per emozione, per l’inconfessabile sollievo che sia toccata a un altro. Ma a New Orleans la ricostruzione promessa stenta, e 70 mila famiglie sono ancora sfollate e sparpagliate in 21 stati.
Dal Pakistan sbriciolato si sa sempre meno. Dalle coste dello Tsunami, dove molti hanno deposto ieri fiorellini davanti a un oceano placido, tre quarti dei soldi promessi non sono arrivati e tra i donatori si insinua la ‟charity fatigue”, la stanchezza del buon cuore affaticato. Alle 8 e 16 del mattino del 26 dicembre 2004 morirono insieme giusti e gli ingiusti. Ma alle 8 e 16 di un anno più tardi, gli ingiusti campano di nuovo meglio dei giusti.