Luis Sepúlveda: Quando le cantavo l’inno dei Beatles

23 Gennaio 2006
Quando Paul McCartney e i Beatles resero famosa questa bella canzone, negli anni Sessanta, non immaginavano che quarant’anni dopo, in un lontano Paese dell’emisfero australe, sarebbe diventata una specie di inno alla speranza politica e umana, incarnata da una donna divorziata in un Paese che ci ha messo un bel po’ ad avere una legge sul divorzio, apertamente agnostica in un Paese di cattolici beceri e devoti, e socialista, ma non di quelli e quelle che hanno riciclato i valori del socialismo, proprio un’erede di Salvador Allende.
‟Michelle, ma belle”… così cantavamo a volte durante le manifestazioni di sostegno ad Allende, nel 1971-72, quando una bionda piccoletta ed entusiasta sfilava con la Juventud Socialista per le strade di Santiago. Sapevamo che era la figlia del generale Alberto Bachelet, un ufficiale dell’aeronautica, fedele alla Costituzione, che in quegli anni si accollò il difficile compito di distribuire equamente gli articoli di prima necessità, sapone, zucchero, sale, che la destra finanziata da Henry Kissinger accaparrava, occultava e distruggeva per generare una criminale scarsità di approvvigionamenti.
Non sapevamo che il generale Bachelet avrebbe pagato con la vita la sua fedeltà al Cile. Fu torturato dai suoi stessi commilitoni, fino a quando il suo cuore smise di opporre resistenza. Non sapevamo nemmeno che nel 2006 saremmo tornati a intonare ‟Michelle, ma belle…”, con un entusiasmo che si è visto poche altre volte nella storia cilena.
Soltanto la vittoria elettorale del Fronte Popolare nel 1930, e quella di Salvador Allende nel 1970 generarono una speranza comparabile a quella dello scorso 15 gennaio, perché Michelle Bachelet rappresenta quella speranza inesauribile che è riuscita, lentamente - talvolta con eccessiva lentezza - a recuperare parte della normalità democratica in un Paese che aveva una tradizione di società civile, di grande senso civico, e che credeva nella democrazia come forma di convivenza.
Michelle Bachelet è una donna riservata, cosciente della sua capacità di leader e di organizzatrice, e che non ha mai rinnegato né il suo passato socialista né le sue ferite. Lei e la madre, con tutto il dolore di sapere che il generale Bachelet era morto nelle segrete del dittatore, furono imprigionate nel peggiore dei centri delle torture e degli assassini: Villa Grimaldi. È stata al centro dell’orrore, ma come tutte le persone degne, quelle persone il cui sguardo trasmette un valore che non potrà mai essere riconosciuto dal dittatore o dai suoi tanti complici civili e militari, uscì da là senza odio, ma con una ferrea volontà di giustizia. Lo sguardo sereno di Michelle Bachelet trasmette calore, fiducia e qualcosa di più importante; è lo sguardo pulito di quelle che non hanno parlato, di quelle che non si fecero sconfiggere dal terrore.
La sua recente vittoria, la sua elezione come prima donna presidente del Cile, ha una carica etica fortissima, perché spetterà a lei dare impulso al pieno ristabilimento della normalità democratica, che passa attraverso la soluzione di molti problemi urgenti: il Cile ha la necessità di mettere la parola fine all’odiosa Costituzione lasciata in eredità dalla dittatura, con l’infame gruppo di senatori che rappresentano le forze armate, con l’odiosa marginalizzazione di un terzo dei cileni, a cui viene impedito di avere una rappresentanza politica e parlamentare proporzionale ai voti ottenuti, e soprattutto ha la necessità di ridurre l’abisso che separa i pochissimi ricchi troppo ricchi dai tanti, troppi poveri in un Paese che pure si pregia di avere una crescita economica superiore alla media latinoamericana.
Michelle Bachelet rappresenta la speranza di farla finita con una delle piaghe più aberranti dell’economia neoliberista, quella che assegna al mercato la facoltà di limitare i diritti civili e democratici, perché la maggioranza di noi cileni crede che debba essere la democrazia a stabilire i limiti del mercato. E in lei è depositato il veemente desiderio di giustizia di coloro che hanno sofferto, di coloro che non sanno ancora dove siano i loro genitori, figli, mariti, inghiottiti dalla macchina del terrore.
Molto più in là del carattere simbolico che può avere il fatto che sia la prima donna a salire alla presidenza, la cosa veramente importante è il cambiamento generazionale, quella nuova energia rinnovatrice e il suo bagaglio ideologico femminista, dal momento, e nessuno deve dubitarne, che lo sguardo e la comprensione dei problemi che possiede quell’altra metà dell’umanità sono molto più generosi e creativi, più audaci e al tempo stesso misurati, rispetto al modo di agire del maschio politico latinoamericano.
Domenica 15 gennaio, mentre le cilene e i cileni si recavano alle urne, quel rottame umano di nome Pinochet non voleva sapere nulla delle elezioni, e il candidato della destra sorvolava Santiago a bordo del suo elicottero privato. Dalle borgate popolari, la gente guardava il cielo e cantava... ‟Michelle, ma belle”… come ai bei tempi pieni di fiducia e caparbia speranza.
Traduzione di Fabio Galimberti

Luis Sepulveda

Luis Sepulveda è nato in Cile nel 1949 e vive attualmente tra la Germania e Parigi. Ha viaggiato in tutto il mondo, anche come membro dell'equipaggio di Greenpeace.