Gianni Riotta: Europa, niente sconti all’odio

30 Gennaio 2006
Hamas vuol dire ‟zelo”, ma è anche la sigla di Harakat al-Muqawama al-Islamiya, Movimento di resistenza islamica. Da ‟zelanti”, spiega lo studioso israeliano Reuven Paz, ‟gli uomini di Hamas spendono 60 milioni l’anno in scuole, orfanotrofi, moschee, ospedali, mense popolari, palestre”. Da ‟resistenti”, le brigate Izz al-Din al-Qassam hanno organizzato 350 attentati terroristici contro Israele, massacrando con i kamikaze oltre 500 innocenti e mutilandone migliaia. Questa è la forza centauro che ha trionfato nelle elezioni palestinesi, capovolgendo il Medio Oriente, cancellando l’eredità di Arafat, mettendo Israele davanti a un nemico mortale, costringendo americani ed europei a riconsiderare, col cuore in gola, le strategie. Gli osservatori scettici sulla democrazia nei Paesi arabi obietteranno che, senza il voto, Hamas sarebbe rimasta rinchiusa nelle cantine di Gaza. Già in Algeria e adesso in Iran, un libero voto ha premiato i fondamentalisti violenti, come i seguaci dell’organizzazione fondata negli anni ‘60 dallo sceicco Yassin, sull’orma dei Fratelli Musulmani. Ma la democrazia rispecchia la realtà, Hamas non nasce nelle urne e la sua forza, concordano il foglio israeliano ‟Yedioth Ahronoth” e l’arabo ‟Arab news”, è alimentata dal risentimento della popolazione per la corruzione e l’inefficienza di Fatah. Meno di un palestinese su cinque condivide il proclama di Hamas, ‟far sventolare la bandiera di Allah, cancellare Israele”: i 76 seggi conquistati, contro i 43 di Fatah, esprimono protesta e frustrazione, ma se Hamas imponesse la sharia, il canone islamico, nei turbolenti villaggi del West Bank, la sua vittoria potrebbe rivelarsi effimera. Spiazzati, americani ed europei reagiscono con toni diversi, il presidente Bush circospetto, attento alla nuova situazione, pronto a denunciare il retaggio terrorista e l’odio per Israele, ma senza enfasi. Gli europei attoniti, inquieti, amareggiati nel constatare quanti guasti abbiano prodotto gli anni sprecati a vezzeggiare Fatah e Olp, senza chiedere il conto per le violenze, gli sprechi, le riforme fallite e la pace mancata. Corrotti, decadenti, privi di visione, i centurioni di Fatah si svegliano circondati dalle verdi bandiere islamiche, ostaggio di un passato perduto. Israele giocherà le carte senza fretta, dopo avere scelto il leader che raccoglierà il carico di Sharon. Da tempo crede poco al dialogo con i palestinesi e prova a sciogliere i nodi da sola. Sa che, lasciata a se stessa, Hamas continuerà a occuparsi della sua rete di assistenza senza smantellare però gli arsenali del terrore, pronta a riaprirli quando riterrà opportuno. Per gli europei il ‟terremoto in Medio Oriente” di cui scrive il ‟Jerusalem Post”, apre un dilemma affilato: ignorare la forza di Hamas è ormai impossibile, ma provare a ingaggiare l’Hamas di oggi alla tradizionale diplomazia dell’Unione, carote senza bastone, negoziato e finanziamenti a pioggia, porterebbe a disastri. Eppure - per quanto arduo appaia in questa storica giornata - si può immaginare in Palestina un’evoluzione analoga a quella degli Hezbollah in Libano, violenti convertiti alla politica, o in Turchia, dove i partiti islamici al governo non hanno sconvolto il Paese nell’intolleranza. L’Unione deve confrontare Hamas con risolutezza, pronta a cogliere ogni apertura, ma inflessibile davanti a odio, violenza, terrore. È l’unica strada, per impervia che appaia, verso la remota pace.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …