La strana vita dei pakistani in una cittadina inglese. Mappe per amanti smarriti di Nadeem Aslam

05 Ottobre 2004
C'è chi pensa che Nadeem Aslam, il giovane autore nato in Pakistan nel 1966 da un padre poeta e libero pensatore emigrato con la famiglia in Inghilterra nel 1980, stia sfidando il destino e andando incontro a una fatwa simile a quella che colpì Salman Rushdie. L'ha scritto l'‟Economist” il 1° luglio 2004. In effetti il suo bel romanzo Mappe per amanti smarriti è così critico verso le regole, le credenze, i tabù che regolano la vita delle comunità islamiche in Europa da mirare diritto al loro cuore malato, un organo che agli occhi di Aslam sembra ormai pulsare non solo di un'inguaribile nostalgia, ma di un odio aggressivo verso la realtà circostante, e soprattutto di pervicace rifiuto nei confronti delle libertà individuali e delle donne in primo luogo; un organo deteriorato da infiniti soprusi che si squadernano terribili davanti ai nostri occhi. Siamo negli anni Novanta in una innominata cittadina inglese ai cui margini vive una collettività di pachistani, indiani, bengalesi... La gente chiama il posto Dasht-e-Tanhaii, ovvero "deserto della solitudine", per il senso di vuoto e di esclusione di cui si nutrono, per la marginalità in cui sono costretti, per il mondo chiuso a cui molti si autocondannano senza neppure imparare l'inglese, avvolti in un controllo sociale asfissiante fatto di pettegolezzi, di giudizi e di pregiudizi, di violenze, di "intrighi bizantini e spionaggio emotivo", che costringono le donne ai vestiti tradizionali, a non fermarsi mai con un uomo per strada, a sposarsi per matrimoni combinati - in genere con un cugino primo che arriva espresso dal Pakistan al bisogno -, a sottoporsi a pericolosi esorcismi quando non sono disposte a seguire la volontà del genitore (ne vediamo morire una di botte per mano di un religioso che vuole estrarle dall'anima un djinn, uno spirito cattivo, perché ha osato innamorarsi di un indu e Aslam ci informa che, fuori dalla fiction, in una sola provincia pachistana ogni 38 ore viene uccisa una donna "per il solo motivo che la sua virtù è in dubbio"). In questo pianeta, che esclude la sfera femminile dal consesso civile, ci racconta Nadeem, basta che un uomo in un momento di rabbia dica tre volte talaaq, talaqq, talaqq, per ripudiare definitivamente la propria moglie e, volendo, toglierle il figlio. Nel "Deserto della solitudine" i divieti di fatto sono infiniti, come quello di denunciare un uomo di moschea che ripetutamente molesta i bambini mentre dovrebbe insegnargli il Corano: un tipo così non verrà mai cacciato dalla comunità per non mostrare all'Inghilterra la faccia peccaminosa dell'Islam. E del resto qui rivolgere la parola a un "inglese" anche solo tre volte l'anno è considerata una iattura: basterà dire che per augurare la mala sorte a un "compaesano" gli si urla semplicemente "che tuo figlio sposi una bianca!". Intorno, il mondo pulsa regolarmente. Lo sa bene la famiglia di Shamas, un uomo gentile e poetico e colto (non credente, come lo stesso Nadeem si definisce), libraio nel tempo libero di autori come Nabokov tradotti in urdu (e vien fatto naturalmente di pensare al Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi e al valore di libertà che emana dalla letteratura). La moglie Kaukab ha invece orrore dell'Occidente, maledice continuamente il momento in cui ha lasciato il Pakistan e considera un peccato la maggior parte delle cose che la circondano, "questa tana del diavolo da cui Dio è stato esiliato": i suoi tre figli l'hanno abbandonata proprio per la sua ristrettezza di vedute. Charag, il maggiore, è sposato con una bianca nonostante la lista di quattro ragazze che Kaukab gli aveva proposto, la figlia Mah-Jabin si è divorziata da un pachistano che la picchiava ed ora vive in città, da sola; Ujala, il più piccolo, alla madre non vuole parlare neppure per telefono da otto anni: la disprezza, soprattutto da quando ha capito che lei, su suggerimento dell'imam, gli faceva bere del bromuro per calmare i suoi bollenti spiriti. Ma ciò che li opprime maggiormente è un delitto che ci accompagna fin dall'inizio: il fratello di Shamas, Jugnu è sparito insieme a Chanda, la figlia dei droghieri che smerciano incensi e lozioni per capelli all'ibisco: i due erano andati a vivere insieme senza essersi sposati perché Chanda non riusciva a trovare il precedente marito e ottenere così il divorzio. Lo scandalo nella comunità è enorme, e dopo un po', d'improvviso, avviene la misteriosa scomparsa. La polizia sospetta che siano stati uccisi dai fratelli della donna e li arresta. Tra l'altro, quei giovinotti, che di tanto in tanto commerciano anche in eroina, non solo hanno minacciato le più violente vendette, ma si sono anche vantati in giro di averle compiute. La famiglia di Shamas e di Jugnu è divisa tra vergogna e dolore. Quella dei droghieri e di Chanda pure, ma non tanto per il delitto che avrebbero compiuto i ragazzi (ora l'onore è salvo), quanto perché i due figli sono in un carcere dove di tanto in tanto i paki, gli immigrati dal Pakistan, vengono picchiati e perfino fatti fuori. Difficile respirare in tanta angoscia. Eppure questo libro non è un mare di lutto, di obbrobri, di lacrime. Le stagioni, la natura, i fiori, la neve, i tramonti, le albe, il vento, i sapori, i profumi, la cucina, con cui Nadeem Aslam addolcisce il racconto ci conducono tra arabeschi orientali e brevi momenti magici in un'aurea poetica. Persino troppo, a volte. Lo studio delle falene, dei Cinabri, delle Grandi Pavonie, simbolo nella letteratura islamica della ricerca dell'amata (come non ricordare il romanzo del pachistano Mohsin Hamid Nero Pakistan dove il protagonista passava il tempo a veder bruciare le farfalle mentre si avvicinavano alla fiamma?) scandisce il tempo e lo spazio del pacato entomologo Jugnu, la "brina è rivestita di bagliori", il ghiaccio che cade per terra si trasforma "in polvere bianca come un cristallo di zucchero"; gli odori dei datteri, delle zucche amare farcite, del curry ci navigano intorno, i boccioli di rosa sono "della stessa grandezza e consistenza delle fragole", le foglie dei sorbi assumono tutte le sfumature del giallo e del rosso, i vestiti delle donne sono ricchi di ricami come le volute dei tatuaggi d'henné nel giorno del matrimonio. Shamas, in mezzo a tante suggestioni, riesce a trovare anche il modo di innamorarsi di un'altra donna, ma la sua voglia di vivere si scontrerà con la nebbia luttuosa che avvolge Dasht-e-Tanhaii. Ci sono voluti undici anni ad Aslam per scrivere Mappe per amanti smarriti. Dopo una prima stesura durata due anni (ma aveva già avuto successo con un primo libro mai tradotto in Italia, Season of the Rainbirds vincitore di numerosi premi e superlodato da Rushdie), mentre giaceva quasi in uno stato di "illuminazione" tra le mura domestiche da cui non usciva mai anche per sei settimane di seguito, ha dedicato a ognuno dei protagonisti una "biografia" di cento pagine per dar loro maggior consistenza, e ricondurle poi nell'unico fiume del racconto. Poi l'ha trascritto al computer e registrato su nastro per sentire se "suonava" bene. A un certo punto ha ricevuto anche una borsa di studio del Royal Literary Fund, ma l'ha resa per un terzo perché gli sembrava troppo per i suoi bisogni. Undici anni di isolamento e di rigore: nonostante la vicenda sia collocata nel 1997, Nadeem pensa di aver scritto un romanzo sull'11 settembre, e chiede a se stesso e a tutti i musulmani di opporsi e denunciare la deriva fondamentalista: "mi sono domandato, ha detto, se nella mia vita ho saputo condannare i piccoli 11 settembre che accadono ogni giorno. Jugnu e Chanda sono l'11 settembre di questo libro".

Mappe per amanti smarriti di Nadeem Aslam

Siamo in un'innominata città inglese, uguale a molte altre in Europa, ai cui margini vive una comunità pachistana. Il romanzo si apre con la scomparsa di due amanti, Chanda e Jugnu e ben presto la polizia decide di arrestare i due fratelli di Chanda, indignati dalla loro relazione adulterina. La t…