Riccardo Staglianò: Iraq, la Casa Bianca conferma. "Esiste un piano di ritiro"

27 Giugno 2006
Il piano per il ritiro esiste ma è ‟solo una delle opzioni possibili”. La Casa Bianca conferma la rivelazione del ‟New York Times”: via dall’Iraq a partire da settembre, il grosso delle truppe a casa entro il 2007. Per subito ridimensionarne la portata. ‟La decisione sarà presa dal generale Casey (l’autore del rapporto anticipato dal quotidiano) assieme al governo sovrano iracheno basandosi sulle condizioni sul terreno” ha detto George Bush. Dipende da come sarà la situazione da qui ai prossimi mesi. Se la mattanza che ha fatto solo negli ultimi quattro giorni 262 morti e 480 feriti finirà. ‟Ogni raccomandazione del capo delle nostre forze armate in Iraq punta solo a raggiungere la vittoria”, ha aggiunto il presidente. Che nell’accezione di Washington prevede un governo libero capace di reggersi e difendersi da solo, alleato degli Usa nella lotta al terrorismo e contro Al Qaeda in particolare.
Raggiunti questi obiettivi il disimpegno potrà iniziare. E niente vieta che sia proprio nelle forme illustrate venerdì scorso da Casey al presidente, ovvero con la riduzione entro il prossimo anno e mezzo dalle 14 brigate attuali a 5 o 6. Ognuna conta circa 3500 soldati e il totale passerebbe dagli attuali 130 mila effettivi a poco più di 80 mila (la differenza numerica è spiegata dalla presenza di militari non inquadrati in brigate). Potrebbe andare così ma anche diversamente. ‟Se qualcuno pensa che sia un piano inciso nella roccia, non lo è”, ha ribadito il portavoce Tony Snow, ‟non possiamo, al momento attuale, predirlo”. Da una parte l’Amministrazione si preoccupa del fronte interno, con la popolarità in picchiata di Bush da risollevare prima delle elezioni di midterm a novembre. Dall’altra il presidente non vuole rinunciare alla sua qualifica sin qui politicamente più redditizia, quella di commander in chief. ‟Quando gli Stati Uniti danno la loro parola - ha dichiarato - la mantengono. Non ce ne andremo in fretta e furia”.
Niente "cut and run", quindi, accusa che i repubblicani hanno rivolto in queste settimane proprio contro i piani di ritiro presentati dai democratici. Che adesso vanno al contrattacco. ‟Gli unici americani che ritengono che non ci debba essere un calendario per il disimpegno - ha tuonato sulla Cbs la parlamentare Barbara Boxer - sono i repubblicani nel Congresso”. Ed è stato proprio il senato a maggioranza conservatrice a impallinare la settimana scorsa una risoluzione presentata da John Kerry e Russel Feingold, uno dei liberal più attivi che aveva già chiesto l’impeachment di Bush, che prevedeva la scadenza del primo luglio 2007 per il "tutti a casa". ‟Hanno invaso l’etere attaccandoci in tutti i modi - ha dichiarato l’ex candidato presidenziale del Massachusetts - e adesso i loro piani assomigliano terribilmente ai nostri. La campagna di veleno e disinformazione si scatenerà anche contro il generale Casey?”.
Tuttavia fissare una data resta un’operazione delicata anche per il resto del paese. Stando all’ultimo sondaggio Washington Post-Abc infatti, pur ipercritici nei confronti della gestione Bush della guerra, il 51% degli americani non vuole fissare un termine per il ritiro (sette mesi fa era il 60%). Anche tra chi è favorevole, solo metà lo vorrebbe rapido, entro i prossimi 6 mesi. Ed è su questo senso di responsabilità popolare che il presidente gioca la sua scommessa.

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …