Gianni Riotta: Sentenza sul calcio. All'inferno

15 Luglio 2006
A 120 ore dal giorno felicissimo della quarta Coppa del mondo azzurra il calcio italiano vive il giorno infelicissimo della prima, storica, retrocessione della Juventus in serie B, con 30 punti di handicap, in compagnia di Fiorentina e Lazio, con minori penalità, e il Milan relegato in coda alla A, 15 punti di zavorra. La sentenza sportiva azzera due generazioni dell'establishment del football, dal presidente Carraro, già attivo con il Milan di Rivera, ai Giraudo e Moggi del calcio Monopoli.
Non c'è stata amnistia, sotto la copertura del trionfo della Nazionale, né colpo di spugna per cancellare le responsabilità di chi ha corrotto il pallone agli occhi di milioni di sinceri sportivi, malgrado i suggerimenti del Guardasigilli Mastella. Chi, per molte stagioni, ha pensato che non dovessero essere nerbo atletico, sagacia tattica o organizzazione delle società a prevalere in campo, ma intrigo e camarilla, scopre amaramente che anche nel calcio se sbagli, paghi. Senza soggezione per il palmares più prestigioso, quello bianconero, né per l'influenza televisiva del Milan di Silvio Berlusconi, né per gli arbitri parassiti.
Oggi i tifosi vaglieranno, giureconsulti da bar, la sentenza dell'ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Ruperto. Ciascuno criticherà le condanne: perché mai il Milan, chiederanno gli juventini, non ci segue in B e razzia al mercato i nostri campioni? A Firenze i tifosi del club di Della Valle obietteranno che, se l'accusa è aver ceduto ai ricatti, non basta la minore penalizzazione a discernere i viola dai burattinai prepotenti. I milanisti si schermeranno dietro il peso leggero del dirigente Meani.
La sentenza è dura. Non commina alla Juventus la pena di morte della serie C rivendicata dal procuratore Palazzi, ma l'ergastolo dei -30 in B fa esclamare al compassato neopresidente Cobolli Gigli ‟Inaudito!”.
Il dubbio è la deriva indolente, dalla requisitoria draconiana, alla rigida pena di ieri, a un prossimo, ulteriore ammorbidimento, secondo la decrepita usanza rateale dei tribunali italiani. Davanti al procedere della giustizia sportiva l'attesa da legittimare resta l'esclusione di dirigenti ed arbitri sleali, l'assegnazione dei trofei a chi li ha meritati, come tradizione alle Olimpiadi dopo una squalifica, un criterio equanime di pena tra i club coinvolti, la chance di poter tornare a giocare a testa alta, senza fallimenti a tavolino.
In giorni di canicola e passioni, tra nuovi dibattimenti, coppe a rischio e squadre in ritiro, sarà bene che tutti, presidenti e commentatori, tribune tv Mediaset e Rai, il rusticano patron laziale Lotito, ricordino che espressioni tipo ‟Non accetteremo! Non permetteremo!” non cadono su forbiti filologi, ma su piazze percorse anche da ultras violenti.
Meglio ricondurre le proprie battaglie al diritto, accettando le sanzioni come sfide da gentlemen, derby da rimontare, nello stile delle casacche antiche.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …