Gianni Riotta: “Le sofferenze dei civili? Sono proporzionate”. Un colloquio con Shimon Peres

24 Luglio 2006
‟La guerra? La guerra continua” dice il premio Nobel per la Pace, Shimon Peres. È lui l'ultimo leone del Medio Oriente, dopo Sadat, la Sfinge Mubarak, Re Feisal, il sorridente Re Hussein, Saddam Hussein in galera, l'ayatollah Khomeini sepolto, assassinato il premier israeliano Rabin, ostile per una vita a Peres, morto Assad padre in Siria, in coma profondo Ariel Sharon. E per discutere dell'ultima guerra di Israele, ingaggiata a nord contro le milizie sciite di Hezbollah e a sud contro Hamas da quell'esercito che nel 1947 Peres armò in segreto con vecchi fucili comprati in Galilea, l'appuntamento è all'hotel King David. Sessant'anni fa esatti, i militanti ebrei di Etzel fecero saltare un'ala dell'albergo, 91 morti: e si litiga sui giornali per la nuova lapide, gli attentatori erano ‟clandestini” o ‟ribelli”? E qui, una vita dopo, 83 anni da compiere il 16 agosto, Shimon Peres, vicepresidente del Consiglio, considerato sempre la colomba contro il falco Ariel Sharon, arriva, unico cittadino di Gerusalemme sotto un sole perfetto a indossare vestito grigio ferro con cravatta grigio perla. ‟Si parla di negoziato? E dove?”. Presidente, da Gaza rimbalzano voci di apertura di Hamas sul soldato rapito e il ministro della Difesa Peretz parla di Nato al confine tra Israele e Libano.
Il volto aristocratico di Peres si oscura, il decano deve rispiegare le tragedie della storia ai neofiti: ‟E con chi dovremmo parlare? Si diceva scambiamo terra con pace, ci siamo ritirati in Libano e a Gaza da terra e mare e dov'è la nostra pace? Hezbollah parla di scambiare i due soldati che ha rapito? E poi? Ne rapisce degli altri? Qui si tratta di capire la crisi in corso” e Peres, l'aria imperturbabile che fece infuriare la mitica Golda Meir quando trascurò di informarla del programma nucleare lanciato con i francesi nel deserto del Negev, detta il piano di battaglia. ‟Siamo di fronte a un quartetto crudele. Siria e Iran sono due Stati con politiche aggressive, Hamas è uno Stato che non cresce, Hezbollah uno Stato nello Stato. Hezbollah non è un partito libanese, è la Legione Straniera dell'Iran, armata, finanziata e organizzata da Teheran. Noi non abbiamo alcuna ambizione di conquista del Libano o di occupazione di Gaza. Il nostro esercito si chiama di difesa, ma se attaccati ci difenderemo”. Quando Sharon guidò l'esercito in Libano, nel 1982, Peres definì l'invasione ‟sanguinosa e inutile”. Oggi è di parere diverso, ‟ci sono piovuti addosso 1500 missili, altri 15.000 ce li abbiamo puntati contro. I nostri militari vengono rapiti in violazione della sovranità nazionale. Restiamo a guardare?”. Peretz, il laburista che serve nel governo di Ehud Olmert, con gli uomini di Kadima eredi di Sharon, come ministro della Difesa ragiona di Nato, ma Peres è severo. ‟Non importa chi svolge la missione, importa che la missione sia svolta.
L'esercito libanese, l'Onu, la Nato basta che il confine del Libano sia ripulito dalle rampe di missili di Hezbollah. Ma voglio una missione seria, non come quella dell'Unifil, gli osservatori Onu che non disarmavano i terroristi. Sulla Nato son scettico, è un'alleanza che deve decidere all'unanimità, basta il no di un Paese a fermare l'intervento. E a me di Paesi Nato che non vogliono venire qui ne vengono in mente più d'uno”. Shimon Peres non sa ancora del capitano Roberto Punzo, ferito in Libano sotto le insegne Onu: segue invece con attenzione il summit sulla guerra, in programma a Roma mercoledì, con i capi della diplomazia russa Lavrov e americana Rice, e gli europei, ospite il nostro governo. ‟Buona occasione. Ma credo che alla fine l'accordo ripeterà l'intesa raggiunta al G8, che noi apprezziamo molto. Disarmo e ritiro di Hezbollah, forze cuscinetto, anche dell'esercito del Libano, come chiede l'Onu nella risoluzione 1559. Noi abbiamo fatto la nostra parte, Hezbollah no”. Al G8 e all'Onu hanno chiesto anche moderazione e buonsenso nei raid israeliani per smantellare la guerriglia di Hezbollah, a rischio di colpire i civili. Le bare si accatastano nelle fosse comuni, strade e ponti crollano. Qui Peres si irrigidisce, il politico che ha sempre predicato trattativa, fino a farsi detestare dai generali e dal pragmatico premier Rabin, scandisce che le sofferenze degli innocenti ‟sono spiacevoli. Ma proporzionate, anche Hezbollah attacca e uccide i nostri civili, lanciando salve di missili contro case, ospedali, scuole. E a questo proposito vorrei chiedere dov'era la proporzionalità durante la guerra dei Balcani, quando per interrompere le violenze in Kosovo l'aviazione euroamericana mise a ferro e fuoco la Jugoslavia. Hezbollah nasconde le armi negli appartamenti, a volte in cambio di danaro, nelle moschee e viola le convenzioni internazionali”.
Gli strateghi di Gerusalemme spiegano di volere indebolire Hezbollah, mandare un segnale forte a Teheran e Damasco e indurre il premier libanese Siniora a fare finalmente fronte contro i fondamentalisti. È così? ‟Guardi la missione del vostro ministro degli Esteri europeo Javier Solana a Teheran, per ottenere infine impegni seri per fermare la deriva nucleare. Bene, l'undici di luglio Teheran sbatte la porta in faccia a Solana, non concedendo nulla e il dodici scatta l'offensiva contro di noi. Viene il sospetto che sia stata coordinata per cancellare dalle prime pagine la corsa nucleare di Teheran, la storia è subito dimenticata. Oggi l'Iran è debole, ha raddoppiato la popolazione fino a 70 milioni di persone, è diviso etnicamente, manca il lavoro, ci sono povertà e corruzione. Serve la propaganda, come in tutti i regimi e arriva Ahmadinejad a chiedere la nostra distruzione e il nucleare. La Siria resta un Paese sottosviluppato e cerca avventure. Senza Damasco e Teheran niente attacchi dei fondamentalisti ‟. Chiedete l'intervento dei libanesi al confine, ma Siniora ne ha la forza? C'è chi considera finita la breve estate democratica in Libano, parecchie capitali europee rimpiangono l'influenza siriana a Beirut. ‟E perché? Ci attaccavano anche allora. Le milizie Hezbollah dispongono di circa settemila uomini, i regolari libanesi di 80.000. Se non combatte a che serve un esercito?”. Si dice che abbiate distrutto metà dell'arsenale di Hezbollah, ma parecchi esperti non credono alla stima ottimista. E altri strateghi israeliani accusano Olmert di essere rimasto ipnotizzato da Gaza dimenticando il Libano. ‟E se anche avessimo previsto l'attacco cosa potevamo fare? Come avrebbero reagito i nostri critici? No, noi ci difendiamo.
Il dramma è capire cosa vogliono i palestinesi, qual è la loro razionale base di trattativa. Io non capisco. Olmert discuteva con il presidente Abu Mazen e loro bombardano villaggi e kibbutz? Perché? Hamas ed Hezbollah sono diversi in tante cose, ma hanno in comune di non essere partiti politici, ma movimenti religiosi, fondamentalisti. Si credono superiori, pensano di poter dare la morte agli inferiori, e il loro nemico, da sterminare, è la modernità che vedono distruggere la tradizione. È un errore perché Islam e modernità convivono benissimo, per esempio in Turchia. Ma Hamas e Hezbollah vogliono distruggere la modernità, e Israele è un perfetto bersaglio”. Eppure da più parti, perfino dall'ex capo dei vostri servizi segreti Mossad, si crede che è necessario andare a cena con il diavolo, negoziare con Hamas. ‟Rispondo con un antico proverbio africano "Basta un sasso nel paniere delle uova per romperle tutte". Vero e, mi creda, non importa nulla che le uova si ritengano moderate. Un sasso estremista le rompe. È ora di togliere i sassi Hezbollah dal cesto”. Eppure solo pochi mesi fa, dopo l'addio dei coloni israeliani a Gaza, si parlava di ritiro anche dal West Bank: tutto finito? ‟Tratteremo. Prima occorre finire la guerra sui due fronti, costruire una vera pace con in Libano e infine stabilizzarla con lo sviluppo. Ascolti...”. Nel suo libro di memorie, Shimon Peres ricorda di avere sempre amato l'eroe di un racconto del collega di Nobel Gabriel García Márquez, ‟Il sognatore senza paga”, che, come il vicepremier israeliano, non ha avuto mercede per le sue illusioni. E, a tre settimane dall'ottantatreesimo compleanno, Peres dimentica la guerra e si lancia nell'ultimo sogno senza paga: ‟Un mercato libero, come l'Unione Europea, di palestinesi, giordani e israeliani. Già adesso la valle elettronica con la Giordania impiega 35.000 persone e fattura un miliardo e mezzo di dollari. Vedo nel futuro questa ricchezza che radica la pace. Nel passato abbiamo parlato troppo di politica e diplomazia e guerra, dimenticandoci che poi a governare davvero la vita delle persone è l'economia. Ecco, ci dobbiamo adesso concentrare su questo sviluppo, il Mar Morto cala, c'è un problema idrico, e il livello del mare non è politica...”. Non si è stancato di combattere, signor vicepresidente, e vedere intorno a sé sempre violenza? ‟È come un matrimonio amico mio, sempre avanti! Non ci si pensiona nel matrimonio!” ed è l'unica risata di una lunga conversazione.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …