Giuliana Sgrena: Stupro. Quando è etnico è un crimine di guerra

28 Agosto 2006
Perché proprio nel momento in cui tutta la stampa è impegnata nella condanna - che condivido assolutamente - dell'uso di termini storici come nazismo per definire i crimini commessi da Israele in Libano e Palestina, nessuno si sconvolge se si definisce uno stupro - orrendo come tutti gli stupri - «etnico» solo perché il colpevole (ha parzialmente ammesso) è un algerino? In Italia non è in corso una guerra etnica. A meno che si voglia avallare in modo subdolo e strisciante attraverso lo «stupro etnico» lo scontro di civiltà. Se così non è, in Italia uno stupro è una violenza terribile contro una donna, comunque. Senza la necessità di sollevare, come aggravante, tabù reazionari del passato quale la verginità, come fa Francesco Merlo su la Repubblica (24 agosto 2006), che dimostrano più morbosità che orrore.
Lo stupro «etnico» non è solo un reato contro la persona, come viene definito lo stupro dal nostro codice penale. E va oltre l'affermazione del dominio totale dell'uomo «forte» sulla donna «debole». Usato in molti conflitti come «arma di guerra» per umiliare il nemico, la definizione «etnica» interviene nel momento in cui lo stupro assume una valenza ideologica a supporto della «pulizia etnica». Questo uso viene inserito in una strategia di guerra complessiva di annientamento del nemico anche tramite la contaminazione etnica, visto che si ritiene che a determinare l'appartenenza etnica del figlio sia il padre. In questo caso, se la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, la violenza sessuale, lo stupro etnico, diventa un mezzo per continuare la guerra.
Si è cominciato a parlare diffusamente di «stupro etnico» con la guerra nella ex-Jugoslavia,e in particolare in Bosnia, ma non è certamente, purtroppo, questo l'unico caso. Il tribunale per i crimini commessi in Ruanda e in Burundi, per la prima volta, ha definito lo stupro etnico crimine contro l'umanità, quale atto di genocidio quando le donne vengono stuprate perché appartenenti a gruppi etnici presi di mira.
Questo per dire che i termini, le definizioni hanno un significato ben preciso e se si deve evitare di usare il termine nazismo per Israele e fascisti per gli Hezbollah libanesi (come ha fatto Bush), se si vuole veramente imparare dagli errori e gli orrori del passato, occorre coltivare la memoria collettiva tenendone presente il contesto storico.
Quindi gli autori degli stupri (italiani o meno) e dello sgozzamento di Hina (pachistani) dovranno essere giudicati secondo la legge italiana (dove per fortuna è stata eliminata l'attenuante per il delitto d'onore) perché vivono nel nostro paese e se avessero un trattamento diverso dai cittadini italiani questo sì sarebbe razzismo.
Sul piano dell'analisi non basta denunciare la matrice patriarcale del delitto. Quante Hina ci sono in Italia che non vogliono o non vorrebbero dover sottostare a un matrimonio combinato nel paese d'origine e non osano ribellarsi? O forse si sono anche ribellate ma non l'abbiamo saputo perché fortunatamente non sono state uccise dal padre, ma magari ogni giorno subiscono pressioni della famiglia.
Cosa possiamo fare per queste donne che vivono in Italia e rivendicano semplicemente i nostri stessi diritti, che sono diritti universali? Potremmo per esempio cominciare, come è già stato fatto in Francia, con il costituire una associazione contro il matrimonio forzato per fornire strumenti e sostegno (anche legale) a quelle giovani immigrate che si vogliono sottrarre a questo giogo patriarcale.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …