Carla Forcolin: Il carcere dei bambini

29 Agosto 2006
Mentre si parla di indulto, di carcerati qualsiasi e di carcerati eccellenti, spendo una parola per i carcerati innocenti. Non quelli per cui si è sbagliato nel giudicare, quelli innocenti perché incapaci di commettere reati: i bambini. Sono circa una sessantina in Italia, ma il loro numero nei periodo festivi, ad esempio a Natale, si ingrossa, sono figli di donne straniere o zingare, che non possono essere poste agli arresti domiciliari perché non hanno famiglia o domicilio. Sono figli di madri che talora vengono considerate evase perché, durante un permesso, rientrano tardi, non avendo e non sapendo leggere un orologio. Sono figli di analfabete che sono cresciute parlando dialetti che solo comunità piccole o lontane conoscono, di cui la maggior parte di noi non ha mai sentito parlare. La legge Finocchiaro ha già previsto per le mamme con figli inferiori ai tre anni forme di detenzione che evitino ai bambini l’essere rinchiusi, ma non è applicabile proprio per i motivi sopra citati. Donne italiane con figli al seguito, infatti, nelle carceri non ci sono.
È evidente che se non si curano in modo particolare quelle situazioni di miseria, di cui le carcerate straniere con figli sono portatrici, non sarà mai possibile recuperare della gente che delinque perché non ha quasi nessun'altra possibilità di sopravvivere.
Visto che si parla di riforme strutturali da affiancare a questo indulto, si pensi a inserire in case famiglia costruite appositamente mamme e bambini al di sotto dei tre anni. Senza strutture simili la legge Finocchiaro, che tenta di affrontare il problema con attenzione ai bambini serve a poco. Naturalmente le strutture non bastano: bisogna intervenire sul piano educativo e formativo con mano ferma. Proprio in carcere, si permette alle mamme di scegliere di fare talora il male dei loro bambini: i piccoli possono essere privati di qualsiasi forma di regolarità di vita, di cibo adeguato, della possibilità di frequentare l’asilo nido, di usufruire di cure mediche, se le stesse non sono di facile somministrazione (pensiamo alle cure dentistiche). Il rispetto per il ruolo materno e per le diverse culture diventa tolleranza eccessiva per qualsiasi modalità di comportamento (bambini sporchi, con abiti che vengono spesso gettati via dopo l’uso, ecc.).
Non sono solo le porte blindate a costituire il carcere (nel film «La vita è bella» Benigni, grande educatore, ce lo fa capire. Perfino in un lager, egli ci dice, si può trovare il modo per sostenere un bambino).
Il carcere in questi casi è costituito soprattutto dal dolore che impregna le persone, che viene trasmesso di madre in figlio e che porta all’incapacità di prendere tra le mani il proprio destino, magari imparando un mestiere. Allora la spirale va interrotta: le donne, spesso giovani, devono avere degli obblighi (come quello di imparare a leggere e scrivere) e degli orari da rispettare. Pur bloccate dalla strisciante depressione, devono fare delle cose che ne sblocchino l’apatia e finiscano per migliorarne l'umore. Il carcere deve davvero rieducare, almeno nel senso di dare gli strumenti per inserirsi nel mondo esterno.Propongo che le madri non possano più rifiutarsi di accettare proposte che vadano in tal senso, perché danneggerebbero i figli. I modi per giungere a tutto ciò vanno studiati e applicati con ferma gentilezza, ma non si può ignorare il problema.
Ci vogliono case famiglia al posto dei nidi del carcere, dove ci siano regole sensate e rispettate, dove ogni madre abbia un sostegno (anche costituito da volontari), dove si mettano le basi per rendere i bambini scolarizzabili, dalle quali si esca senza tornare ad essere schiave di qualche capo-clan, del marito violento, dello sfruttatore di turno. Case-famiglia dove i bambini crescano giocando e sorridendo tra figure positive.
Non mancano nei nidi delle carceri le iniziative da parte del mondo del volontariato, favorite dalla direzione, non mancano agenti umani e comprensivi, educatrici intelligenti e aperte. Queste persone potrebbero essere utilizzate in strutture più adeguate alla presenza dei bambini. Ma bisogna avere il coraggio e la forza di fare dei regolamenti e farli rispettare, di opporsi a chi da ‟fuori” pone il divieto a mandare i bambini all’asilo nido, a chi non vuole che le donne imparino a leggere e si emancipino. Lo Stato dichiara che anche ora, con l’indulto, non fa un atto di debolezza, ma di clemenza. Dimostri di sapersi opporre, nel quotidiano, ai violenti e agli sfruttatori che stanno dietro alle donne carcerate e ai loro bambini. Senza forza e convinzione non si protegge nessuno, né il cittadino qualsiasi che si vede rubare la borsetta, né il bambino carcerato.
Al compimento del terzo anno i bambini escono dal carcere. Se hanno famigliari fuori vanno da loro, se non li hanno spesso vengono posti in comunità. È invece quanto mai opportuno che, anziché in comunità, questi bambini vengano posti in affidamento presso famiglie dove vedano scorrere la vita normalmente, dove possano giocare ad aprire le porte, dove possano assorbire modelli di comportamento socialmente accettabili. Esiste la legge 149/01: stabilisce che quando un bambino è momentaneamente privato della propria famiglia ha diritto ad una famiglia alternativa, possibilmente con altri bambini o costituita da una coppia o da una sola persona. Solo dopo si devono considerare le comunità. Anche in questo caso, la legge va rispettata.
È tempo di riforme strutturali, non solo di indulti: case famiglia predisposte per le mamme carcerate, regolamenti precisi da seguirsi obbligatoriamente (obbligo ad esempio di frequentare una scuola e di imparare un mestiere, obbligo di curare lo stato di salute, la pulizia personale, l’alimentazione dei bambini), inserimento dei bambini che raggiungono i tre anni in famiglia, protezione da parte dei servizi delle mamme e dei bambini una volta usciti.
È difficilissimo, ma ci si può almeno provare.

Carla Forcolin

Carla Forcolin (Venezia, 1950) è laureata in pedagogia e ha lavorato per venticinque anni nella scuola. Si è sempre occupata di tematiche riguardanti l’infanzia ed è presidente dell’associazione “La gabbianella …