Gianni Riotta: Il mondo perduto l’undici settembre

12 Settembre 2006
L’attacco dell’11 settembre 2001 è stato un raid contro il mondo contemporaneo, l’intreccio frenetico e fecondo di culture, commerci, comunicazione, sviluppo economico, che i vocabolari indicano con il goffo neologismo ‟globalizzazione”. La rivista Foreign Policy ribalta ora il paradigma definendo l’11 settembre ‟Il giorno che non ha cambiato granché”. Gli studiosi Dobson e Cole testimoniano che, dal 12 settembre, niente rivoluzioni, le Borse non sono crollate, i traffici commerciali non si sono inariditi, America ed Europa non hanno alzato il ponte levatoio contro gli emigranti. La Cina ha continuato la metamorfosi in drago, il Medio Oriente le faide remote, le glaciazioni nucleari tra Coree e India-Pakistan non hanno conosciuto disgelo. Foreign Policy sbaglia: l’11 settembre ha cambiato spirito e indole del nostro tempo. Non si tratta di Dow Jones, import-export, Palestina. E’l’approccio al futuro che è mutato, siamo diventati cauti, circospetti, più cinici ed egoisti, meno tolleranti. Il 10 settembre 2001 vivevamo, ingenuamente, l’alba rosea seguita alla Guerra Fredda, un’era che il presidente Bush padre aveva battezzato Nuovo ordine mondiale. Certi che in Russia si affrancasse una democrazia vibrante, in Medio Oriente la trattativa tra Nobel per la Pace e che gli ibridi culturali non temessero rigetti, studiavamo Internet, la genetica, la cultura e il turismo di massa, sistema nervoso di un sogno, l’era dell’Acquario, l’armonia. Non comprendemmo i lampi di tempesta. L’attacco alle Torri Gemelle del ‘93, l’attentato del razzista McVeigh a Oklahoma City ‘95, i raid africani di bin Laden nell’estate ‘98, la repressione in Cecenia. C’è acrimonia, contro chi, come il presidente Clinton, non aggredì Al Qaeda con la forza necessaria: recriminazione ingiuste, le democrazie riluttano alla guerra, gli americani contro il fondamentalismo, gli europei contro i pogrom dei Balcani. Abbandonare la vita quotidiana per le armi non è popolare alle urne, e così ignorammo l’odio che germinava. Al Qaeda ha dichiarato guerra a tutti i fedeli della umma musulmana che non condividono la lettura totalitaria del Corano, quel 90% di islamici che nel sondaggio World Values Survey dichiara di considerare la democrazia ‟il miglior governo”. L’utopia di un Califfato feroce nella sharia religiosa non accetterà mai negoziati, basta leggere i proclami ideologici nell’antologia ‟Al Qaeda i testi” (Laterza). La cenere e il sangue dell’11 settembre rinchiudono l’America in una solipsistica guerra al terrorismo e l’Europa in una crisi di identità, che solo ora, con la missione in Libano, sembra alleviarsi. L’Onu si avviluppa negli scandali e stenta a tornare protagonista. L’Iran, come la Corea del Nord, progetta il nucleare, l’Iraq brucia, il Sudan lascia languire due milioni di profughi. Il senso di impotenza e l’incertezza dei leader nascono l’11 settembre, che spunta conflitto e negoziato come strumenti di stabilità. La guerra senza quartiere dei fondamentalisti si sconfigge in campo, con le armi, ove possibile, senza rimorsi. Ma è guerra asimmetrica che, alla lunga, si vince solo sottraendo consenso al totalitarismo islamista, ovunque, e impugnando, non smussando, i valori di libertà e giustizia. L’11 settembre ha cambiato tutto, chiamandoci a un drammatico esame di coscienza: siamo disposti a difendere la nostra identità, senza negare quella altrui, siamo disposti a difendere i diritti universali, senza sottrarli a nessuno? Quanto siamo disposti a sacrificarci pur di vivere in democrazia? Sono domande a cui dare sagge risposte, perché la storia, e i nostri figli, ci giudicheranno da queste risposte.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …