Gianfranco Bettin: Su Vicenza, un arcobaleno di no

19 Gennaio 2007
Le ragioni per opporsi all'ampliamento della base americana di Vicenza sono parecchie e di diversa natura. Ci sono quelle ricordate da Fausto Bertinotti, sulla necessità di limitare il più possibile la presenza di ‟organizzazioni militari”. Ci sono quelle ricordate da Alfonso Pecoraro Scanio ieri, connesse al rapporto con la strategia militare complessiva del nostro paese (che avrà nel prossimo voto parlamentare sulla missione afghana uno snodo cruciale), ci sono quelle riassunte qui da Marco Revelli e, ieri, da Gabriele Polo, relative a come questo governo concepisce l'autonomia dell'Italia, condivise da molti esponenti della sinistra , da Oliviero Diliberto a Cesare Salvi a Fabio Mussi, eccetera. E ci sono quelle della gente di Vicenza, che uniscono quanto sopra ai precisi, concreti motivi di ordine ambientale, urbanistico, economico e sociale. Li ha riassunti bene ieri Ilvo Diamanti su ‟Repubblica”. Eppure, tutte queste ragioni insieme non sono riuscite a convincere Romano Prodi. Si può fare della dietrologia su questa scelta. Forse anche si deve, dopo che il sottosegretario Letta ha dichiarato ai parlamentari veneti che il governo ‟è stato costretto” a decidere per il sì. Costretto da chi? Fatecelo sapere. Ma più di questo, e in parallelo al rilancio di una vasta e prolungata campagna locale e nazionale contro la decisione assunta, forse conta trarre qualche lezione politica dalla vicenda. La prima lezione riguarda l'asse sul quale si colloca lo sviluppo dell'azione di governo. È evidente che, al di là di qualche singola scelta - che sempre più spesso assomiglia a una ‟concessione” - questo asse tende a collocarsi sul versante più moderato della coalizione. C'è chi, al governo, sembra spesso voler dimostrare alla destra che sa fare la destra meglio della destra stessa. Per certi versi, si può dire del nascente Partito Democratico, come taluni - influenti - sembrano concepirlo, l'opposto di quanto si diceva un tempo della Dc, che sarebbe stata cioè un partito di centro che guarda a sinistra. Il Partito Democratico che si intravede a volte sembra invece più un partito di centro che guarda a destra. Anche per questo - altra lezione della vicenda Dal Molin - urge riequilibrare l'asse dell'azione di governo e della stessa coalizione. Un asse squilibrato da scelte politiche sbagliate, come questa su Vicenza, ma anche dalla scelta strategica, compiuta prima delle elezioni, dalla cosiddetta ‟sinistra radicale” (definizione imprecisa, ma ci capiamo) di presentarsi a quell'appuntamento in ordine sparso. La nascita di una sorta di ‟Coalizione Arcobaleno” alleata dell'Ulivo su un programma fatto di punti qualificanti e irrinunciabili, del tutto maturo nell'esperienza e nella visione di un grande numero di elettori ed elettrici, avrebbe consentito che l'Unione nascesse su basi più avanzate. Le elezioni ora sono alle spalle, ma l'azione di governo, così ondivaga, così sconcertante, a volte così criticabile, è di fronte a noi. Perché non crearla oggi, nella pratica parlamentare e di governo e nell'azione esterna, una ‟Coalizione Arcobaleno” che, dentro l'Unione, rappresenti una così grande parte dell'alleanza e, pur in necessario dialogo e comune lavoro con le altre componenti, tracci delle linee nette all'azione di governo ispirata oggi così genericamente dal programma elettorale? È del tutto possibile, perfino necessario, se non vogliamo che nell'Unione - e nel suo governo, una delle residue chance che ha l'Italia di oggi per uscire da una fase torbida e triste - prevalgano quelli che si sentano ‟costretti” a fare cose sbagliate o, peggio, quelli che le fanno volentieri.

Gianfranco Bettin

Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …