Vittorio Zucconi: Tabacco, il futuro in una bustina

18 Giugno 2007
Gli eredi dell’uomo che inventò le sigarette due secoli or sono ora tentano di "disinventarle". Non è pentimento, il loro, è ‟business”, è strategia aziendale. A 150 anni dalla malefica invenzione di un tabaccaio londinese chiamato Philip Morris che sembra essere stato il primo ad arrotolare una sigaretta e a venderla nel 1861, il colosso americano della cicca che da lui prende il nome cerca, o finge di cercare, un modo per salvare insieme i suoi giganteschi profitti e qualche vita. Lancia sul mercato la sigaretta da masticare, una presa di tabacco chiusa in una bustina da tè da succhiare tra gengive e guance, per dare al vizioso la dose di nicotina senza il fumo, la puzza, i danni, le occhiatacce e soprattutto le stangate in tribunale. Gli eredi del tabaccaio di Londra che fece fortuna vendendo sigarette ai reduci dalla Crimea dove avevano contratto il vizio di quella pianta arrivata dalle Americhe, hanno cominciato dal Texas per collaudare questo nuovo prodotto battezzato con il nome assai poco elegante e molto otorinolaringoiatrico di "Snus". Sono partiti dal Texas perché è in quello Stato, e in altri del Sud, che il tabacco da masticare e da sputare in scaracchi catramosi che produce 3 miliardi di dollari annui, è più diffuso tra bovari, petrolieri e rancheros e dunque questa ‟sigaretta da masticare” potrebbe trovare più clienti. Della salute dei consumatori, naturalmente, alla Altria, la società che ha nel proprio portafoglio la Philip Morris con i suoi marchi celebri come Marlboro, importa assai meno che mantenere i quasi 70 miliardi di dollari in vendite annue complessive. Nel declino costante del consumo di sigarette sul mercato americano, dove fumano ancora il 25% dei maschi e il 23% delle femmine, il problema della Philip Morris è trovare nuove forme per vendere tabacco senza provocare l’effetto secondario più dannoso per i propri bilanci: le querele collettive e individuali per danni che nel 1998 si coagularono nella più gigantesca ammenda finanziaria mai inflitta da un tribunale: 246 miliardi di dollari da spalmare in 25 anni. Ora questa bustina che suona come uno starnuto promette di eliminare, o di ridurre del 98% secondo studi condotti in Europa e in Svezia dove è già venduta, la pericolosità del tabacco fumato, aspirato o masticato. Avvolto in una sorta di profilattico di cotone, lo "Snus" dovrebbe dare al tabaccodipendente quel fix, della dose nicotina del quale l’organismo ha desiderio lasciando comunque il sapore del tabacco, cosa che i chewing gum sostituivi non fanno. Dopo il primo caffè del mattino o dopo cena, i momenti critici per quell’82% di fumatori che vorrebbero smettere e falliscono, il vizioso dovrebbe anziché accendersi una sigaretta mettersi in bocca una bustina, insaporita alla menta o alla cannella. Sforzandosi probabilmente di trattenere i conati di vomito. La Borsa, che di queste trovate è sempre giudice ultimo e implacabile, sembra ragionevolmente scettica, esattamente come lo è sempre stata di tutte le campagne repressive, le tasse e le guerre al fumo, remunerando ampiamente il vizio, uno dei migliori e più fedeli amici dell’uomo con un costante aumento del titolo Altria. Se gli Stati Uniti non sono più, e da tempo, una repubblica fondata sulle foglie di tabacco che alla fine del XiX secolo rappresentavano un terzo del reddito nazionale e che, nella piantagione di Jamestown in Virginia videro arrivare i primi schiavi africani in catene comperati per coltivarlo, un abitante su quattro che fuma rappresenta sempre un mercato di almeno 50 milioni di consumatori. Cina, Brasile e India producono ormai più tabacco degli Usa, dove le storiche città del Maryland, della Virgina e delle Carolinas costruite su sigari, pipe e sigarette come Winston-Salem, hanno da tempo smesso di dipendere da questa pianta dall’etimologia incerta, forse dall’arabo tabbaq, forse dal linguaggio Taino dei Caraibi tabago. E l’onda montante dei divieti e delle restrizioni al fumo continua a salire, spinta dal panico del ‟fumo secondario” e dalla ormai dichiarata inaccettabilità sociale di questo vizio che non ha difensori né fan, come la marijuana. L’industria cinematografica, che tanto aveva fatto per diffondere nel mondo il fascino della sigaretta fra le labbra di un Cary Grant o di un Gary Cooper, oggi riserva la cicca ai "cattivi" dei film e ai personaggi sgradevoli, mentre la lobby anti fumo sta premendo perché vengano comunque vietati ai minori di 18 anni (l’età minima richiesta per comperare un pacchetto con presentazione di documento) tutti i film nel quali qualcuno, buono o cattivo, bello o brutti, fumi, con valore retroattivo. Lavoratori dipendenti sono passibili di licenziamento, se fumatori, e madri sono state condannate dai tribunali per maltrattamenti avendo fumato in una casa dove è presente un bambino piccolo. La ripugnante bustina di polvere di tabacco, che per il vicino o il passante o il figlio non dovrebbe costituire un fastidio peggiore del continuo ruminare di gomma o di popcorn al cinema, sarà venduta in Texas al prezzo medio di un pacchetto di sigarette, tre dollari e mezzo, in confezione da 12, per raggiungere il dosaggio medio quotidiano di nicotina di un fumatore di 15 sigarette, quante appunto si calcola ne consumi un tabagista americano, assai meno delle 25-30 fumate in Asia, in Cina e Giappone, l’ultima mecca degli eredi del tabaccaio di Londra Philip Morris. Se funzionerà, nonostante lo scetticismo di Wall Street che già vide fallire qualche anno fa l’esperimento di una sigaretta che bruciava senza produrre fumo e dunque querele per danni, i venditori di tabacco avranno salvato vite e profitti. E un nuovo Humphrey Bogart darà l’addio a Ingrid Bergman masticando una bustina di Snus. Non sarà un grande passo avanti per l’arte cinematografica, ma la salute prima di tutto.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …