Marco D’Eramo: Repubblicani. Usa, fuori i secondi

01 Febbraio 2008
La scrematura è finita. Dopo sei primarie, le seconde linee si sono tutte ritirate o lo faranno nelle prossime ore. South Carolina sabato e Florida ieri hanno sancito gli ultimi verdetti. In campo repubblicano l'ex sindaco di New York, Rudi Giuliani, doveva annunciare il suo ritiro mentre andavamo in macchina, mentre in campo democratico ha già gettato la spugna, con un discorso a New Orleans, l'ex senatore del North Carolina, John Edwards. Il suo abbandono segue quelli - nell'ordine - di Joe Biden, Christopher Dodd, Bill Richardson e Dennis Kucinich. Duncan Hunter Fred Thompson. Tra i repubblicani si erano già arresi Duncan Hunter e Fred Thompson.
Da un punto di vista mediatico, la sconfitta più devastante l'ha subita Rudy Giuliani che sulla Florida aveva puntato tutte le fiches e che qui aveva investito più di tutti gli altri concorrenti, riuscendo ad arrivare solo distaccatissimo terzo (col 14,6% dei voti) dietro al vincitore, il senatore dell'Arizona, John Mccain (36,0%), all'ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney (31,1%) e precedendo solo di pochissimo l'ex governatore dell'Arkansas Mike Huckabee (13,5%) che in questo stato non ha praticamente fatto campagna. L'hubris elettorale punisce l'arroganza tutta newyorkese della sua strategia politica per cui un politico di punta non si sporca le mani in staterelli come Iowa, Nevada, Michigan, New Hampshire, South Carolina, ma scende in campo solo negli stati che contano: «i duri entrano in campo quando il gioco si fa duro».
Il risultato è che per un mese è scomparso dai media, sparito dai tg e dai talk shows di seconda serata, le sue quotazioni nei sondaggi sono affondate, finché ha ricevuto la mazzata finale dai suoi amati pensionati newyorkesi che avrebbero dovuto essere sensibili alla sua personale «guerra al terrore» e che invece lo hanno tradito per un mormone come Romney e per un repubblicano ribelle come McCain.
Dal punto di vista politico è invece assai più devastante il K.o. tecnico di John Edwards, il candidato che per le sue proposte era più vicino alla sinistra del partito democratico, ma che ha scontato l'incapacità di sfondare nella sinistra liberal-naderiana, fatta di attivisti reclutati per lo più nei campus o nei siti web come Move On, che invece si sono schierati massicciamente per il senatore dell'Illinois Barack Obama. Neanche stavolta, dopo che già ci aveva provato nel 2004, questo ex avvocato di successo è riuscito a imporre alla campagna presidenziale Usa il tema de «l'altra America», dei poveri, delle persone prive di copertura sanitaria, delle scuole pessime per i redditi bassi. Contro di lui hanno giocato proprio alcune delle caratteristiche che ne avevano assicurato l'ascesa, la sua stessa riuscita che gli ha consentito una casa da 6 milioni di dollari; i capelli biondi troppo ben pettinati (a 400$ a taglio) su una faccia troppo da bravo ragazzo per sembrare vera agli elettori; una parlantina da avvocato appunto che fa l'arringa sulla povertà; votazioni nella sua carriera di senatore non sempre in linea con la sua recente «guerra alla povertà»; il voto del 2002 in favore della guerra in Iraq: perfino il tumore della moglie ha sortito un boomerang, come se la difesa volesse impietosire la corte.
Qualunque siano le ragioni che hanno impedito a Edwards di sfondare, il risultato è che rimane scoperto da questa campagna tutto uno spicchio del partito democratico. È assente dalla competizione presidenziale ogni tematica di sinistra, visto che sia Obama, sia Hillary Clinton si situano piuttosto sulla destra del partito quanto a politiche economiche e sociali (con Hillary perfino un po' più a sinistra di Obama).
Ma è assente anche la dimensione meridionale che nelle presidenziali Usa gioca un ruolo decisivo: si pensi che l'ultimo presidente nordista eletto fu John Fitzgerald Kennedy nel 1960 (quando vinse solo grazie al ticket con il texano e sudista Lyndon Johnson): da allora nella Casa bianca sono arrivati dalla California (Richard Nixon e Ronald Reagan), dalla Georgia (Jimmy Carter), dal Texas (i due George Bush) dall'Arkansas (Bill Clinton). Ora invece restano in campo due rappresentanti del nord: un senatore dell'Illinois e una senatrice dello stato di New York: grave handicap per i democratici che non hanno più nessun profilo classico e conforme: maschio bianco e meridionale.
Ma l'abbandono di Giuliani, che aveva ricevuto contributi per 47 milioni di dollari, ed Edwards, 30 milioni di dollari, è motivo di riflessione anche per le paradossali dimensioni economiche assunte da queste primarie presidenziali.
È stupefacente che abbiano dovuto gettare la spugna due candidati che nell'anno precedente alla prima primaria avevano raccolto più fondi di quanti nel periodo corrispondente ne avessero raccolti Bush e Al Gore nel 2000 o Kerry nel 2004, cioè i vincitori delle rispettive nominations. Persino una massiccia infusione di denaro non garantisce la presenza su scena per più di un mese di primarie, dopo di che il candidato è ritirato dalle sale.
Fatto sta che da oggi e fino al 5 febbraio (il «supermartedì») il gioco cambia dal giorno alla notte per i candidati. Il 5 infatti i repubblicani scelgono il 41% dei propri delegati alla Convention di Minneapolis (a inizio settembre) e i democratici scelgono il 52 % (cioè 2064 delegati) per la propria convention agostana a Denver. Poiché i delegati vengono scelti circoscrizione per circoscrizione elettorale, può succedere che un candidato vinca la maggioranza degli stati ma ottenga meno delegati dell'avversario: se ne è avuta un'avvisaglia in Nevada dove Hillary ha ricevuto più voti, ma Obama ha ottenuto più delegati.
Fino a oggi i candidati concentravano tutte le proprie energie uno stato per volta, come negli attacchi a un territorio a Risiko. Ora invece giocano su una scacchiera in cui debbono distribuire le risorse con oculatezza, in una sorta di Monopoli elettorale. Fra una settimana vedremo chi ha giocato meglio.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …